‘Aspettativa’ per il dipendente, domanda viziata: eccessivo il licenziamento

Motivazioni familiari alla base della richiesta del lavoratore, che, però, non corregge l’errore nell’originaria istanza, nonostante le ‘pressioni’ subite dall’azienda, e rimane a casa per i problemi di salute della madre. Tale assenza, seppur formalmente non giustificata, non può condurre al licenziamento. Sproporzionata la reazione dell’azienda, a fronte di un mero vizio formale della richiesta del lavoratore.

Vizio di forma nella richiesta, avanzata dal lavoratore, di ottenere una aspettativa per motivi familiari egli ha parlato di aspettativa retribuita , l’azienda ha replicato che, da contratto, non era prevista la copertura retributiva. Ciò, però, rende non grave l’assenza del lavoratore, nonostante l’azienda abbia ribadito, più volte, nei confronti del dipendente la necessità di ‘correggere’ la richiesta di aspettativa, prima di poterla ritenere accettabile. Consequenziale è la declaratoria di illegittimità della misura estrema, il licenziamento, adottato dall’azienda Cassazione, sentenza n. 8928, sez. Lavoro, depositata oggi . Domanda da rivedere Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione assunta dai giudici d’appello, i quali hanno sancito la illegittimità del licenziamento disciplinare adottato dall’azienda – Poste Italiane – nei confronti del dipendente, ritenuto colpevole di comportamento già sanzionato in precedenza con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni, consistito nell’essere rimasto assente a seguito della richiesta di fruizione di una aspettativa retribuita, motivata e documentata in relazione allo stato di salute della madre , nonostante, però, il diniego comunicatogli dalla società . Diniego, hanno evidenziato i giudici, fondato però sulla mera irregolarità dell’istanza, che non teneva conto della previsione del contratto, che qualificava l’aspettativa per motivi familiari come non retribuita . Per i giudici, in sostanza, proprio alla luce delle motivazioni del diniego, è sproporzionata la sanzione decisa dall’azienda, anche tenendo presente che la condotta del lavoratore – responsabile di aver pervicacemente ignorato la formalità della presentazione di una corretta istanza – è qualificata da semplice colpa . Reazione eccessiva. La prospettiva tracciata in appello viene duramente contestata dall’azienda. Elemento centrale, in questa ottica, è il richiamo, col ricorso in Cassazione, del ‘carteggio’ col lavoratore, ‘carteggio’ con cui era ribadita, da un lato, la necessità di ottenere la produzione dell’istanza corretta, recante cioè l’esatta dicitura ‘non retribuita’ in luogo di ‘retribuita’ per potergli concedere la richiesta ‘aspettativa per motivi familiari’ , e, dall’altro, era prospettata – e poi applicata – la sanzione contrattualmente prevista, a fronte dell’assenza ingiustificata, protrattasi fino a dieci giorni e la sanzione espulsiva prevista per la condotta protrattasi per oltre dieci giorni . Nodo gordiano, quindi, per l’azienda è la mancata regolarizzazione , da parte del lavoratore, della domanda di aspettativa , nonostante le ‘pressioni’ pervenutegli Nonostante tutto, tale visione, formalmente corretta, viene ritenuta non condivisibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, confermano la illegittimità del licenziamento . Decisivo è il rilievo minimale attribuito all’ inadempimento meramente formale imputato al lavoratore . Di conseguenza, sanciscono i giudici, la reazione messa in atto dall’azienda è da considerarsi eccessiva . Anche perché, viene aggiunto in conclusione, la società, anziché insistere, fino alle estreme conseguenze, nel pretendere dal lavoratore l’invio dell’istanza adeguata , avrebbe potuto consentire la fruizione dell’‘aspettativa’, accompagnandola con la precisazione che, in conformità alla disciplina contrattuale, non avrebbe dato corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 febbraio – 5 maggio 2015, n. 8928 Presidente Stile – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 15 settembre 2011, la Corte d'Appello di Milano, in integrale riforma della decisione di rigetto resa dal Tribunale di Milano, accoglieva la domanda proposta da M.C. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli da Poste Italiane S.p.A., sua datrice di lavoro, per la reiterazione del comportamento già sanzionato in precedenza con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per giorni dieci, consistito nell'essere rimasto assente dal lavoro a seguito della richiesta di fruizione di un'aspettativa retribuita ex art. 4 1. n. 53/2000, motivata e documentata in relazione allo stato di salute della madre, nonostante il diniego comunicatogli dalla Società, tuttavia, riferito alla mera irregolarità dell'istanza che non teneva conto della previsione del CCNL che qualificava l'aspettativa per motivi familiari soltanto come non retribuita. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto l'intimazione della massima sanzione sproporzionata in relazione alla condotta qualificata da semplice colpa, per essersi il lavoratore reso responsabile di aver, sia pur pervicacemente, ignorato la formalità della presentazione di una corretta istanza, cui la Società gli chiedeva di adempiere, risultando soddisfatto ogni altro requisito, con riguardo, in particolare, all'adeguatezza della documentazione attestante il diritto a fruire dell'aspettativa, sia pur non nei termini richiesti sotto il profilo del trattamento economico. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando a tre motivi l'impugnazione, rispetto alla quale il C. è rimasto intimato Motivi della decisione L'impugnazione proposta dalla Società ricorrente, per quanto articolata su tre motivi, è essenzialmente volta a censurare il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla qualificazione dell'elemento soggettivo della condotta, individuato nella mera colpa con esclusione, dunque, di ogni intenzionalità idonea a riflettere abuso del proprio diritto o volontà di recare danno all'azienda, giudizio in base al quale la Corte territoriale è giunta a ritenere l'illegittimità dei recesso per violazione del principio di proporzionalità della sanzione alla condotta addebitata. In effetti, con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., ricollega la ritenuta erroneità di quel giudizio alla omessa valutazione della documentazione in atti, con ciò riferendosi al carteggio intercorso tra la Società ed il lavoratore, nel tentativo della prima di ottenere dal secondo la produzione dell'istanza corretta, recante cioè l'esatta dicitura non retribuita in luogo di retribuita , al fine di concedergli la richiesta aspettativa per motivi familiari che altrimenti gli competeva, e ciò anche minacciando e poi effettivamente comminando, dapprima la sanzione conservativa contrattualmente prevista a fronte dell'assenza ingiustificata protrattasi fino a dieci giorni e successivamente la sanzione espulsiva con cui il CCNL punisce la medesima condotta protrattasi oltre i dieci giorni. Con il secondo motivo, rubricato Contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio , il vizio di motivazione è predicato in relazione al convincimento espresso dalla Corte territoriale circa l'evidenza dell'ignoranza incolpevole delle norme da parte del lavoratore, convincimento di cui si deduce l'illogicità, stante la consapevolezza che la Corte stessa mostra dei susseguirsi degli eventi e dunque della reiterata prospettazione da parte degli uffici competenti al lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli della sua perdurante inerzia poi in effetti subite. Con il terzo motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 c.c., 3 1. n. 604/1966 e 54 del CCNL Poste del 2001, l'erroneità della sentenza, qui censurata dalla Società ricorrente, è sostenuta valorizzando la portata oggettiva della condotta che, a motivo della mancata regolarizzazione dell'istanza idonea a correlare l'assenza ad un titolo giustificativo, tanto più necessario nell'ambito di un'organizzazione aziendale di vastissime proporzioni come Poste Italiane S.p.A., non può che qualificarsi come assenza arbitraria dal servizio, legittimando l'applicazione, del resto prevista dal CCNL, dei provvedimenti adottati dalla Società, fino all'intimato licenziamento. A riguardo, così passando all'esame necessariamente congiunto degli esposti motivi, deve osservarsi come non possa disconoscersi la plausibilità dell'impostazione evidentemente formalistica sottesa all'impugnazione proposta dalla Società ricorrente, che, assunto a fatto/presupposto l'evenienza, invero di scarsa consistenza e, per di più, incomprensibile nelle ragioni che l'hanno determinata, della mancata regolarizzazione dell'istanza da parte del lavoratore, a fronte della ricorrenza di tutti gli altri requisiti legittimanti la fruizione dell'aspettativa richiesta, mira a dare rilievo al fatto/conseguenza da qualificarsi comunque, in difetto di quella regolarizzazione, come assenza arbitraria legittimamente sanzionabile a termini di contratto. Ma è a dirsi come, dal canto suo, non possa ritenersi né illegittima né illogica la valutazione di stampo sostanzialista operata dalla Corte territoriale, che, rovesciando totalmente la prospettiva, ha inteso valorizzare il fatto/presupposto, tarando su quello il giudizio - di proporzionalità ed approdando, in coerenza con il rilievo minimale dell'inadempimento meramente formale imputato al lavoratore, alla conclusione per cui la reazione posta in essere dalla Società era da considerarsi eccessiva, come la Corte di merito non ha mancato di mostrare icasticamente, rilevando che la vicenda avrebbe potuto rinvenire agevole e rapida soluzione ove la Società, anziché insistere, fino alle estreme conseguenze, nel pretendere dal lavoratore l'invio dell'istanza adeguata all'istituto di cui intendeva fruire, ne avesse consentito la fruizione accompagnandola con la precisazione che, in conformità alla disciplina contrattuale dell'istituto medesimo, non avrebbe dato corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo. A questa stregua la pronunzia va ritenuta immune dai vizi denunciati con conseguente rigetto dei ricorso. Nulla per le spese stante la mancata costituzione dell'intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.