Le ferie non godute ed indennizzate non sfuggono ai contributi

L’indennità per ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale, poiché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha un carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate, con violazione di norme poste a tutela del lavoratore.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 6189, depositata il 26 marzo 2015. Il caso. Una società si opponeva contro il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per il pagamento di somme dovute a titolo di contributi e somme aggiuntive in relazione a somme corrisposte ai dipendenti a titolo di indennità sostitutiva di ferie non godute e permessi individuali retribuiti periodo 1993-1994 . La Corte d’appello di Bari rigettava l’opposizione, rilevando che la corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie ha natura retributiva e, in ogni caso, un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non escluderebbe la sua assoggettabilità a contribuzione. La società ricorreva in Cassazione, deducendo la natura risarcitoria dell’indennità sostitutiva delle ferie e, quindi, la sua esclusione dalla base contributiva, non rientrando nella nozione di retribuzione imponibile. Indennità soggetta a contribuzione. La Corte di Cassazione ricorda che l’indennità per ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale, ai sensi dell’art. 12 l. n. 153/1969 revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale , in quanto, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha un carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. prestazioni di fatto con violazione di legge a favore delle prestazioni effettuate, con violazione di norme poste a tutela del lavoratore. Non serve invocare la natura risarcitoria. Un eventuale concorrente profilo risarcitorio di tale indennità non ne escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile prevista dall’art. 12 l. n. 153/1969, costituendo comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell’elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla retribuzione . A diverse conclusioni non porta neanche quanto disposto dall’art. 10 d.lgs. n. 66/2003, come modificato dal d.lgs. n. 213/2004, che ha disposto che il trattamento per ferie non godute non può essere più sostituito da un’indennità, ovvero il rilievo della natura retroattiva della norma , posto che il carattere risarcitorio dell’erogazione corrisposta per compensare le ferie non godute dal dipendente non è di ostacolo all’assoggettamento a contribuzione della predetta erogazione, trattandosi in ogni caso di compenso corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro ed in relazione a una prestazione lavorativa, non dovuta, ma comunque effettuata dal lavoratore . L’art. 12 l. n. 153/1969 non può non rendere dipendenti” dal rapporto di lavoro le somme erogate a titolo di risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni derivanti dallo stesso rapporto . Perciò, gli Ermellini approvano la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto assoggettabili a contribuzione le somme corrisposte sia per le ferie che per i permessi individuali non goduti. Su quest’ultimo aspetto, la Cassazione sottolinea che l’accertamento dell’avvenuta retribuzione è un compito riservato ai giudici di merito nel caso di specie, la Corte d’appello di Bari aveva dato atto che quelli contestati erano stati proprio permessi individuali non fruiti e retribuiti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 25 febbraio – 26 marzo 2015, n. 6189 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto Con sentenza n. 3126/2011 del 22/7/2011 la Corte di appello di Bari, confermando la sentenza impugnata, rigettava l'opposizione proposta dalla Metro Italia Cash and Carry S.p.A. avverso il decreto ingiuntivo n. 5561/99 emesso in data 23/4/1999 con il quale era stato intimato alla società il pagamento di somme dovute, tra l'altro, a titolo di contributi e somme aggiuntive in relazione a somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità sostitutiva di ferie non godute e permessi individuali retribuiti per gli anni 1993 - 1994. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta richiamando la giurisprudenza secondo cui la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie ha natura retributiva e, comunque, un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non escluderebbe la sua assoggettabilità a contribuzione. Quanto ai permessi individuali retribuiti richiamava la trentennale giurisprudenza di legittimità che aveva previsto il corrispondente obbligo contributivo. In relazione, infine, al computo delle sanzioni, il giudice di appello riteneva che i rilievi della società fossero infondati, perché l'Istituto aveva applicato, correttamente, il regime di cui alla legge n. 388 del 2000. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Metro Italia Cash and Carry S.p.A. affidandosi a sei motivi di ricorso. L'I.N.P.S. resiste con controricorso. Il ricorso è inammissibile per tardività. La sentenza della Corte di appello, pronunciata all'udienza del 19 maggio 2011, è stata depositata il 22 luglio 2011. Il ricorso per cassazione è stato notificato il 18 settembre 2012. È pur vero che sotto la data di deposito è indicata una diversa data di pubblicazione e cioè la data del 19 settembre 2011 , tuttavia di tale secondo termine non si può tenere conto ai fini della tempestività del ricorso. Deve, al riguardo, rammentarsi che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che A norma dell'art. 133 cod. proc. civ., la consegna dell'originale completo del documento-sentenza al cancelliere, nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione, il quale si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione, in calce al documento, della firma e della data del cancelliere, che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge. È, pertanto, da escludere che il cancelliere, preposto, nell'espletamento di tale attività, alla tutela della fede pubblica art. 2699 cod. civ. , possa attestare che la sentenza, già pubblicata, ai sensi dell'art. 133 cod. proc. civ., alla data del suo deposito, viene pubblicata in data successiva, con la conseguenza che, ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l'altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito cfr. Cass., Sez. un., n. 13794 dell'1 agosto 2012 . Le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto determinatosi, negli indirizzi di legittimità, con riguardo alla identificazione, al fine della decorrenza dei termini per l'impugnazione, della data di pubblicazione della sentenza, hanno accolto, dunque, l'indirizzo per cui l'attività di attestazione supposta dall'art. 133 cod. proc. civ. è prevista dal comma 2 della norma non come da compiersi una volta avvenuto il deposito, cioè come attività eventualmente successiva e, quindi, non necessariamente contestuale, bensì come attività di attestazione contestuale del deposito la norma dice, infatti, che il cancelliere da atto del deposito . Il dare atto si riferisce al deposito in tal senso si era già espressa Cass. n. 8979 del 19 aprile 2011 . La pubblicazione assume, dunque, il significato di effetto giuridico del deposito da parte del cancelliere, senza che nessun atto diverso di questi sia concepibile, nella descritta vicenda finale della preparazione all'esistenza della sentenza questa esiste in quanto e da quando resa pubblica mediante il suo deposito da parte del cancelliere, che ne riceve l'originale firmato e controllato dal magistrato decidente. Di conseguenza ogni altra data apposta sulla sentenza successivamente a quella di deposito di essa è priva di qualsiasi rilevanza per gli effetti giuridici che la legge fa derivare dalla sua pubblicazione si veda, in tal senso, Cass. 16 gennaio 2013, n. 899 id. 1 febbraio 2013, n. 2435 23 novembre 2012, n. 20835 26 novembre 2012, nn. 20868 e 20871 . Né può sostenersi che con la formula consegnata in cancelleria per la pubblicazione il cancelliere abbia attestato soltanto la consegna della sentenza per la successiva pubblicazione e non il deposito del provvedimento. Nella richiamata pronuncia delle Sez. Un. è stato, infatti, chiaramente precisato che l'attività di attestazione - nei termini definiti dal comma 2 dell'art. 133 cod. proc. civ. - non è attività eventualmente successiva al deposito, ma è necessariamente contestuale ad esso il cancelliere da atto del deposito , il dare atto si riferisce al deposito così Cass. 18 settembre 2013, n. 21262 . Per quanto sopra considerato, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., n. 5. Laddove il collegio ritenesse di non condividere la suddetta soluzione, va comunque segnalato che sulle medesime questioni poste dalla Metro Italia Cash and Carry S.p.A. con il presente ricorso questa Corte si è già espressa nelle decisioni del 25 gennaio 2011, n. 1057 e del 26 gennaio 2012, nn. 1101 e 1102 e non sussistono ragioni per discostarsi dal suddetto recente orientamento”. 2 - La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ 3- Il Collegio ritiene di non condividere la relazione nella parte in cui è proposta la declaratoria di inammissibilità per tardività del ricorso. La questione della doppia attestazione sull'originale della sentenza di una data di consegna per la pubblicazione e di una data di pubblicazione è stata di recente esaminata dalla Corte costituzionale che nella decisione del 22 gennaio 2015 n. 3 ha affermato Per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima. Il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende di fatto inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa . Nel caso in esame, la tempestività del ricorso per cassazione va, dunque, valutata non in relazione alla data di consegna della sentenza alla cancelleria per la pubblicazione 22/7/2011 ma alla data di pubblicazione 19/9/2011 . La tardività va, di conseguenza, esclusa. 4- Il ricorso è manifestamente infondato. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell'art. 12 legge n. 153/69 nella formulazione precedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 314/1997 , deduce, la natura risarcitoria dell'indennità sostitutiva delle ferie e, quindi, la sua esclusione dalla base contributiva, non rientrando nella nozione di retribuzione imponibile ai sensi della norma rubricata. Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando ancora violazione dell'art. 12 legge n. 153/69 nella formulazione precedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 314/1997 , deduce che la dipendenza dal rapporto di lavoro deve essere riferita al regolare svolgimento del rapporto medesimo e non anche alle inosservanze eventualmente compiute dal datore di lavoro, onde le somme dovute in conseguenza di tali inadempienze non possono essere considerate rientranti nell'imponibile contributivo. Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale ha del tutto omesso di valutare le conseguenze derivanti dall'introduzione dell'art. 10, d.lgs. n. 66/03, che ha introdotto il divieto di monetizzazione dell'indennità sostitutiva per ferie non godute e così indirettamente confermatola tesi della società circa la non debenza di somme a titolo di contribuzione per compensi erogati per indennità sostitutiva per ferie non godute. Il punto n. 4 del ricorso, con il quale la ricorrente, a fronte dell'orientamento contrario manifestato da numerosi precedenti di questa Corte, auspica un approfondimento della questione alla luce di altre pronunce evidenzianti, con riguardo all'indennità sostitutiva delle ferie, l'esistenza di un concorrente profilo risarcitorio, non configura un autonomo motivo di doglianza. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116 della legge n. 388/2000. Si duole della mancata applicazione del regime sanzionatorio più favorevole previsto da tale norma. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 437, co. 2, cod. proc. civ Lamenta il fatto che la Corte barese abbia ritenuto tardivamente proposto in appello il rilievo relativo al regime sanzionatorio. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono manifestamente infondati. Deve darsi continuità, essendo state le questioni sollevate già oggetto di disamina, al prevalente orientamento di questa Corte cfr., ex plurimis, Cass., nn. 4839/1998 6607/2004 17761/2005 19023/2006 11262/2010 1101/2012 1102/2012 1057/2012 660/2015 , secondo cui - l'indennità per ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell'art. 12 legge n. 153/69, poiché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha un carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall'art. 2126 cod. civ., a favore delle prestazioni effettuate, con violazione di norme poste a tutela, del lavoratore un eventuale concorrente profilo risarcitorio di detta indennità non ne escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata nell'art. 12 legge n. 153/69, costituendo comunque un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell'elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla retribuzione non può condurre a diverse conclusioni il disposto dell'art. 10 d.lgs. n. 66/03, come modificato dal d.lgs. n. 213/04, che, dando attuazione alla direttiva CE n. 931104, ha disposto che il trattamento per ferie non godute non può essere più sostituito da una indennità, ovvero il rilievo della natura retroattiva della norma, affermata dalla Corte di Giustizia CE con decisione C-124/05 del 6 aprile 2006, posto che il carattere risarcitorio dell'erogazione corrisposta per compensare le ferie non godute dal dipendente non è di ostacolo all'assoggettamento a contribuzione della predetta erogazione, trattandosi in ogni caso di compenso corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro ed in relazione a una prestazione lavorativa, non dovuta, ma comunque effettuata dal lavoratore, sicché essa è comunque riconducibile nell'ambito di applicazione dell'art. 12 legge n. 153/69, che non può non rendere dipendenti dal rapporto di lavoro le somme erogate a titolo di risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni derivanti dallo stesso rapporto - deve quindi ritenersi ormai superato il difforme orientamento cfr. Cass., nn. 10173/2000 12850/2000 che, riconoscendo all'indennità sostitutiva delle ferie non godute natura risarcitoria, ne ha escluso l'assoggettabilità a contribuzione. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto assoggettabili a contribuzione le somme corrisposte sia per le ferie che per i permessi individuali non goduti dovendosi evidenziare, quanto a questi ultimi, che l'accertamento dell'avvenuta retribuzione è compito riservato al giudice del merito e, nella specie, la Corte territoriale ha dato atto che quelli in discussione erano stati, appunto, permessi individuali non fruiti e retribuiti . Il quinto motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità ed è comunque manifestamente infondato rendendo, così, superfluo l'esame del sesto motivo . La società ricorrente non ha riprodotto il contenuto degli atti in relazione ai quali fonda le censure né allegato gli stessi al ricorso per cassazione, essendosi limitata ad un mero generico richiamo alla documentazione depositata all'udienza del 25/11/2004 ed alla circostanza che la società aveva pagato all'I.N.P.S. quanto richiesto già in data 12/7/1999 e cioè prima della data 30/9/2000 fissata dall'art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000. Il motivo è comunque infondato alla stregua dei principi già espressi da questa Corte cfr. Cass. n. 11262 del 10 maggio 2010 nn. 1101 e 1102 del 26 gennaio 2012 n. 1057 del 25 gennaio 2012 secondo cui il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, non ha efficacia retroattiva e il riferimento ai crediti in essere e accertati al 30 settembre 2000 esclude che vi sia stata deroga al principio di irretroattività quanto all'obbligo di immediato pagamento delle sanzioni, che restano dovute nella misura e secondo le modalità fissate dalle disposizioni di legge che in precedenza regolavano la materia, limitandosi la norma a prevedere per i suddetti crediti un meccanismo in base al quale la differenza tra quanto dovuto secondo le leggi previgenti e quanto calcolato ai sensi dei precedenti commi dell'art. 116 cit. costituisce un credito contributivo da porre a conguaglio successivamente”. 5 - Sussiste con ogni evidenza il presupposto dell'art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 6 - Conseguentemente, il ricorso va rigettato. 7 - La regolamentazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso condanna la società ricorrente al pagamento, in favore dell'I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100.00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.