Se le accuse di riciclaggio al dipendente della banca sono generiche, il licenziamento è illegittimo

In tema di licenziamenti disciplinari, la regola dell’immediatezza della contestazione non è violata laddove il datore di lavoro proceda all’incolpazione solo dopo aver avuto la piena conoscenza dei fatti e la piena convinzione della loro illiceità, ad esempio dopo la notifica di un provvedimento penale della Procura della Repubblica. L’ulteriore esigenza di specificità, uniformandosi al principio di correttezza vigente nei rapporti contrattuali e all’interesse dell’incolpato ad esercitare il diritto di difesa, risulta soddisfatta laddove dal capo d’incolpazione risultino con certezza, il fatto addebitato e l’indicazione della norma violata, potendo a tal fine bastare anche una descrizione precisa del fatto tale da ricondurlo ad una determinata regola giuridica.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10727/15 depositata il 25 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce, riformando la decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato da una banca ad un proprio dipendente per la non tempestività della contestazione disciplinare – avvenuta a più di 5 anni di distanza dal fatto – e per l’incerta responsabilità del dipendente dovuta alla vaghezza del linguaggio della medesima contestazione e alla mancanza di specificità nell’indicazione del carattere illecito della condotta, risultando omesso qualunque riferimento alle norme asseritamente violate. La banca ricorre per la cassazione di detta pronuncia. Contestazione tempestiva Con il primo motivo di doglianza la ricorrente afferma la tempestività della contestazione posto che era venuta a conoscenza delle operazioni effettuate dal dipendente solo a seguito della notifica del provvedimento penale della Procura della Repubblica per l’apertura di un’indagine per violazione delle norme in materia di auto riciclaggio. Tale argomentazione viene considerata plausibile dalla S.C. che sul punto ribadisce come la regola dell’immediatezza della contestazione disciplinare sia intesa a garantire al lavoratore incolpato l’effettiva possibilità di difesa, garanzia che non è lesa laddove il datore di lavoro proceda all’incolpazione solo dopo aver avuto la piena conoscenza dei fatti e la piena convinzione della loro illiceità, e ciò soprattutto nel caso di complesse operazioni bancarie per il cui accertamento può essere necessario un congruo periodo di tempo. Sotto tale profilo, la sentenza impugnata contrasta dunque con la giurisprudenza consolidata, ma ciò non è sufficiente per cassare il provvedimento. e specifica. Con la seconda e la terza doglianza viene dedotta la genericità della contestazione disciplinare, ma tali motivi di ricorso risultano privi di fondamento. In tema di licenziamenti disciplinari difatti l’esigenza di specificità della contestazione non ha la medesima rigidità richiesta nel processo penale, ma si uniforma al principio di correttezza vigente nei rapporti contrattuali ed obbedisce all’interesse dell’incolpato ad esercitare il diritto di difesa . È dunque necessario e sufficiente che dal capo d’incolpazione risultino con certezza, il fatto addebitato e l’indicazione della norma violata – se di livello legislativo, regolamentare o anche inferiore – potendo a tal fine bastare anche una descrizione precisa del fatto tale da ricondurlo ad una determinata regola giuridica. Nel caso di specie, non risultando indicate nella lettera di contestazione le norme violate ed essendo presente un mero riferimento alle regole di corretta tenuta della contabilità e ad improprie registrazioni contabili contrastanti con la normativa antiriciclaggio, la cui cogenza ben giustifica, ai fini dell’efficacia in sede giudiziaria, il necessario rispetto delle procedure ivi previste anche nelle controversie private fra datore e prestatore di lavoro, era doveroso per la parte datoriale fare almeno riferimento al capo d’imputazione del dipendente come formulato del giudice penale, ai fini della specificità della contestazione disciplinare. Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 marzo – 25 maggio 2015, numero 10727 Presidente/Relatore Roselli Svolgimento del processo Con sentenza del 17 luglio 2012 la Corte d'appello di Lecce, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 29 agosto 2007 dalla s.p.a. Banca Sella sud Arditi Galati al dipendente Z.A. ,con le conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria. L'illegittimità del licenziamento era data, ad avviso della Corte, anzitutto dalla non tempestività dell'incolpazione disciplinare, avvenuta il 27 luglio 2007, ossia a più di cinque anni dai fatti contestati, rilevabili con l'ordinaria diligenza e coi normali strumenti di controllo , specie in considerazione dell'importo rilevante delle operazioni asseritamente illecite attribuite all'incolpato. Ancora, la Corte d'appello riteneva incerta l'incolpazione mossa allo Z., sia per la vaghezza del linguaggio operazioni bancarie eseguite fittiziamente con movimento di denaro contante , con ragionevole certezza , oppure operazioni a dir poco inusuali sia perché il carattere illecito delle operazioni non era specificato, non essendosi indicate le norme deontologiche o d'altro genere violate dal dipendente. Contro questa sentenza ricorre per cassazione la Banca mentre lo Z. resiste con controricorso. Motivi della decisione Nella parte narrativa del suo atto d'impugnazione la Banca ricorrente precisa che il comportamento addebitato al lavoratore preposto ad una succursale era, secondo la lettera di contestazione, di avere autorizzato il giorno 2 luglio 2002 una complessa operazione compiuta da una cliente e consistita nell'avere depositato nel proprio conto corrente una somma di trecentosessantamila Euro solo apparentemente, ma in realtà senza versare alcun denaro contante nell'addebito, di due minuti successivo e sullo stesso conto, di una pari somma per conferimento socio” in aumento capitale di una certa società nell'accredito, di due minuti successivo, della stessa somma e per la stessa causale in favore di quella società. Questi passaggi fittizi avevano determinato improprie registrazioni nell'archivio unico informatico tenuto ai sensi della legge 197/91 - antiriciclaggio . Esse venivano definite, sempre nella detta lettera, irregolari e non in linea con i principi e le regole di una corretta tenuta della contabilità”. L'autenticità del contenuto di questa lettera non è stata mai contestata dalla controparte. Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente lamenta omessa motivazione e violazione dell’art. 7 l. 20 maggio 1970 numero 300, per non avere tenuto conto che la Banca ebbe conoscenza delle operazioni del dipendente solo attraverso la notifica, avvenuta il 5 luglio 2007, di un provvedimento penale della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce. Quest'argomento è plausibile. La regola d'immediatezza della contestazione disciplinare, intesa anzitutto a garantire al lavoratore incolpato l'effettiva possibilità di difesa, non è violata se il datore di lavoro proceda all'incolpazione solo dopo avere avuto piena conoscenza dei fatti e piena possibilità di convincersi dell'illiceità di essi, ciò che, quando si tratti di complesse operazioni bancarie, può richiedere un congruo periodo di tempo, nell'interesse dello stesso lavoratore. Tanto più quando si tratti di comportamenti penalmente rilevanti Cass. 22 febbraio 1995 numero 2018, 27 marzo 2008 numero 7983 . Per di più l'illiceità delle operazioni di cui sì tratta poteva apparire dubbia agli operatori bancali che ritennero di rilevarla, come risulterà qui anche dai successivi motivi di ricorso, e ciò spiega come essi non si siano risolti, nell'interesse dello stesso dipendente, a formulare un capo d'incolpazione disciplinare prima di sapere che per gli stessi fatti esistevano indagini penali. L'errore della Corte d'appello nel ritenere tardiva l'incolpazione non può tuttavia portare alla cassazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto, come risulterà dall'esame dei successivi motivi di ricorso. Col secondo mezzo d'impugnazione la ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine alla genericità della contestazione disciplinare, ritenuta dalla Corte d'appello. Sostanzialmente la stessa censura viene svolta nel terzo motivo vizi di motivazione e violazione dell'art. 2119 cod. civ. , con riferimento al favore reso scorrettamente dal lavoratore alla cliente della Banca. I due motivi, da esaminare insieme perché connessi, non sono fondati. In tema di licenziamenti disciplinari l'esigenza di specificità della contestazione non è così rigida come nel processo penale ma si uniforma al principio di correttezza vigente nei rapporti contrattuali ed obbedisce all'interesse dell'incolpato ad esercitare il diritto di difesa Cass.30 dicembre 2009 numero 27842 . A tal fine è necessario che dal capo d'incolpazione risultino con certezza non soltanto il fatto addebitato ma, quando si tratta di norme di livello legislativo o regolamentare, e tanto più di norme di livello inferiore, è necessaria, se non l'indicazione precisa della norma violata, almeno una descrizione del fatto tanto precisa da risultarne chiara la sussumibilità sotto una regola determinata. Nel caso di specie tanto la lettera di contestazione quanto ora il ricorso per cassazione non indicano le norme violate ma contengono un vago riferimento a regole di corretta tenuta della contabilità e ad improprie registrazioni effettuate contro la legge 197/91 - antiriciclaggio, là dove non avrebbe dovuto essere difficile indicare, se non le regole di contabilità, almeno come esse fossero state in concreto violate. Quanto alla cosiddetta legge antiriciclaggio, si tratta del d.l. 3 maggio 1991 numero 143 conv. in L. 5 luglio 1991 numero 197, recante provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio . Essa pone diverse cautele contro l'uso del contante art. 1 , impone obblighi d'identificazione e di registrazione art. 2 nonché di segnalazione a soggetti preposti all'attività dell'impresa bancaria o alle autorità di polizia art. 3 , ed indica così i soggetti per il tramite dei quali è possibile trasferire denaro oltre un certo importo, dice i modi con cui può essere compiuto il trasferimento e prevede le conseguenti attività di documentazione. Dalla contestazione disciplinare non risultò come il lavoratore incolpato, nel compiere una complessa e tuttavia subitanea operazione per un importo pecuniario elevato, avesse violato quegli obblighi. Sarebbe stato necessario fare riferimento almeno al capo d'imputazione formulato dal giudice penale. Non fu chiaro in definitiva perché i suddetti passaggi fossero da ritenere fittizi e le registrazioni dell'archivio fossero improprie . Tutte queste vaghezze e imprecisioni sono incompatibili col principio di sufficienza della contestazione disciplinare, tale da rendere non eccessivamente difficile la difesa dell'incolpato, sia in sede di procedimento intraziendale sia nel successivo procedimento civile. Il contrasto dell'attività di riciclaggio del denaro dev'essere severo ma perché esso sia efficace in sede giudiziaria è necessario il rispetto delle regole della procedura, anche nelle controversie private fra datore e prestatore di lavoro. Il ricorso dev'essere pertanto rigettato mentre le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in Euro cento/00, oltre ad Euro quattromila per compensi professionali, più accessori di legge.