Decadenza dal trattamento di integrazione salariale per omessa comunicazione all’INPS

La decadenza dal trattamento di integrazione salariale risulta espressamente comminata per l’omissione, da parte dei lavoratori beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva, rispetto allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, allo scopo di consentire all’INPS la verifica circa la compatibilità dell’attività da svolgere con il perdurare del rapporto di lavoro presupposto dell’integrazione salariale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10379, depositata il 20 maggio 2015. Il caso. Tre lavoratori proponevano appello contro la sentenza del Tribunale di Brescia, con la quale era stata respinta la loro domanda di condanna all’INPS a corrispondere il trattamento di cassa integrazione straordinaria per i giorni antecedenti e successivi al periodo di occupazione degli stessi con contratti di lavoro a termine, avendo il giudice di primo grado ritenuto tardiva la comunicazione all’istituto dei contratti in questione. La Corte D’appello di Brescia, in riforma alla sentenza impugnata condannava l’INPS al pagamento della cigs ritenendo che l’art. 8, comma 5, d.l. n. 86/88 non potesse intraprendersi nel senso di imporre al lavoratore, a pena di decadenza del trattamento di integrazione salariale, una comunicazione preventiva e neppure contestuale dell’inizio di altra attività lavorativa, essendo sufficiente una comunicazione tempestiva della circostanza. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 5 d.l. n. 86/88. Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale se non comunica all’INPS lo svolgimento della predetta attività. La comunicazione preventiva risulta coerente con la ratio legis ” della disposizione, volta ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell’INPS al fine di ridurre l’aerea del lavoro nero e garantire l’effettiva destinazione, a sostegno dei disoccupati, delle risorse disponibili. I giudici di legittimità, inoltre, aggiungono che l’esecuzione di una prestazione lavorativa potrebbe anche non essere preceduta da trattative, con la conseguenza di impedire al lavoratore una comunicazione preventiva, esponendolo pertanto alla decadenza dal trattamento di integrazione salariale. Tuttavia, sempre secondo quanto affermato dagli Ermellini, è rimessa alla libera valutazione del lavoratore decidere se dare immediata esecuzione all’attività lavorativa oppure procedere alla comunicazione preventiva all’INPS . Infatti, la comunicazione deve precedere l’inizio dell’attività lavorativa senza altre specificazioni temporali. Non sussistendo infine dubbi di legittimità costituzionale della disciplina di cui al citato art. 8, comma 5, d.l. n. 86/88, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rigetta le originarie domande proposte dai lavoratori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 gennaio – 20 maggio 2015, numero 10379 Presidente Coletti De Cesare – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 12.10.07 M.C., M.F. e D.M. proponevano appello contro la sentenza numero 257\07 del Tribunale di Brescia, con la quale era stata respinta la loro domanda di condanna dell'Inps a corrispondere il trattamento di cassa integrazione straordinaria per i giorni antecedenti e successivi al periodo di occupazione degli stessi con contratti di lavoro a termine, per ciascuno di essi indicati, avendo il giudice di primo grado ritenuto tardiva la comunicazione all'Istituto dei contratti in questione ex art. 8 comma 5 d.l. numero 86\88. Lamentavano gli appellanti l'erronea interpretazione `testuale e teleologica' della norma, anche con riferimento alla riforma della analoga disciplina in materia di indennità di mobilità, avendo gli stessi comunicato all'Inps i contratti all'atto stesso della stipulazione. Si costituiva in giudizio l'Inps contestando in diritto gli argomenti svolti a sostegno della impugnazione. Con sentenza depositata l'8 agosto 2008, la Corte d'appello di Brescia, in riforma della sentenza impugnata, condannava l'Inps al pagamento della CIGS in favore di M.C. dal 23.10.04 al 17.1.05 e dalla cessazione dei rapporto di lavoro con la SIV spa al 22.10.05 di M.F. dal 23.10.04 al 2.1.05, ed in favore di D.M. dal 23.10.04 al 31.12.04 e dalla cessazione del rapporto con la SIV s.p.a. dal 22.10.05, oltre interessi di legge compensava le spese di ambo i gradi. Riteneva la Corte che l'art. 8, comma 5, del d.l. numero 86\88 non potesse interpretarsi nel senso di imporre al lavoratore, a pena di decadenza del trattamento di integrazione salariale, una comunicazione preventiva e neppure contestuale dell'inizio di altra attività lavorativa, essendo sufficiente, mutuando anche dalla disciplina in materia di indennità di mobilità, una comunicazione tempestiva della circostanza, come avvenuto nella specie. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso I'INPS, affidato ad unico motivo. Resistono i lavoratori, ad eccezione dei Mazzoldi rimasto intimato, con controricorso, poi illustrato con memoria. Motivi della decisione 1.-L'INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 5, del d.l. 21 marzo 1988 numero 86, convertito in L. 20 maggio 1988 numero 160 art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che nonostante il chiaro tenore letterale della norma Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento perle giornate di lavoro effettuate. ' II lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale delIT.N.P.S. dello svolgimento della predetta attiviti' , la Corte di merito ritenne di poter interpretare estensivamente tale disciplina, traendo erroneo conforto analogico da quella vigente in materia di indennità di mobilità, che prevede, al fine di evitare la decadenza dal trattamento di mobilità, solo una comunicazione tempestiva nel testo, poi abrogato, di cui all'art. 4, comma 38, d.l. numero 510\96 convertito in L. numero 608\96, stabilito in cinque giorni e dunque non preventiva e tanto meno contestuale. 1.1.-I! ricorso è fondato,vssendo la sentenza impugnata in linea con il consolidato orientamento di questa Corte Cass. numero 3690\01, Cass. numero 5019\04, Cass. numero 11679\05, Cass. numero 173\06, Cass. numero 14196\10 da ultimo cfr. Cass. numero 26520\13 . In tali pronunce si è affermato che la decadenza dal trattamento di integrazione salariale prevista dall'art. 8, comma 5, del d.l. 21 marzo 1988 numero 86, convertito in L. 20 maggio 1988 numero 160, risulta espressamente comminata per l'omissione, da parte dei lavoratori beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva, rispetto allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa allo scopo di consentire all'INPS la verifica circa la compatibilità dell'attività da svolgere con il perdurare del rapporto di lavoro presupposto dell'integrazione salariale. Si è anche chiarito Cass. numero 5019\04 che l'art. 8 in questione impone al beneficiario del trattamento di c.i.g. di dare all'INPS la preventiva comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa, ancorché compatibile con detto trattamento, quale quella temporanea o saltuaria, a pena di decadenza dei lavoratore dal diritto a detto trattamento, e che in difetto di lacune di regolamentazione da colmare, non è applicabile in via analogica a detta fattispecie la meno rigorosa regola dettata dall'art. 9, comma 1, lett. d , della legge 23 luglio 1991, numero 223, poi modificata dal d.I. numero 510\96 convertito in L. numero 608\96, per il diverso istituto della indennità di mobilità, che richiede una comunicazione tempestiva, cioè effettuata in tempi ragionevoli, ma non necessariamente precedente l'assunzione al lavoro. Questa Corte ha anche affermato che la comunicazione preventiva risulta coerente con la ratio legis della disposizione, volta ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell'INPS al fine di ridurre l'area del lavoro nero e garantire l'effettiva destinazione, a sostegno dei disoccupati, delle risorse disponibili. Una diversa opzione interpretativa, che limiti la decadenza dall'integrazione solo al periodo successivo all'inizio dell'attività lavorativa da parte del cassintegrato, comporterebbe la soppressione della sanzione prevista dalla norma e finirebbe, ingiustamente, per equiparare i cassaintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l'INPS e quelli che, invece, correttamente assolvono l'obbligo di comunicazione Cass. numero 26520\13 . I dubbi di costituzionalità in materia sono già stati esclusi dalla C. Cost., sentenze numero 195\95 e numero 190\96. Può qui aggiungersi che, pur potendosi ammettere che un contratto di lavoro possa venire ad esistenza coevamente all'inizio della prestazione lavorativa, posto che l'esecuzione della prestazione lavorativa deve essere considerata come estrinsecazione di un rapporto di lavoro e manifestazione legittima di consenso idoneo a costituire un valido contratto Cass. numero 1370\74, Cass. numero 807\73 pur considerato che l'esecuzione di una prestazione lavorativa possa anche non essere precedutq, da trattative, con la conseguenza di impedire al lavoratore una comunicazione preventiva, esponendolo alla decadenza dal trattamento di integrazione salariale, deve replicarsi che è rimessa alla libera valutazione del lavoratore decidere se dare immediata esecuzione all'attività lavorativa oppure procedere alla comunicazione preventiva all'INPS, valutando che la comunicazione deve essere solo precedente l'inizio dell'attività lavorativa senza altre specificazioni temporali. 2.-Non sussistendo infine dubbi di legittimità costituzionale della disciplina di cui al citato art. 8, quinto comma, del d.l. numero 86 dei 1988, rispetto al differente caso dell'indennità di mobilità, non risultando violato alcun principio di ragionevolezza e di uguaglianza, essendo quest'ultima corrisposta a soggetti il cui rapporto di lavoro, a differenza dei cassaintegrato, è ormai cessato, il ricorso deve accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, con il rigetto delle originarie domande dei lavoratori. Le alterne vicende della lite consigliano la compensazione delle spese della fase di merito, mentre quelle di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta le originarie domande proposte dai lavoratori. Compensa le spese del giudizio di merito e condanna questi ultimi al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.2.500,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.