Danno e risarcibilità per il mancato conferimento dell’incarico dirigenziale

Le scelte dalla p.a. in tema di conferimento di incarichi dirigenziali hanno natura di determinazioni negoziali privatistiche, con la conseguenza che l’amministrazione datrice di lavoro deve attenersi ai criteri generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost, nella giustificazione circa i criteri e le motivazioni che hanno portato alla scelta di non conferire l’incarico dirigenziale ad un determinato soggetto.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7495/15 depositata il 14 aprile. Il fatto. La Corte d’appello di Catania rigettava il gravame proposto da un ex dipendente dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Sicilia contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua richiesta di risarcimento per il mancato conferimento di incarichi dirigenziali. La sentenza di seconde cure viene impugnata innanzi alla Corte di Cassazione dal lavoratore. L’attribuzione della qualifica dirigenziale. Il primo motivo di doglianza lamenta la mancata applicazione della clausola del CCNL Area I Dirigenti in base alla quale le previsioni ivi contemplate dovevano essere applicate anche ai dirigenti ai quali non fosse ancora stato conferito un incarico dirigenziale. Tale argomentazione non è condivisa dai giudici di legittimità che ribadiscono come la costante giurisprudenza affermi che l’appartenenza ai ruoli dirigenziali non costituisca titolo per l’insorgenza automatica del diritto alla stipulazione con la p.a. di un contratto dal quale dipende l’acquisizione della qualifica dirigenziale. La normativa pattizia invocata dal ricorrente si riferisce dunque in modo esclusivo ai soggetti che tramite apposito contratto abbiano acquisito la qualifica dirigenziale, contratto non esistente nel caso in esame. Il conferimento di incarichi dirigenziali. Il ricorrente si duole inoltre per il fatto che la Corte territoriale abbia negato la rilevanza dei principi di correttezza e buona fede in ordine alla giustificazione circa i criteri e le motivazioni della scelta di non attribuire alcun incarico al medesimo ricorrente. Sul tema, il consolidato orientamento giurisprudenziale afferma che le scelte dalla p.a. in tema di conferimento di incarichi dirigenziali hanno natura di determinazioni negoziali, con il conseguente riconoscimento delle medesime caratteristiche e dei medesimi poteri dei datori di lavoro privati. L’amministrazione datrice di lavoro deve dunque attenersi ai criteri generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost La risarcibilità per il mancato conferimento dell’incarico. Non essendo comunque configurabile un diritto soggettivo a conservare o ottenere un determinato incarico dirigenziale, in assenza di specifico accordo contrattuale in tal senso, in sede giudiziale deve essere verificato il rispetto delle garanzie procedurali applicabili. Le situazioni soggettive che scaturiscono in capo ai lavoratori hanno natura di interesse legittimo, ma di diritto privato e rientrano nella categoria dei diritti di cui all’art. 2907 c.c Tali posizioni soggettive sono configurabili anche in relazione agli atti preliminari al conferimento dell’incarico dirigenziale e sono dunque suscettibili di tutela risarcitoria in sede giurisdizionale, a condizione che l’interessato dimostri la lesione dell’interesse legittimo suddetto e il danno subito. La pretesa risarcitoria rimane comunque irricevibile se fondata sulla lesione del mero diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, insussistente appunto in assenza di contratto con la p.a La Corte di merito non risulta essersi conformata ai principi esposti, circostanza che comporta l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 febbraio – 14 aprile 2015, n. 7495 Presidente Stile – Relatore Bandini Svolgimento del processo Con sentenza del 14.10.2010-15.1.2011 la Corte d'Appello di Catania rigettò il gravame proposto da V.R. , ex dipendente in quiescenza dal 1.9.2001, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Sicilia, avverso la pronuncia di prime cure che aveva disatteso la sua domanda risarcitoria svolta per il mancato conferimento delle funzioni dirigenziali, benché ciò fosse stato previsto nel decreto di nomina del 7.5.1999, essendo stato per contro adottato nei suoi riguardi un provvedimento di collocamento a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Corte territoriale, esclusa l'applicabilità alla fattispecie del disposto dell'art. 13 del CCNL Area dirigenti per il quadriennio 1998-2001 e ritenuta l'esistenza di un potere discrezionale del datore di lavoro pubblico quanto al conferimento dell'incarico dirigenziale, osservò che la violazione dei principi della correttezza e della buona fede poteva configurarsi solo in presenza della lesione di diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge o contrattuali e rilevò che la disciplina pubblica degli incarichi dirigenziali si fondava sui principi della temporaneità e fiduciarietà e che, stante appunto il potere datoriale del tutto discrezionale nella scelta dei soggetti ai quali conferire gli incarichi dirigenziali, era da ritenersi insussistente un diritto soggettivo dei dirigenti allo svolgimento delle funzioni dirigenziali era peraltro previsto dal sistema che ai dirigenti non destinatari di incarico dirigenziale potessero essere assegnate funzioni ispettive o di studio, senza che risultasse però configurabile un diritto tutelabile ai sensi dell'art. 2013 cc, in quanto espressamente non applicabile. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, V.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria. L'intimata Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 13, comma 1, CCNL Area I Dirigenti, valevole per il quadriennio 1998-2001, deducendo che, in base al tenore di tale clausola, le previsioni ivi contemplate dovevano ritenersi applicabili, contrariamente a quanto reputato dai Giudici del merito, anche ai dirigenti ai quali non fosse ancora stato conferito un incarico dirigenziale. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia negato la rilevanza dell'osservanza dei principi di correttezza e buona fede in ordine all'assenza di qualsivoglia giustificazione circa i criteri seguiti e le motivazioni adottate nella scelta di non attribuire alcun incarico ad esso ricorrente. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell'art. 6, comma 2, dpr n. 150/99, il ricorrente deduce, subordinatamente, che gli competevano lo svolgimento di funzioni nell'ambito di programmi specifici di ispezione e verifica, nonché di ricerca, studio e monitoraggio, come previsto dalla ridetta previsione. 2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'appartenenza ai ruoli dirigenziali non costituisce titolo per l'insorgenza del diritto alla stipulazione con l'amministrazione pubblica del contratto dal quale dipende - in via esclusiva - l'acquisizione della qualifica dirigenziale cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4275/2007 21700/2013 . La normativa pattizia invocata dal ricorrente non può dunque che riferirsi a quei soggetti che, tramite la conclusione di apposito contratto, inesistente nella specie, abbiano acquisito tale qualifica. Il motivo all'esame va dunque disatteso. 3. In ordine al secondo motivo deve rilevarsi che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 21671/2013 10370/1998 Cass., nn. 13867/2014 21700/2013 18836/2013 21088/2010 18857/2010 20979/2009 5025/2009 28274/2008 9814/2008 4275/2007 14624/2007 23760/2004 , anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che le norme contenute nell'art. 19, comma 1, dl.vo n. 165/01 pure nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui è causa obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, senza peraltro che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale. Gli artt. 1175 e 1375 cc, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione, obbligano la pubblica amministrazione a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicché, ove l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento al riguardo, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile. Non essendo peraltro configurabile un diritto soggettivo a conservare - o ad ottenere - un determinato incarico di funzione dirigenziale, in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo o il mancato conferimento dell'incarico sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonché con l'osservanza delle regole di correttezza e buona fede. Essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali, ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di interessi legittimi , ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cc tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato alleghi e provi la lesione dell'interesse legittimo suddetto, nonché il danno subito, in dipendenza dell'inadempimento di obblighi gravanti sull'amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione. Essendosi la Corte territoriale discostata dai suindicati principi, il motivo all'esame risulta fondato. 4. Il terzo motivo appare inammissibile il ricorrente si limita infatti a rammentare il contenuto della norma asseritamente violata, senza svolgere tuttavia alcuna considerazione critica rispetto all'argomentazione della Corte territoriale relativa all'inapplicabilità nella specie dell'art. 2103 cc, onde la doglianza si presenta priva di specificità. 5. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei limiti sopra precisati. Per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi di diritto. Il Giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione.