Cancellazione dalle liste dei braccianti agricoli: l’onere della prova spetta al lavoratore

Qualora l'INPS disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro agricolo, spetta al lavoratore l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8281, depositata il 23 aprile 2015. Il caso. La pronuncia trae origine dal giudizio promosso da un lavoratore al fine di ottenere la reiscrizione nelle liste nominative dei braccianti agricoli, previa disapplicazione del provvedimento di cancellazione da parte dell’INPS. Il giudice di merito, dopo aver precisato che l’onere di provare il lavoro subordinato e l’avvenuta effettuazione di 51 giornate di lavoro agricolo incombe sul lavoratore, ha rigettato le domande del ricorrente, ritenendo che quest’ultimo non avesse assolto tale onere. Con ricorso per cassazione, il lavoratore ha dedotto l’erroneità della decisione di merito nelle parti in cui ha posto l’onere della prova a carico del lavoratore a fronte di un provvedimento di cancellazione adottato in carenza di accertamenti ispettivi non avrebbe considerato la natura costitutiva dell’iscrizione negli elenchi nominativi dei braccianti agricoli e lo status, legalmente riconosciuto, di bracciante agricolo avrebbe omesso di esaminare la documentazione prodotta. L’INPS disconosce il rapporto di lavoro agricolo? Al lavoratore l’onere di ribaltare la situazione. La pronuncia in commento ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'INPS, a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà che trova conferma nell'art. 9 d.lgs. n. 375/1993 , con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio così Cass. n. 7845/2003, n. 493/2011 e n. 14296/2011 . Del pari, in tema di ripetizione d’indebito previdenziale, la Suprema Corte ha attribuito l’onere probatorio al pensionato-attore che in giudizio miri ad ottenere l’accertamento negativo del proprio obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto da lui indebitamente percepito Cass. SSUU n. 18046/2010 . L’INPS non ha eseguito gli accertamenti ispettivi? L’onere della prova resta a carico del lavoratore. La pronuncia in commento ha inoltre precisato che la funzione di mera agevolazione probatoria svolta dall’iscrizione nell’elenco dei braccianti agricoli viene meno qualora l’INPS disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, a prescindere dal fatto che la cancellazione sia avvenuta a seguito di un apposito controllo da parte dell’istituto previdenziale o per un’altra ragione. Infatti, il giudizio intentato dal lavoratore per ottenere la reiscrizione e/o una determinata prestazione non ha natura impugnatoria del provvedimento di cancellazione, né presenta carattere pregiudiziale, al punto che, nella controversia avente ad oggetto l’attribuzione di una qualche prestazione previdenziale, lo status di bracciante agricolo può essere accertato incidenter tantum , sempre con onere della prova a carico del lavoratore e senza obbligo di sospensione ex art. 295 c.p.c., in pendenza di distinta controversia per la reiscrizione nell’elenco cfr. Cass. n. 28716/2011 . Non si può chiedere ai giudici di legittimità di riesaminare il materiale probatorio. Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, la censura prospettata dal ricorrente, secondo cui la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la documentazione prodotta, si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti. Sul punto, la pronuncia in commento ribadisce che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda cfr., ex plurimis , Cass. n. 1754/2007 . Nella fattispecie, la Corte territoriale ha valutato le risultanze dell’istruttoria con una motivazione immune dai vizi lamentati. È evidente, dunque, che la censura mossa dal ricorrente mirava ad ottenere una inammissibile duplicazione del giudizio di merito cfr., per tutte, Cass. n. 6288/2011 , senza neppure denunciare compitamente un vizio di motivazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 11 marzo – 23 aprile 2015, n. 8281 Presidente Curzio – Relatore Fernandes Fatto e diritto La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio dell'11 marzo 2015, ai sensi dell'art 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'articolo 380 bis c.p.c. Con sentenza dell'11 giugno 2012 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la decisione del Tribunale di Vibo Valentia di rigetto della domanda proposta da L.L. ed intesa alla reiscrizione nelle liste nominative dei braccianti agricoli per l'anno 1992, previa disapplicazione del provvedimento di cancellazione. La Corte territoriale, premesso che l'onere di provare il lavoro subordinato e l'avvenuta effettuazione di 51 giornate di lavoro agricolo incombe sul lavoratore, riteneva che l'appellante non lo avesse assolto nulla provando la documentazione prodotta e stante la inammissibilità della prova testimoniale, generica e priva della indicazione dei testi. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la L. affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l'INPS. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2797 c.c., 115, 116 c.p.c. e 9 del d.Lgs. n. 375/93 nonché dell'articolo 7 della 1. n. 241/90 in quanto la Corte di Appello aveva errato nel porre l'onere della prova a carico della lavoratrice a fronte di un provvedimento di cancellazione adottato in carenza di accertamenti ispettivi. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 L. n. 2248 del 20.3.1865 nonché degli artt. 3 e 4 del d.Lgs. n. 212 del 9.4.1946 per non aver il giudice del gravame considerato la natura costitutiva dell'iscrizione negli elenchi nominativi dei braccianti agricoli e lo status, legalmente accertato, di bracciante agricolo nonché la palese illegittimità del provvedimento di cancellazione. Con il terzo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione per avere la Corte di Appello omesso di esaminare con attenzione la documentazione prodotta. Il primo motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa S.C., cui va data continuità, secondo cui L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'INPS, a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, articolo 9 con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio Cass. 19.5.2003 n. 7845 conf Cass. 11.1.2011 n. 493 Cass. 28.6.2011 n. 14296 . Va, anche precisato che erroneamente la L. invoca il precedente costituito da Cass. S.U. 26.10.2000 n. 1133 che, al contrario di quanto si suppone in ricorso, è invece ben chiaro nell'addossare al lavoratore l'onere probatorio in subiecta materia vale a dire la dimostrazione dello svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento . Quanto all'esempio richiamato dell'onere probatorio in tema di ripetizione d'indebito previdenziale, basti ricordare la sentenza 4.8.10 n. 18046 delle S.U. di questa S.C., che lo ha attribuito al pensionato attore che in giudizio miri ad ottenere l'accertamento negativo del proprio obbligo di restituire quanto l'ente previdenziale abbia ritenuto da lui indebitamente percepito in altre parole, la Corte ha posto a carico del privato l'onere di dimostrare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l'esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli. Del pari destituito di fondamento é il secondo motivo in quanto il principio per cui l'iscrizione d'un bracciante nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di mera agevolazione probatoria, che viene meno qualora l'INPS disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, non dipende dall'essere avvenuta la cancellazione a seguito di apposito controllo da parte dell'istituto previdenziale o per altra ragione infatti, il giudizio intentato dal lavoratore per ottenere la reiscrizione e/o una determinata prestazione non ha natura impugnatoria del provvedimento di cancellazione né presenta carattere pregiudiziale, al punto che nella controversia avente ad oggetto l'attribuzione di una qualche prestazione previdenziale lo status di bracciante agricolo può essere accertato incidenter tantum, sempre con onere della prova a carico del lavoratore e senza obbligo di sospensione ex articolo 295 c.p.c., in pendenza di distinta controversia per la reiscrizione nell'elenco cfr. Cass. 23.12.11 n. 28716/11 Cass. 12.6.2000 n 7995 . Il terzo mezzo è inammissibile. Va, in primo luogo, rilevato che nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nella prima parte del motivo, la censura prospettata si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti. Ciò detto si osserva che il controllo di legittimità sulla, motivazione delle sentenze riguarda unicamente attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base all'individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all'interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda v. ex multis, S.U. 5802/1998 Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007 . Orbene, nel caso in esame la Corte di Appello ha valutato con una motivazione del tutto immune dai lamentati vizi le risultanze dell'istruttoria e la circostanza sottolineata nel motivo - secondo cui in motivazione si faceva riferimento all'estratto del libretto di lavoro, documento mai depositato, - è priva di rilievo in quanto, evidentemente, il giudice del gravame ha inteso far riferimento al modello C2 in cui veniva attestata - secondo quanto affermato nel motivo - la vita lavorativa della L In effetti la censura sollecita una inammissibile duplicazione del giudizio di merito cfr. Cass. n. 6288 del 18/03/2011 Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008 senza neppure denunciare compiutamente un vizio di motivazione. Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'articolo 375 cod. proc. civ., n. 5. . Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il Collegio condivide il contenuto della riportata relazione e, dunque, rigetta il ricorso Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della L. e vengono liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 legge di stabilità 2013 . Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell'atto da parte del destinatario Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014 . Inoltre, il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.