Assente ingiustificato in azienda, ma la sindrome ansioso-depressiva lo salva dal licenziamento...

Azzerato il provvedimento adottato dal datore di lavoro. Reintegra e risarcimento per il dipendente. Non discutibile l’assenza dal luogo di lavoro, ma la mancata giustificazione è stata dovuta ai problemi psichici del dipendente.

Gravi disturbi psichici per il dipendente. Tale precaria situazione rende meno grave la condotta da lui adottata nei confronti dell’azienda, ossia la mancata giustificazione per la prolungata assenza da lavoro. E ciò, di conseguenza, rende illegittimo il licenziamento. Vittoria piena, quindi, per il lavoratore, che ottiene la reintegra e un corposo risarcimento Cassazione, sentenza n. 4171, sez. Lavoro, depositata oggi . Facoltà mentali. Nodo gordiano della vicenda è la scelta dell’azienda di espellere il dipendente per giustificato motivo, con lettera, preceduta da contestazione disciplinare con cui gli si addebitava la mancata ripresa del lavoro senza giustificazione . Per i giudici di merito, però, il provvedimento aziendale è assolutamente inappropriato. Per una ragione semplicissima la consulenza tecnica aveva consentito di accertare che, all’epoca dei fatti, soffriva di gravi disturbi che avevano determinato un’apprezzabile limitazione delle sue facoltà mentali e di cui l’azienda era a conoscenza , tale limitazione , spiegano i giudici tra primo e secondo grado, aveva impedito al lavoratore di valutare seriamente i propri atti, e, quindi, in concreto di giustificare la propria assenza . Di conseguenza, per i giudici è lapalissiana la illegittimità del licenziamento , con conseguente reintegra del dipendente nel suo posto di lavoro , dipendente che dovrà ricevere anche un adeguato risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni globali di fatto non percepite dalla data dell’illegittimo licenziamento fino all’effettiva reintegrazione . Assenza. E ora, nonostante le rimostranze in Cassazione da parte dell’azienda, viene confermata la vittoria del lavoratore. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è acclarato che all’epoca della contestazione disciplinare, e ancor prima, all’epoca dell’assenza dal servizio, il lavoratore soffriva di una grave forma di depressione che incideva, limitandola, sulle sue capacità mentali, e, in maniera significativa, sul suo comportamento ciò significa, spiegano i giudici, che la condotta inadempiente addebitata al lavoratore era giustificata da tale stato di incapacità naturale , con la conseguenza che il licenziamento doveva ritenersi illegittimo . E tale valutazione, sia chiaro, è stata formulata sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio e di certificazioni mediche , da cui, ricordano i giudici, risultano la diagnosi di disturbo ansioso-depressivo persistente, di grave entità pure in trattamento farmacologico , etilismo cronico, epatopatia cronica, ipertensione arteriosa , senza dimenticare, poi, alcune visite dell’uomo presso il Centro di salute mentale e alcuni ricoveri ospedalieri . Evidente lo stato di incapacità naturale del lavoratore, condizione di cui l’azienda era sicuramente a conoscenza , come testimoniato anche dalla raccomandata con cui l’uomo giustificava l’assenza con la sindrome ansioso-depressiva . Alla luce di questo quadro, colpisce la eccessiva brevità dei tempi assegnati dall’azienda al lavoratore per presentarsi a fornire le sue giustificazioni per la cronaca, telegramma delle ore 18.19 del 5 settembre convocazione per il successivo 6 settembre quindi, licenziamento del 7 settembre . Piuttosto, spiegano i giudici, sarebbe stato doveroso, per la società, prestare maggiore attenzione prima di intimare il licenziamento , magari con una sottoposizione del lavoratore ad una visita medica allo scopo non già di accertare l’esistenza di eventuali cause giustificative dell’assenza, bensì di meglio valutare l’incidenza della condotta del lavoratore sul vincolo contrattuale, a fini dell’esercizio del diritto di recesso . Acclarato, quindi, lo stato di incapacità naturale del lavoratore, che gli ha impedito una seria valutazione dei suoi atti e, quindi, di giustificare la sua assenza dal servizio , è evidente la illegittimità del licenziamento deciso dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2014 – 2 marzo 2015, n. 4171 Presidente Vidiri – Relatore Doronzo Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con sentenza depositata in data 15 marzo 2010, la Corte d'appello di Lecce rigettava l'impugnazione proposta da Trenitalia s.p.a. avverso la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede che, in accoglimento del ricorso proposto da R.R., aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente dalla società appellante ed aveva ordinato a quest'ultima di reintegrare il lavoratore nel suo posto di lavoro, con le consequenziali pronunce accessorie. 1.2. II R. era stato licenziato per giustificato motivo con lettera dei 7/9/2005, preceduta da contestazione disciplinare con la quale gli si addebitava la mancata ripresa del lavoro senza giustificazione. 1.3. La Corte condivideva il ragionamento compiuto dal giudice di prime cure e riteneva che la consulenza tecnica espletata aveva consentito di accertare che, all'epoca dei fatti, il lavoratore soffriva di gravi disturbi che avevano determinato un'apprezzabile limitazione delle sue facoltà mentali e di cui l'azienda era conoscenza che tale limitazione gli aveva impedito di valutare seriamente i propri atti e, quindi, in concreto, di giustificare l'assenza dal lavoro. 1.4. Contro la sentenza Trenitalia s.p.a. propone ricorso per cassazione, sostenuto da tre motivi, cui resiste, con controricorso il R Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. 2. Con il primo motivo la società censura la sentenza per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, costituito dal mancato raggiungimento della prova dell'incapacità naturale del lavoratore. Lamenta che le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, sulle quali si era basata la sentenza impugnata, erano errate e comunque contraddittorie, essendo fondate essenzialmente sul dato anamnestico e sul colloquio psichiatrico, e non invece su indagini cliniche o di laboratorio adeguate né sulla somministrazione di test psico diaghostici peraltro, dall'esame del lavoratore era emerso un sufficiente orientamento spazio-temporale, come peraltro era desumibile dalle condotte da lui tenute successivamente alle contestazioni, perfettamente coerenti e razionali oltre che sorrette da adeguate giustificazioni quale l'intendimento di andare in pensione . La sentenza non aveva motivatamente adeguato su questi elementi, sicché la sua motivazione doveva ritenersi censurabile. 3. Con il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 e 5 I. n. 300/1970, nonché dell'ari. 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto di imporre al datore di lavoro l'onere di fornire la prova non solo del fatto oggetto della contestazione, e cioè dell'assenza dal servizio, ma anche della mancanza di giustificazioni dell'assenza, ritenendo che, a tal fine, avrebbe dovuto sottoporre a visita medica il lavoratore assente. 4. Con il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli arti. 1218 c.c., e 18, comma 4°, 1. n. 300/1970, con riguardo al capo della sentenza con cui essa ricorrente era stata condannata al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni globali di fatto non percepite dalla data dell'illegittimo licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali. Assume, infatti, che il mancato pagamento delle retribuzioni era dipeso proprio dall'assenza del lavoratore, ovvero da un fatto non imputabile al datore di lavoro. S. I primi due motivi, che si ritiene di trattare congiuntamente stante la loro logica connessione, sono infondati. La Corte territoriale ha accertato che, all'epoca della contestazione disciplinare, e ancor prima, all'epoca dell'assenza dal servizio, il lavoratore soffriva di una grave forma di depressione che incideva, limitandola, sulle sue capacità mentali e, in maniera significativa, sul suo comportamento. La condotta inadempiente addebitatagli era pertanto giustificata da tale stato di incapacità naturale, con la conseguenza che - esclusa l'imputabilità dell'inadempimento - il licenziamento doveva ritenersi illegittimo. S.I. Tale giudizio è stato formulato sulla base della consulenza tecnica d'ufficio e delle certificazioni mediche a corredo, da cui risultano la diagnosi di disturbo ansioso-depressivo persistente di grave entità, pure in trattamento farmacologico, etilismo cronico, epatopatia cronica, ipertensione arteriosa, amputazione di antica data dell'avambraccio destro, nonché le visite presso il centro di salute mentale il 25/5/2005 e i ricoveri ospedalieri dal 5/8/2005 al 13/8/2005 presso l'ospedale di Tricase cui il lavoratore aveva dovuto sottoporsi. 5.2. Si è in presenza di un giudizio in sé compiuto ed esauriente, sicché non si ravvisano vizi di omissione o di insufficienza o, ancora, di illogicità della motivazione. Deve peraltro ricordarsi che l'accertamento dell'incapacità naturale costituisce valutazione di merito, insindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato Cass., 8 febbraio 2012, n. 1770 Cass., 1 ° settembre 2011, n. 17977 Cass., 15 gennaio 2004, n. 515 . 5.3. In verità., le censure della ricorrente, rivolte essenzialmente alla consulenza tecnica d'ufficio, si risolvono in un vero e proprio dissenso diagnostico, ovvero in una un'inammissibile critica del convincimento del giudice. La ricorrente non ha indicato in quale palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica sia incorso il consulente, o in quale omissione, secondo le predette nozioni, egli sia caduto, dovendosi peraltro rimarcare che, con riferimento alla mancata somministrazione di test psico-diagnostici, la parte non ne ha indicato, con riferimento a serie e documentate argomentazioni medico-legali, la decisività, ossia la loro imprescindibile incidenza sulla valutazione della sussistenza o meno dell'accertato quadro patologico. 5.4. Non si ravvisa pertanto il denunciato vizio di violazione di legge, non essendo peraltro rinvenibile all'interno della motivazione della sentenza impugnata alcuna affermazione in contrasto con le norme invocate art. 5 1. n. 604/1966 e 2697 c.c. , e in particolare con i principi consolidati di questa Corte, secondo cui, nel caso di giusta causa o giustificato motivo di_ licenziamento per assenza ingiustificata del lavoratore dal servizio, spetta al datore di lavoro, ai sensi dell'art. 5 cit., provare l'assenza nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l'onere di provare gli elementi che possono giustificarla e, in particolare, la sua dipendenza da causa a lui non imputabile v. Cass., 7 febbraio 2011, n. 2988 Cass., 29 novembre 1999, n. 13352 . 5.5. La Corte non si è discostata da tali insegnamenti, ma ha proceduto ad una valutazione complessiva del comportamento delle parti, in cui ha considerato e valutato la conoscenza, da parte della società, dello stato di malattia del lavoratore - documentato anche dall'invio della raccomandata del 24 agosto 2005 in cui il R., per il tramite del suo legale, giustificava l'assenza con la sindrome ansioso depressiva -, l'eccessiva brevità dei tempi assegnati da Trenitalia s.p.a. al lavoratore per presentarsi a fornire le sue giustificazioni telegramma delle ore 18,19 del 5/9/2005, convocazione per il successivo 6/912005, ore 12,00, quindi licenziamento del 719/2005 , per concludere che, sarebbe stato doveroso per la società, prestare maggiore attenzione prima di intimare il licenziamento, ed ha meglio definito il concetto di attenzione rapportandolo ad una doverosa sottoposizione, da parte della datrice di lavoro, del lavoratore ad una visita medica tanto allo scopo, non già di accertare l'esistenza di eventuali cause giustificative dell'assenza, bensì di meglio valutare l'incidenza della condotta del lavoratore sul vincolo contrattuale, ai fini dell'esercizio del diritto di recesso. 5.6. Si tratta di un apprezzamento che, oltre ad essere correttamente effettuato alla stregua del principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione delle reciproche prestazioni, per un verso, non incide sulla ratio decidendi, fondata come si è detto sullo stato di incapacità naturale del lavoratore che gli ha impedito una seria valutazione dei suoi atti, e quindi, nella specie, di giustificare la sua assenza dal servizio, e, per altro verso, è funzionale all'ulteriore affermazione della Corte leccese, che, nel disattendere il secondo motivo di appello di Trenitalia, riguardante la sua condanna al pagamento delle retribuzioni ex art. 18 st.lav., ha affermato che, per esimersi dalla detta obbligazione, la società avrebbe dovuto verificare lo stato di salute del lavoratore, ai fini di della sua eventuale impossibilità di prestare lavoro. 6. Si tratta, all'evidenza, di questione - e si passa così ad affrontare il terzo motivo di ricorso, anch'esso infondato - che attiene al diritto del lavoratore illegittimamente licenziato di percepire le retribuzioni per il periodo successivo al licenziamento, secondo la specifica previsione dell'art. 18 della-legge n. 300/1970. L'accertamento compiuto dal giudice del merito in ordine allo stato di incapacità naturale del R. è evidentemente limitato al periodo immediatamente precedente al licenziamento, allorché furono richieste al lavoratore le giustificazione dell'assenza tale stato, se risulta provato con riferimento a quest'epoca, non lo è con riferimento al tempo successivo. A tal fine appare del tutto inconferente il richiamo, fatto dalla ricorrente, alla giurisprudenza formatasi in tema di diritto del lavoratore alle retribuzioni in caso di sue dimissioni successivamente annullate per incapacità naturale in tali ipotesi, non vi è dubbio che la prestazione lavorativa non è stata resa per un fatto del lavoratore che poi si accerterà incolpevole , laddove nel caso in esame la prestazione, per il tempo successivo al licenziamento, non è stata resa per un fatto del datore di lavoro che si è accertato essere illegittimo. Ne consegue che è incensurabile la sentenza nella parte in cui ha condannato il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni dalla data dell'illegittimo recesso fino alla reintegrazione nel posto di lavoro, in mancanza di censure e di prove, provenienti dal datore di lavoro, su cui gravava il relativo onere, circa la mancata offerta delle prestazioni lavorative da parte del R., o della sua impossibilità a svolgere attività lavorativa per il periodo successivo al licenziamento. 7. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. In applicazione del principio della sopcombenza, la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, con distrazione in favore del suo procuratore anticipatario, avv. V. B P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in £ 100,00 per esborsi ed £ 4000,00 per compensi professionali, oltre agli oneri accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dell'avvocato V. B., anticipatario.