Sta al lavoratore provare il pregiudizio derivante da perdita di chances

In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il risarcimento delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chances ha l’onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4170, depositata il 2 marzo 2015. Il fatto. Un dirigente del Comune di Napoli propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli che, nell’accogliere l’impugnazione del Comune, condannato in primo grado a risarcire il dirigente, riformava la sentenza gravata e rigettava la domanda del lavoratore, rilevando che la sentenza posta a base della pretesa risarcitoria aveva solo accertato il diritto del predetto dipendente a partecipare alla prova selettiva ma che questi non aveva allegato e provato il danno patito, non avendo dimostrato alcunché in ordine alla concreta possibilità di superare la selezione. Il tutto trae origine dalla sentenza del Tribunale di Napoli con la quale veniva dichiarato il diritto del lavoratore a partecipare alla prova selettiva indetta dal Comune per la copertura di 136 posti di istruttore direttivo tecnico, prova dalla quale era stato illegittimamente escluso. Acquiescenza ad una sentenza di condanna. Con un primo motivo, il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello avrebbe erroneamente respinto la sua eccezione d’inammissibilità del gravame sollevata in quel grado di giudizio per intervenuta acquiescenza della controparte per avere il Comune provveduto a pagargli la somma al cui versamento era stato condannato dal giudice di prime cure . Il Collegio ha ritenuto tale motivo infondato, ricordando come l’acquiescenza ad una sentenza di condanna con conseguenti effetti preclusivi della sua impugnazione, si verifica solo quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non voler contrastare gli effetti giuridici della pronuncia ovvero atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto all’impugnazione . Perciò, l’acquiescenza tacita non è ravvisabile quando il soccombente, come nel caso di specie, abbia provveduto all’integrale pagamento delle somme dovute in forza della sentenza esecutiva, poiché l’avvenuto pagamento potrebbe essere giustificato dal mero proposito di evitare l’esecuzione forzata. Oltretutto, la Corte d’appello, escludendo l’acquiescenza, ha correttamente rilevato come, successivamente alla notifica della sentenza, il Comune aveva proposto tempestivo appello. La prova del pregiudizio legittimante la richiesta risarcitoria. Altro motivo di doglianza da parte del ricorrente è il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che, alla sentenza posta a base della pretesa risarcitoria, non era stata allegata la prova del pregiudizio legittimante la richiesta risarcitoria. Anche tale motivo appare infondato al Collegio che sul punto riporta quanto affermato in più occasioni dalla Corte di legittimità in tema di danni per perdita di chances, e cioè che in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il risarcimento delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chances – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l’onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta . Il Collegio condivide con la Corte d’appello la mancata allegazione e dimostrazione in ordine alla concreta, e non solo ipotetica, possibilità di superare la procedura selettiva. Il lavoratore, infatti, si è limitato ha prospettare un danno per il solo fatto di non essere stato ammesso a tale procedura. Per queste ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 ottobre 2014 – 2 marzo 2015, numero 4170 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento del processo Si controverte del diritto di M.R., dirigente del Comune di Napoli, ad ottenere il risarcimento del danno per perdita di chances possibilità in conseguenza della sentenza numero 6216103 del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato il suo diritto a partecipare alla prova selettiva indetta il 20/2/2001 dal comune partenopeo per la copertura di 136 posti di istruttore direttivo tecnico, prova, questa, dalla quale era stato illegittimamente escluso. Con sentenza del 2713 - 13/7/2012, la Corte d'appello di Napoli, nell'accogliere l'impugnazione del Comune di Napoli, che era stato condannato in primo grado a risarcire al M. la somma di € 86.235,00, ha riformato la gravata sentenza ed ha rigettato la domanda del lavoratore dopo aver rilevato che la sentenza posta a base della pretesa risarcitoria aveva solo accertato il diritto del predetto dipendente a partecipare alla prova selettiva, ma che questi non aveva allegato e provato il danno patito, non avendo dimostrato alcunché in ordine alla concreta possibilità di superare la predetta selezione. Per la cassazione della sentenza ricorre il M. con tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Napoli. Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 329 c.p.c. e l'insufficiente motivazione dell'impegnata sentenza sostenendo che erroneamente la Corte territoriale gli avrebbe respinto l'eccezione d'inammissibilità del gravame sollevata in quel grado di giudizio per l'intervenuta acquiescenza della controparte. Al riguardo il ricorrente spiega che la ragione della eccepita acquiescenza era da ricercare nel fatto che l'amministrazione comunale, spontaneamente e prima di interporre appello, aveva provveduto a pagargli, senza formulare riserva di ripetizione, la somma di € 88.262,00, al cui versamento era stata condannata dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento del danno. li motivo è infondato. Invero, per consolidato orientamento di questa Corte l'acquiescenza ad una sentenza di condanna con conseguenti effetti preclusivi della sua impugnazione, si verifica solo quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non voler contrastare gli effetti giuridici della pronuncia ovvero atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto all'impugnazione. L'acquiescenza tacita non è, perciò, ravvisabile quando il soccombente abbia provveduto all'integrale pagamento delle somme dovute in forza della sentenza esecutiva, ancorché sia mancata un'espressa riserva d'impugnazione ovvero l'intimazione di un precetto di pagamento su iniziativa della parte vittoriosa, poiché l'avvenuto pagamento potrebbe pur sempre giustificarsi col mero proposito di evitare l'esecuzione forzata. Cass. Sez. 2, numero 15185 del 2911112001 in senso conf. v. anche Cass. sez. 2 numero 9075 del 18/4/2014, Cass. Sez. 3, numero 18187 del 28/8/2007 e numero 17480 del 91812007 . Oltretutto, nel caso di specie [a Corte territoriale, nell'escludere la sussistenza dell'eccepita acquiescenza, ha adeguatamente posto in rilievo che successivamente alla notifica della sentenza, avvenuta in data 3.12.2008, il Comune di Napoli aveva proposto tempestivo appello in data 31.12.2008. 