Società nega il licenziamento e deduce le dimissioni: non bastano le parole, servono i fatti

Il datore di lavoro, che nega il licenziamento, deve dare la prova delle dimissioni, che deduce essere state date dal lavoratore. Questa prova non può essere limitata all’allontanamento del lavoratore dall’azienda, ma deve includere anche le circostanze di fatto indicative dell’intento recessivo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4241, depositata oggi. Il caso. La Corte d’appello di Roma rigettava la domanda di una lavoratrice di annullamento del licenziamento subito. Secondo i giudici di merito, era insufficiente la prova del licenziamento e le affermazioni dell’attrice non permettevano di superare quanto dedotto dalla società, secondo cui la donna aveva dato delle dimissioni orali. La lavoratrice ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 2697 c.c. e deducendo che la società aveva l’onere di fornire la prova delle sue dimissioni, ma non l’aveva fatto. Onere della prova. La Corte di Cassazione ricorda che le dimissioni sono un negozio giuridico unilaterale, con cui il lavoratore rinuncia al posto di lavoro, il quale costituisce un bene protetto dagli artt. 4 e 36 Cost Di conseguenza il datore di lavoro, che nega il licenziamento, deve dare la prova di tali dimissioni essa non può essere limitata all’allontanamento del lavoratore dall’azienda, ma deve includere anche le circostanze di fatto indicative dell’intento recessivo. Nel caso di specie, invece, i giudici di merito avevano valorizzato soltanto una testimonianza de relato di una collega e trascurato gli argomenti di prova contraria. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito di Roma.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 dicembre 2014 – 3 marzo 2015, n. 4241 Presidente/Relatore Roselli Ritenuto che con sentenza del27 ottobre 2011 la Corte d'appello di Roma, in riforma, per quanto qui interessa, della sentenza impugnata, rigettava la domanda di annullamento del licenziamento, con la conseguente pronuncia risarcitoria, proposta da C. P. contro la datrice di lavoro s.r.l. M. group che la Corte riteneva insufficiente la prova del licenziamento, contrastante con l'affermazione dimissioni orali resa dalla società e risultante soltanto da una testimonianza de relato proveniente da una collega della lavoratrice che contro questa sentenza ricorre per cassazione la P. mentre la s.r.l. M. group resiste con controricorso. Considerato che col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2697, capoverso, cod. civ. e vizi di motivazione per non avere la datrice di lavoro, che ne era onerata, fornito la prova delle dimissioni della lavoratrice che col secondo motivo la ricorrente deduce omissione di motivazione circa un modulo, ritualmente depositato con l'atto introduttivo del processo e da lei sottoscritto quaranta giorni dopo la cessazione del rapporto di lavoro, di richiesta alla Commissione provinciale di Roma del tentativo di conciliazione richiesta rimasta senza riscontro della datrice di lavoro, la quale non era neppure comparsa davanti al Tribunale di Tivoli che i due motivi, da esaminare insieme perché connessi, sono fondati che le dimissioni costituiscono un negozio giuridico unilaterale con cui il lavoratore rinuncia ad un bene, quale il posto di lavoro, protetto dagli artt. 4 e 36 Cost., con il conseguente onere del datore, che neghi il licenziamento, di darne la prova, non limitata all'allontanamento del lavoratore dall'azienda ma estesa a circostanze di fatto indicative dell'intento recessivo Cass. 25 febbraio 2000 n. 2162 e 2170, 13 aprile 2000 n. 4760, 8 marzo 2011 n. 5454 che la Corte d'appello ha disatteso questo fermo orientamento giurisprudenziale, valorizzando solo una testimonianza de relato e trascurando gli argomenti di prova contraria che, cassata la sentenza qui impugnata, il giudizio va rinviato alla Corte d'appello di Roma, che in diversa composizione giudicherà uniformandosi al sopra esposto principio in materia di onere della prova, compiutamente motivando e provvedendo sulle spese. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Cortt d'appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.