Impugnato il licenziamento, scatta la corsa contro il tempo per l’azione giudiziale

La lettera della disposizione contenuta nell’art. 32, comma 1, l. n. 183/2010, modificato dall’art. 1, comma 38, l. n. 92/2012, che commina l’inefficacia dell’impugnazione extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo, e non dalla fine dei 60 giorni concessi per l’impugnazione stragiudiziale. L’esigenza di celerità, intesa a tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, indica ancora che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5717, depositata il 20 marzo 2015. Il caso. La Corte d’appello di Catanzaro dichiarava l’inefficacia di un licenziamento intimato nel febbraio 2012 ad una lavoratrice. I giudici di merito consideravano tempestiva l’impugnazione del licenziamento proposta con ricorso, ritenendo rispettato il termine di 270 giorni, sancito dall’art. 6 l. n. 604/1966 nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla l. n. 92/2012 , che prevedeva il termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento e l’inefficacia dell’impugnazione stessa se non seguita entro i successivi 270 ora ridotti a 180 dalla l. n. 92/2012 giorni dal deposito del ricorso in sede giudiziale. Secondo la Corte d’appello, il termine di 270 giorni decorreva da quello di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale, per cui il termine complessivo per l’impugnazione giudiziale era di 330 giorni complessivi. La società datrice di lavoro ricorreva in Cassazione, sostenendo che il termine per l’impugnazione decorra dall’atto dell’impugnazione stragiudiziale e non dal termine previsto per tale impugnazione. Impugnazione del licenziamento. La Corte di Cassazione ricorda che, secondo l’art. 6, comma 1, l. n. 604/1966, il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. Per impedire questa decadenza, sottolineano gli Ermellini richiamando il proprio precedente n. 8830/2010 , è sufficiente la consegna dell’atto all’ufficio pubblico che cura la spedizione, non rilevando il giorno di ricezione da parte del datore di lavoro. Deposito del ricorso. L’art. 32 l. n. 183/2010 ha modificato poi l’art. 6, comma 2, l. n. 604/1966, prevedendo che tale impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni ridotti a 180 dall’art. 1, comma 38, l. n. 92/2012 , dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro. La Cassazione affronta la questione del momento in cui inizia a decorrere tale termine dalla spedizione dell’impugnazione stragiudiziale o dallo scadere del termine di 60 giorni come affermato dai giudici di merito ? Da quando scatta il termine. Secondo gli Ermellini, la risposta corretta è la prima la lettera della disposizione dell’art. 32 l. n. 183/2010 commina l’inefficacia dell’impugnazione extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale. Da ciò, si ricava che dal primo atto deve decorrere il termine per adempiere al secondo. Infatti, l’esigenza di celerità, alla base della norma di modifica, intende tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, per cui il termine deve decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto. Perciò, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso e decidendo nel merito la causa respingendo la domanda della lavoratrice , afferma il seguente principio di diritto La lettera della disposizione contenuta nell’art. 32, comma 1, l. n. 183/2010, modificato dall’art. 1, comma 38, l. n. 92/2012, che commina l’inefficacia dell’impugnazione extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo, e non dalla fine dei 60 giorni concessi per l’impugnazione stragiudiziale. L’esigenza di celerità, intesa a tutelare l’interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, indica ancora che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell’atto .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 febbraio – 20 marzo 2015, numero 5717 Presidente Roselli – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 30 maggio 2014 la Corte d'appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza del 28 gennaio 2014, ha dichiarato l'inefficacia del licenziamento intimato in data 29 febbraio 2012 a C.A.S.A. dalla Casa di Cura Villa degli Oleandri s.r.l. Per quanto rileva in questa sede la Corte territoriale ha considerato tempestiva l'impugnazione del licenziamento proposta con ricorso depositato il 21 gennaio 2013 considerando rispettato il termine di 270 giorni di cui all’articolo 6 della legge 604 del 1966 come modificato dall'art 32 della legge numero 183 del 2010, che prevede il termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento e l'inefficacia dell'impugnazione stessa se non seguita entro i successivi duecentosettanta giorni dal deposito del ricorso in sede giudiziale in particolare la Corte d'appello ha considerato che il termine di duecentosettanta giorni decorre dal termine di sessanta giorni per l'impugnazione stragiudiziale per cui il termine complessivo per l'impugnazione giudiziale è di sessanta più ducentosettanta giorni e quindi di trecentotrenta giorni complessivi. La Casa di Cura Villa degli Oleandri s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo. Resiste C.A.S.A. con controricorso. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 della legge numero 604 del 1966 sostenendosi che il termine per l'impugnazione di duecentosessanta giorni decorra dall'atto dell'impugnazione stragiudiziale e non dal termine previsto per tale impugnazione. Il ricorso è fondato. A norma dell'articolo 6, primo comma, L. numero 604 del 1966, il licenziamento dev'essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore . Per l'impedimento di questa decadenza è sufficiente la consegna dell'atto all'ufficio pubblico che cura la spedizione, come ha stabilito Cass. Sez. Unumero 14 aprile 2010 numero 8830, non rilevando perciò il giorno di ricezione da parte del datore di lavoro. Prima che il secondo comma di detto articolo 6 venisse novellato dall'articolo 32 L. numero 183 del 2010, una volta impedita la decadenza, il potere di impugnare in via giudiziale il licenziamento veniva assoggettato, a norma dell'articolo 2967 cod. civ., al termine quinquennale di prescrizione di cui all'art 442, primo comma, cod. civ. Sembrò al legislatore che la durata di questo termine lasciasse troppo a lungo incerta la posizione del datore di lavoro, sottoposto alla possibilità dell'ordine di reintegrazione da parte del giudice e della condanna a risarcire un danno che aumentava col trascorrere del tempo. La lunghezza di detto temine poteva così favorire una sorta di abuso della prescrizione, ossia di inerzia del lavoratore, che traesse vantaggio dalla protrazione dell'esercizio del suo potere di impugnare e di chiedere il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo. Intervenne così il legislatore del 2010, che con l'articolo 32, comma 1 cit., stabilì L'impugnazione stragiudiziale è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta poi ridotto a centottanta dall'articolo 1, comma 38, l. numero 92 del 2012 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro . La questione che la ricorrente pone ora alla Corte è se la decorrenza di quest'ultimo termine inizi dalla spedizione dell'impugnazione stragiudiziale, oppure, come deciso dalla Corte d'appello, dallo scadere del termine di sessanta giorni di cui all'articolo 6 cit. La questione deve essere risolta nel primo senso. La lettera della disposizione contenuta nell'articolo 32, comma 1, cit., che commina l'inefficacia dell'impugnazione extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo. L'esigenza di celerità, intesa, come s'è detto, a tutelare l'interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, porta a precisare che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell'atto. Deve dunque essere affermato il seguente principio di diritto La lettera della disposizione contenuta nell'articolo 32, comma 1, L. numero 183 del 2010, modificato dall'articolo 1, comma 38, L. numero 92 del 2012 che commina l'inefficacia dell'impugnazione extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, dimostra come dal primo dei due atti debba decorrere il termine per compiere il secondo, e non dalla fine dei sessanta giorni concessi per l'impugnazione stragiudiziale. L'esigenza di celerità, intesa a tutelare l'interesse del datore di lavoro alla certezza del rapporto, indica ancora che il termine debba decorrere dalla spedizione e non dalla ricezione dell'atto”. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata. Non essendo necessari accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda dell'originaria ricorrente. Le incertezze giurisprudenziali sulla questione affrontata inducono alla compensazione fra le parti delle spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di C.A.S.A. Compensa fra le parti le spese dell'intero processo Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.