2. Col secondo motivo il M. si duole della violazione dell'art. 434 c.p.c. e dell'omessa ed insufficiente motivazione in relazione al mancato accoglimento dell'eccezione di inammissibilità del gravame per la mancata specificazione dei motivi d'appello. Anche la denunzia di tali vizi è infondata, posto che l'odierna censura, attraverso la quale si sostiene che la difesa dell'ente si sarebbe limitata a riproporre in appello le deduzioni svolte in prime cure, si rivela generica ed inidonea a scalfire la decisione impugnata che, con argomentazione immune da rilievi di tipo logico giuridico, ha ritenuto ammissibile l'appello ed ha giudicato come infondata l'eccezione vertente sulla genericità dei motivi del gravame. 3. Attraverso il terzo motivo, proposto per violazione degli artt. 2909, 2697, 1226 e 2043 cod. civ., oltre che per motivazione carente ed insufficiente, il ricorrente contesta l'impugnata sentenza per il rigetto della domanda risarcitoria che gli era stata accolta in primo grado. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nell'affermare che la sentenza numero 5216103 dei Tribunale di Napoli non conteneva alcun riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, traendo tale convincimento da una lettura del dispositivo sganciata dal contestuale esame della motivazione e dalla considerazione che il successivo giudizio era servito per l'accertamento del diritto al risarcimento del danno, mentre in realtà quel procedimento era finalizzato solo alla quantificazione del danno. Il ricorrente censura la decisione anche per il fatto che [a Corte d'appello ha ritenuto che nel successivo giudizio, di cui alla pronunzia numero 26556108 dello stesso Tribunale, non era stata allegata la prova del pregiudizio legittimante la richiesta risarcitoria. A riprova di tale censura il M. adduce che in entrambi i gradi del giudizio la difesa del Comune di Napoli non aveva contestato le circostanze rappresentate dalla maggiore anzianità di servizio, dall'esperienza nel settore e dal superamento della procedura selettiva da parte di dipendenti con anzianità inferiore alla sua ed aggiunge che la controparte non aveva allegato elementi dai quali potersi desumere che in caso di ammissione alla prova selettiva egli avrebbe avuto scarse possibilità di risultare vincitore. II motivo è infondato. Anzitutto, non ha pregio il rilievo in base al quale la Corte di merito non avrebbe fatto buon governo degli oneri probatori nel pretendere dal lavoratore la dimostrazione del lamentato danno da perdita di chances, dal momento che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la Corte d'appello ha esattamente rilevato che incombeva su quest'ultimo l'onere di provare i fatti costitutivi a sostegno della domanda risarcitoria. Orbene, proprio in tema di danni per perdita di chances questa Corte ha avuto occasione di precisare Cass sez 3 numero 1752 del 28/1/2005 che in tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance - che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta. conf a Cass. sez. numero 3 numero 18945 dell'11.12.2003 Né ha fondamento la doglianza relativa ad una supposta mancanza di lettura contestuale della motivazione e del dispositivo della sentenza posta a base della domanda risarcitoria -Invero, la Corte d'appello ha chiaramente spiegato, con argomentazione logica, di non poter condividere la motivazione adottata dal Tribunale, che ha basato il diritto dei M. al risarcimento dei danno da perdita di chances sull'illegittima esclusione dalla procedura selettiva, in quanto una tale decisione era fondata solo su un passo della motivazione della precedente sentenza numero 5216103 dello stesso Tribunale di Napoli emessa all'esito di un giudizio che aveva, però, ad oggetto esclusivamente la richiesta di declaratoria dell'illegittimità dell'esclusione dalla predetta selezione ai fini dell'affermazione del diritto a parteciparvi, tanto che nel relativo dispositivo l'accoglimento della domanda era enunciato esattamente nei termini coi quali la stessa era stata proposta, il tutto riscontrato dal fatto che il dipendente si era visto costretto ad azionare un ulteriore giudizio per l'accertamento del preteso danno. Per il resto il motivo di censura denota evidenti profili di inammissibilità, in quanto attraverso lo stesso il ricorrente tenta di operare una rivisitazione, non consentita nel presente giudizio di legittimità, del merito istruttorio già adeguatamente vagliato dai giudici d'appello con argomentazione congruamente motivata ed esente da rilievi di carattere logico-giuridico, senza nemmeno dimostrare la decisività degli elementi che a suo giudizio sarebbero stati trascurati in seconde cure. La Corte d'appello ha, infatti, evidenziato che nel ricorso di primo grado il dipendente aveva prospettato un danno per il solo fatto di non essere stato ammesso alla procedura selettiva, senza allegare e senza dimostrare alcunché in ordine alla concreta, e non solo ipotetica, possibilità di superarla. Invero, secondo gli stessi giudici d'appello, il M. non aveva specificato che sussisteva un'apprezzabile probabilità di ottenere una positiva valutazione in ragione della particolare competenza posseduta, né aveva tantomeno indicato il numero dei candidati ammessi alla procedura selettiva. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.