Firma del sindaco, dirigente dell’area contabile revocata: nessun demansionamento, nessun risarcimento

Confermata la vittoria del Comune. Respinte tutte le contestazioni mosse dalla lavoratrice nei confronti della condotta tenuta nei suoi confronti. Legittima la scelta di revocare l’incarico a lei affidato di dirigente apicale dell’area contabile.

Ubi maior, minor cessat . Anche all’interno del Municipio, dove maior è il sindaco e minor è il dipendente. Ciò significa, normativa alla mano, che è legittima, e non contestabile, la decisione del ‘primo cittadino’ di revocare l’incarico dirigenziale – di responsabile dell’area contabile, in questo caso – al lavoratore Cassazione, sentenza n. 6367, sez. Lavoro, depositata oggi . Revoca. Casus belli , in un piccolo Comune campano, è la revoca di una dipendente dall’incarico di responsabile dell’area contabile . Per nulla contenta, ovviamente, la lavoratrice, che cita in giudizio il Comune, puntando ad un adeguato risarcimento dei danni. Tutto inutile, però, perché i giudici di merito ritengono priva di fondamento la richiesta avanzata dalla donna. Ciò per una ragione semplicissima non vi era un diritto della dipendente a vedersi affidato l’incarico , anche perché la revoca derivava dalla scelta, rientrante nei poteri discrezionali del Comune, di accorpare differenti aree di servizio . Posto salvo. E la linea di pensiero tracciata tra primo e secondo grado viene condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, respingono le ulteriori contestazioni mosse dalla donna, confermando, di conseguenza, la legittimità dell’operato dell’azione del Comune. Rilevante la constatazione che la revoca dell’incarico è stata frutto della modifica della dotazione organica, che ha accorpato – assorbendola – l’area contabile – alla cui direzione era assegnata la donna – in altra area composita, detta amministrativa a seguito di delibera ad hoc . Peraltro, non si può affatto ignorare che la mancata assegnazione di un incarico di posizione organizzativa , concludono i giudici, non dà origine a demansionamento, in quanto tutti gli incarichi sono conferiti a tempo determinato e possono essere revocati anticipatamente, restando il dipendente – alla scadenza dell’incarico – inquadrato nella categoria di appartenenza e nelle funzioni del profilo di appartenenza, con il relativo trattamento economico . Quindi, tirando le somme, la dipendente non ha motivo per lamentarsi, né, tantomeno, per chiedere un risarcimento per un assolutamente teorico demansionamento .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 gennaio – 30 marzo 2015, n. 6367 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 3.7.2007, la corte d'appello di Napoli, confermando la sentenza del 3.4.2004 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha rigettato la domanda di D.S.L., con la quale la stessa chiedeva -nei confronti del comune di Pietravairano accertarsi l'illegittimità degli atti comunali di revoca dell'incarico di responsabile dell'area contabile del detto comune, ed ha altresì rigettato la domanda di risarcimento dei danni per asserito mobbing. In particolare, la Corte ha ritenuto che non vi era un diritto della ricorrente a vedersi affidato il detto incarico, tanto più che la revoca dello stesso derivava dalla scelta di accorpare aree di servizio, scelta rientrante nei poteri discrezionali dell'ente per altro verso, la Corte ha ritenuto non provato il demansionamento della lavoratrice -non essendo applicabile peraltro l'articolo 2103 c.c. alla materia della revoca degli incarichi dirigenziali né per altro verso il mobbing asserito dalla lavoratrice. 2. Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per sette motivi, cui resiste il datore con controricorso. 3. Con il primo motivo si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dell'articolo 33 del dpr 333 del 1990, dell'articolo 33 del contratto collettivo enti locali per il quadriennio 1998-2001 e dell'articolo 33 dei d.p.r 165 del 2001, per avere la corte territoriale ritenuto abrogato l'articolo 33 del decreto 333 del 1990 dalla fonte contrattuale. Con il secondo motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione degli articoli 44 del contratto collettivo enti locali 1994-97 e degli articoli 8 e 9 del contratto collettivo enti locali 1998-2001, per aver attribuito la responsabilità degli uffici e servizi a dipendente di altra area nella specie, l'area amministrativa , sebbene l'incarico riguardasse l'area contabile. Con il terzo motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dell'articolo 109 d.lgs. 267 del 2000, in quanto applicato sebbene entrato in vigore successivamente al 4 luglio del 2000, data dei conferimento dell'incarico. Con il quarto motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dell'articolo 2103 c.c. e dell'articolo 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, per aver negato il diritto della ricorrente ad essere nominata apicale dell'area contabile. Con il quinto motivo si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione degli articoli 410 e seguenti e dell'articolo 412 c.p.c., per aver escluso il mobbing sulla base di un'offerta -peraltro non rituale-, effettuata in sede conciliativa, della responsabilità di un servizio diverso, sebbene del verbale della seduta di conciliazione si può tener conto solo ai fini delle spese del giudizio e non anche per il merito della controversia. Con il sesto motivo si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. violazione degli articoli 2103 e 1226 c.c. e 91 c.p.c., per aver escluso un risarcimento quantificabile anche in via equitativa per il denunciato mobbing. Con il settimo motivo si deduce -ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. vizio di motivazione della sentenza in ordine alla mancata applicazione dell' articolo 2103 c.c., in quanto trattandosi di conferimento di incarico in un comune di privo di personale di qualifica dirigenziale non poteva trovare applicazione l'articolo 19, comma 1, del testo unico sul pubblico impiego, nella parte in cui esclude l'applicabilità dell'articolo 2103 c.c. Motivi della decisione 4. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi essi sono infondati. La corte ha ritenuto abrogate le disposizioni che imponevano tre aree distinte nell'organizzazione dell'amministrazione ed in particolare l'articolo 33 comma 6 del DPR 333 del 90, abrogato dal ccnl Comparto ministeri del quadriennio 1998-2001, come previsto dall'art. 1 punto d dell'allegato C del d.lgs. 165 del 2001, come pure quelle che stabilivano i titoli richiesti per l'accesso alla carica di responsabile dell'area contabile di cui all'articolo 26 del d.p.r 268 del 1987, ritenendo applicabile invece l'articolo 109 del testo unico degli enti locali n. 267 del 2000, che consente l'attribuzione dei compiti dirigenziali ai responsabili di uffici e servizi indipendentemente dal loro qualifica funzionale, a seguito di provvedimento motivato del sindaco. La sentenza richiama impropriamente il ccnl del comparto ministeri e non quello degli enti locali dell'1.4.99, al quale invece va ricondotto l'effetto abrogativo dell'art. 33 suddetto per altro verso, l'effetto abrogativo si è prodotto non per effetto del testo unico p.i. entrato in vigore successivamente alla data di conferimento dell'incarico per cui è causa , ma per effetto dell'art. 45, co. 9, del d.lgs. 29/93 norma poi confluita nell'art. 45, co. 9, del testo unico . Improprio è poi altresì il richiamo al testo unico degli enti locali n. 267 dell'agosto 2000, del pari sopravvenuto alla data di conferimento dell'incarico in questione, che è del luglio precedente, dovendosi far riferimento all'art. 51 co. 5 d.lgs. 142/90, che già conteneva la norma poi confluita nel testo unico enti locali. 5. Pur corretta la motivazione della sentenza impugnata alla luce delle considerazioni su estese, deve rilevarsi però che la soluzione cui è pervenuta la corte è condivisibile. 6. Questa Corte ha già affermato Sez. U, Sentenza n. 3183 del 01/03/2012 Sez. L, Sentenza n. 3705 dei 16/02/2009 che, in materia di pubblico impiego privatizzato, l'art. 72 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 , nel prevedere che gli accordi sindacali, recepiti in decreti del Presidente della Repubblica ai sensi della legge 29 marzo 1983, n. 93, e le norme generali e speciali disciplinanti il rapporto di impiego pubblico integrino la disciplina del rapporto di lavoro, ne ha sancita la derogabilità ad opera dei contratti collettivi, disponendone, in ogni caso, l'inefficacia dal momento della sottoscrizione, per ogni ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo, salvo che per la disciplina in materia di trattamenti economici accessori che, ove non espressamente recepita in occasione del primo contratto collettivo, doveva ritenersi già abrogata. 7. Nel sistema normativo applicabile, come sopra indicato, al conferimento delle posizioni organizzative possono aspirare i dipendenti inquadrati in categoria D, senza ulteriori restrizioni e indipendentemente della articolazione della dotazione organica. Per altro verso, gli artt. 8 ss. ccnl enti locali 31.3.99 riconoscono al sindaco discrezionalità nell'affidamento degli incarichi di posizione organizzativa ed attribuiscono rilievo ai mutamenti organizzativi ai fini della revoca degli stessi. 8. La sentenza impugnata ha quindi correttamente valutato che fa revoca dell'incarico alla ricorrente è effetto, da un lato, della modifica della dotazione organica che ha accorpato -assorbendola l'area contabile -alla cui direzione era assegnata la ricorrente in altra area composita, detta amministrativa, per effetto della delibera n. 80 del 2001. La sentenza ha sottolineato, altresì, che, nel caso., entrambi i soggetti destinatari dell'incarico erano inquadrati nella categoria D3 ed in possesso di capacità adeguata, quanto meno pari a quella della ricorrente, mentre la ricorrente non ha spiegato perché l'amministrazione dovesse preferirla nell'incarico una volta che la provenienza dall'area contabile non assumeva rilevanza nel nuovo contesto normativo ed organizzativo come sopra delineato. 9. In tale contesto, va rilevato che il conferimento di posizione organizzativa non comporta l'inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l'attribuzione di una posizione di responsabilità senza mutamento di posizione funzionale, con correlato riconoscimento di un particolare beneficio economico l'istituto attiene più alla disciplina della retribuzione che a quella dell'inquadramento, sicché non può verificarsi demansionamento per effetto della revoca di una posizione organizzativa. La fattispecie in discorso inerente la revoca delle posizioni organizzative è quindi del tutto estranea all'ambito di applicazione dell'articolo 2103 c.c. come pure dell'art. 52 del testo unico sul pubblico impiego infatti, la mancata assegnazione di un incarico di posizione organizzativa non dà quindi origine a demansionamento, in quanto tutti gli incarichi sono conferiti a tempo determinato e possono essere revocati anticipatamente, restando il dipendente -alla scadenza dell'incarico inquadrato nella categoria di appartenenza e nelle funzioni del profilo di appartenenza con il relativo trattamento economico Sez. L, Sentenza n. 3451 del 15/02/2010 Sez. L, Sentenza n. 23760 del 22/12/2004 Sez. L, Sentenza n. 29817 del 19/12/2008 . 10. Infine, è stato escluso il demansionamento anche per altri profili, così come è stata esclusa la ricorrenza del mobbing denunciato per assenza assoluta di prova. Privo di valenza decisiva è poi il richiamo nella sentenza impugnata censurato dalla ricorrente alla valutazione del comportamento delle parti in sede conciliativa, al quale ë stato attribuita una mera valenza confermativa di quanto comunque risultato sul piano istruttorio. 11. Il ricorso deve essere per quanto detto rigettato. 12. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro quattromila per compensi, euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.