La scelta dell’indennità sostitutiva mette definitivamente fine al rapporto di lavoro

Ove il lavoratore opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista ex art. 18 Statuto dei Lavoratori, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa e senza che permanga, per il periodo successivo alla comunicazione, alcun obbligo retributivo.

Con la sentenza n. 13161, depositata il 25 giugno 2015, la Corte di Cassazione aderisce all’orientamento delle Sezioni Unite, sent. 18353/14 , ribadendo che il rapporto di lavoro cessa definitivamente con la scelta da parte del lavoratore dell’indennità sostitutiva della reintegrazione. Un lavoratore indeciso In primo luogo è bene precisare che alla fattispecie oggetto della sentenza in commento è applicabile, ratione temporis , l’art. 18 Statuto dei Lavoratori nella sua versione antecedente alla c.d. Riforma Fornero. La questione affrontata dalla Corte di Cassazione, infatti, è stata chiarita anche dal legislatore in occasione della citata riforma, che all’art. 18, comma 3 prevede esplicitamente come la richiesta dell’indennità sostitutiva della reintegrazione determini la risoluzione del rapporto di lavoro. Attualmente, quindi, giurisprudenza e norma guardano nella stessa direzione, ma sino alla Riforma Fornero ciò non era così chiaro Nel caso di specie, il dipendente licenziato nell’ambito della tutela reale, otteneva l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli, con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno. Il lavoratore rinunciava alla reintegrazione, optando per l’indennità sostitutiva, la quale, però non veniva versata nell’immediatezza della richiesta. Di conseguenza, con in mano l’ordine di reintegrazione del giudice del lavoro, il lavoratore si rivolgeva nuovamente all’autorità giudiziaria per ottenere la reintegrazione, come alternativa al mancato pagamento dell’indennità. Ci si chiede, quindi, se sia legittima una simile strategia difensiva se non mi paghi l’indennità sostitutiva, mi reintegri, così come aveva inizialmente previsto il giudice del lavoro. L’indennità sostituisce la reintegrazione, basti questo. La Corte di Cassazione accoglie le deduzioni del datore di lavoro ricorrente precisando prima di tutto che, se il lavoratore rinuncia formalmente alla reintegrazione offerta dal datore di lavoro, optando per l’indennità sostitutiva prevista ex art. 18 Statuto dei Lavoratori, egli non ha più alcun interesse ad un’ulteriore pronuncia di reintegrazione. Il lavoratore ha fatto la sua scelta. Pertanto, qualora il lavoratore opti per l’indennità sostitutiva, il rapporto di lavoro cessa definitivamente con la comunicazione di tale scelta al datore di lavoro e ciò indipendentemente dal fatto che venga pagata l’indennità sostitutiva. Se, quindi, il rapporto di lavoro è cessato con la comunicazione della scelta, per il periodo successivo alla comunicazione, la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, di conseguenza non persiste alcun obbligo retributivo da parte datoriale. Una volta cessato il rapporto di lavoro, qualora l’indennità sostitutiva non venga pagata, si verserà nell’ipotesi civilistica dell’inadempimento o del ritardato adempimento ad un’obbligazione pecuniaria, pertanto il lavoratore potrà difendersi attraverso lo strumento della mora debendi, con applicazione dell’art. 429 comma 3 c.p.c Naturalmente resta ferma la possibilità per il lavoratore di chiedere anche il risarcimento del danno ulteriore, patito a seguito dell’inadempimento datoriale, la cui prova, però, sorge in capo allo stesso lavoratore. In conclusione, a seguito del mancato pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, non si può tornare indietro e chiedere la reintegrazione. Non se ne ha titolo. Il rapporto di lavoro è cessato, resta un’obbligazione pecuniaria che come tale va trattata mora debendi ed eventuale risarcimento del danno.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 marzo – 25 giugno 2015, n. 13161 Presidente Stile – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza pubblicata il 3 febbraio 2012 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 22 dicembre 2009 che, fra l'altro e per quanto ancora rileva in questa sede, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato in data 26 novembre 2004 dalla Marseglia Center s.r.l. a Campopiano Pasquale ed aveva ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro condannando, altresì, la datrice di lavoro ad un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fato percepita dal lavoratore all'epoca del licenziamento dal giorno del recesso sino all'effettiva reintegra, sottratto quanto percepito a seguito di altri rapporti lavorativi. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, ha motivato tale pronuncia considerando che, benché il lavoratore avesse esercitato il diritto di opzione per l'indennità sostitutiva ex art. 18, comma 5 legge 300 del 1970, l'obbligo di reintegrazione si estingue solo con il pagamento di tale indennità, per cui, allorché il lavoratore ha proposto ricorso in via giudiziaria, aveva ancora interesse ad una pronuncia di reintegra. La Marseglia Center s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi illustrati da memoria. Il Campopiano è rimasto intimato. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con specifico riferimento agli artt. 1286, comma 2 cod. civ. e 18 comma 5 legge 300 del 1970 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che, avendo il lavoratore rinunciato formalmente alla reintegra offerta dalla società datrice di lavoro, ed avendo optato per l'indennità sostitutiva di cui all'art. 18, comma 5 legge 300 del 1970, non avrebbe più alcun interesse ad una pronuncia di reintegra. Con il secondo motivo si assume si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con specifico riferimento agli artt. 1227 cod. civ. e 18 comma 5 legge 300 del 1970 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che sarebbe stato erroneamente riconosciuto il diritto a tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra, avendo il lavoratore espressamente e definitivamente optato per l'indennità sostitutiva limitata a quindici mensilità di retribuzione. I motivi vanno esaminati congiuntamente essendo connessi. La questione oggi sottoposta all'esame di questa Corte è stata in passato risolta in modo non univoco anche in sede di legittimità, finché le Sezioni Unite con la pronuncia 27 agosto 2014 n. 18353 hanno statuito che, in caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale nella specie, quello, applicabile ratione temporis , previsto dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92 , opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga - per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro - alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore. Questo Collegio non ha motivo di discostarsi tale affermazione. La sentenza impugnata, che non si è attenuta a tale principio, deve dunque essere cassata con rinvio alla medesima Corte d'appello di Napoli in diversa composizione che si atterrà al principio di diritto sopra richiamato, provvedendo anche al regolamento delle spese del processo. P.Q.M La Corte di Cassazione accoglie il ricorso Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione.