Rifiuta prima la prestazione adducendo motivi di salute e poi di sottoporsi a visita: lecita la sospensione dal servizio e dalla retribuzione

L’assegnazione del lavoratore a mansioni che egli afferma incompatibili con il suo stato di salute può consentirgli di chiedere al datore di lavoro la riconduzione a mansioni compatibili ma non gli permette di rifiutare di sottoporsi a legittimi controlli medici. Il rifiuto dà facoltà al datore di lavoro di sospendere la prestazione retributiva ai sensi dell’art. 1460 c.c., alla condizione della sottoposizione del lavoratore all’accertamento sanitario.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 8300, pubblicata il 23 aprile 2015. La vicenda. Un dipendente assunto con collocamento obbligatorio, assegnato a mansioni lavorative ritenute incompatibili con la propria infermità, contestava le mansioni assegnate. Invitato dall’azienda ad indicare altre mansioni compatibili non rispondeva all’invito né accettava di sottoporsi ad accertamenti medici disposti dal datore di lavoro, che in conseguenza lo sospendeva dal servizio. Il lavoratore ricorreva così al Tribunale, sostenendo l’illegittimità del provvedimento adottato, ma il primo giudice rigettava la domanda. Proposto appello da parte del lavoratore, la Corte territoriale confermava la decisione di primo grado, affermando che il provvedimento di sospensione censurato non aveva natura disciplinare né poteva trattarsi di licenziamento privo di giustificato motivo, bensì ricorreva nel caso in decisione estinzione dell’obbligazione lavorativa per impossibilità non imputabile al datore di lavoro. Ricorreva in Cassazione il lavoratore. La valutazione dello stato di salute in riferimento alle mansioni assegnate. Il lavoratore ricorrente venne assunto attraverso il collocamento obbligatorio, in quanto affetto da minorazione del 60% per patologia invalidante al braccio sinistro. Assegnato a mansioni lavorative ritenute incompatibili con la propria infermità, era stato invitato dal datore di lavoro ad indicare altre mansioni ritenute compatibili. Invito cui non diede riscontro il lavoratore. L’azienda allora lo sospese dal servizio, mantenendo tuttavia in essere la retribuzione e contestualmente lo invitò a sottoporsi a visite mediche al fine di valutare lo stato di salute e individuare mansioni con questo compatibili. Condizionando la ripresa in servizio alla condizione sospensiva dell’espletamento degli accertamenti sanitari. Ai ripetuti inviti dell’azienda non seguì mai accettazione del lavoratore. Fino a giungere alla conferma del provvedimento sospensivo, anche della retribuzione, adottato ed impugnato dal lavoratore. La sospensione della prestazione retributiva ex art. 1460 c.c Il lavoratore ricorrente impugna la sentenza resa dalla Corte d’appello, affermando che il provvedimento di sospensione adottato dall’azienda debba in realtà intendersi quale provvedimento disciplinare di licenziamento, privo di giusta causa o giustificato motivo. La Suprema Corte non condivide la tesi prospettata. L’assegnazione del lavoratore a mansioni ritenute incompatibili con il suo stato di salute gli consente di chiedere al datore di lavoro l’affidamento di mansioni compatibili con la propria condizione invalidante, ma non gli permette di sottrarsi ai controlli medici disposti dal datore di lavoro per individuare mansioni idonee. Il rifiuto dà facoltà al datore di lavoro di sospendere la prestazione retributiva ai sensi dell’art. 1460 c.c., sottoponendo così la propria prestazione contrattuale alla condizione dell’effettuazione del lavoratore degli accertamenti sanitari. Il lavoratore interessato si trova così di fronte ad un bivio” soddisfare detta condizione sospensiva, sottoponendosi alle richieste visite mediche, o recedere dal rapporto, che troverà così risoluzione per impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore datore di lavoro , ai sensi dell’art. 1256 c.c Nel caso di specie, l’azienda ha correttamente esercitato il proprio diritto di sospensione e altrettanto correttamente la Corte di merito ha deciso la controversia, affermando l’avvenuta risoluzione del contratto di lavoro ex art. 1256 c.c. risultando immune da vizi di motivazione la sentenza impugnata. Ricorso inammissibile perché troppo generico. La Suprema Corte bacchetta” poi in modo netto il ricorso proposto, ravvisando una palese violazione del dettato di cui all’art. 366, n. 4, c.p.c., considerandolo di conseguenza inammissibile. Affermano i giudici di legittimità che dal contenuto del ricorso non è ricavabile una chiara indicazione delle norme asseritamente violate con la sentenza anzi, risulterebbe persino impugnata non la sentenza, bensì il provvedimento del datore di lavoro come se in questo giudizio di legittimità proseguisse il processo di merito . Prosegue la Cassazione ritenendo il contenuto del ricorso confuso, non risultando nemmeno chiaro se lamenti errori di diritto o vizi di motivazione . Da qui l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 febbraio – 23 aprile 2015, numero 8300 Presidente/Relatore Roselli Svolgimento del processo Con sentenza del 7 maggio 2012 la Corte d'appello di Roma confermava la decisione, emessa dal Tribunale di Latina, di rigetto della domanda proposta da S.S. contro la s.p.a. Aero sekur ed intesa alla dichiarazione d'illegittimità del provvedimento 24 aprile 2009, di sospensione dal servizio e dalla retribuzione, da considerare, in subordine, come licenziamento privo del giustificato motivo. La Corte osservava che lo S. era stato assunto il 27 giugno 2005 attraverso il collocamento obbligatorio, in quanto affetto da minorazione del sessanta per cento per aplasia dell'avambraccio sinistro. Assegnato ad una mansione compatibile con quest'infermità e lamentando la difficoltà d'esecuzione, egli non aveva risposto all'invito, del 29 ottobre 2007, di indicare altre mansioni compatibili il 26 marzo 2009 la società lo aveva sospeso dal servizio ma con corresponsione della retribuzione. Ai successivi e ripetuti inviti a sottoporsi a visite mediche anche presso centri speciali772ti egli aveva risposto col rifiuto, adducendo il diritto al trattamento riservato dei dati personali. Era seguito il provvedimento del 24 aprile 2009, dallo S. qualificato come irrogativo di sanzione disciplinare, un nuovo inutile invito a presentarsi, del 29 aprile 2009, ed una conferma della sospensione, dell'8 maggio successivo. La Corte d'appello escludeva la natura disciplinare del provvedimento, ravvisando l'estinzione dell'obbligazione lavorativa per impossibilità non imputabile al debitore articolo 1256 cod. civ. , e della correlativa obbligazione retributiva. Contro questa sentenza ricorre per cassazione lo S. mentre la s.p.a. Aero sekur resiste con controricorso. Motivi della decisione Con unico motivo il ricorrente lamenta l'illegittimità, nullità, inesistenza e/o inefficacia del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero del provvedimento di sospensione a tempo indeterminato dal servizio e dalla retribuzione . Il motivo è inammissibile. L'assegnazione del lavoratore a mansioni che egli afferma incompatibili col suo stato di salute può consentirgli di chiedere al datore di lavoro la riconduzione a mansioni compatibili ma non gli permette di rifiutare di sottoporsi a legittimi controlli medici, così esponendo il datore a pericolo di responsabilità ex articolo 2087 cod. civ. Il rifiuto dà facoltà al datore di sospendere la prestazione retributiva ai sensi dell'articolo 1460 cod. civ., alla condizione della sottoposizione del lavoratore ad accertamento sanitario, onde evitare il licenziamento cfr. in fattispecie analoga Cass.5 dicembre 2007 numero 25313 . II lavoratore interessato alla cessazione del periodo di sospensione può o soddisfare detta condizione, così collaborando ai sensi dell'articolo 13 75 cod. civ per la reali z7'zione della causa del contratto, oppure recedere dal rapporto. Nella specie la società datrice di lavoro ha esercitato la detta facoltà di sospensione, onde il dispositivo della sentenza impugnata risulta legittimo. L'inammissibilità della censura deriva dalla mancata, chiara indicazione delle norme asseritamente violate con la sentenza impugnata anzi, dalla rubrica sopra riportata risulta impugnata non una sentenza bensì un provvedimento della datrice di lavoro, come se in questo giudizio di legittimità proseguisse il processo di merito. Per il resto il contenuto del motivo di ricorso è esposto in modo confuso, pretendendo il ricorrente di distinguere fra situazioni di criticità nello svolgimento dell'attività lavorativa e impossibilità di svolgerla, introducendo questioni di fatto nuove, come quella concernente la verità del suo rifiuto di sottoporsi alle visite mediche, oppure l'attendibilità di relativi documenti, o ancora un non meglio precisato trattamento dei suoi dati personali o una temuta lesione del suo diritto alla riservatezza. Non risulta nemmeno chiaro se egli lamenti errori di diritto o vizi di motivazione, cosi rendendosi palese l'inosservanza dell'articolo 366, numero 4, cod. proc. civ. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in euro cento/00, oltre euro quattromila/O0 per compensi professionali, più accessori di legge.