Per il passaggio da licenziamento ingiustificato a ritorsivo, ci vuole un motivo unico determinante

Non è sufficiente che il licenziamento sia, anche palesemente, ingiustificato per aversi un licenziamento ritorsivo, essendo invece necessario che il motivo pretesamente illecito, cioè contrario ai casi espressamente previsti dalla legge ma suscettibili di interpretazione estensiva , all’ordine pubblico e al buon costume, sia stato l’unico determinante e che il lavoratore ne abbia fornito una prova, anche presuntiva.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3986, depositata il 27 febbraio 2015. Il caso. Un uomo conveniva in giudizio la Federazione Regionale dell’Associazione Generale Cooperative Italiane AGCI , che lo aveva licenziato per non aver osservato l’indirizzo politico-morale dell’AGCI, in quanto si era rifiutato di osservare le decisioni deliberate dalla presidenza regionale dell’Associazione in merito al rinnovo delle cariche sociali della C.F. s.p.a. società finanziaria preposta all’erogazione dei finanziamenti per la cooperazione sul territorio regionale ed ai rapporti tra le centrali associative. In qualità di amministratore unico di una società, da lui costituita per partecipare, con apposita quota azionaria, alla costituzione della C.F. s.p.a., l’attore si era rifiutato di delegare per il voto, in occasione del rinnovo degli organi sociali, il presidente della Federazione Regionale e di aderire alla richiesta di non rinnovare l’incarico al presidente uscente. L’uomo deduceva la nullità e/o inefficacia del licenziamento, in quanto viziato da un motivo illecito essendo stato intimato per reazione ad un suo legittimo comportamento estraneo all’ambito della prestazione lavorativa e, comunque, per l’assenza di una preventiva contestazione disciplinare e delle altre garanzie previste dall’art. 7 l. n. 300/1970 sanzioni disciplinari . La Corte d’appello di Cagliari dichiarava l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori e condannava l’associazione al pagamento di un’indennità pari a sei mesi di retribuzione. L’attore ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver considerato che il suo licenziamento, basato su un fatto extralavorativo e non esigibile dal datore di lavoro, si era risolto in un licenziamento discriminatorio e/o ritorsivo, fondato su un motivo illecito determinante. Inosservanza delle direttive. La Corte di Cassazione sottolinea che non può considerarsi ritorsivo un licenziamento palesemente, anche se erroneamente, basato sull’inosservanza di direttive aziendali, mancando comunque la prova, a carico del dipendente, della sussistenza di un motivo illecito determinante. Motivo illecito determinante. Non è, quindi, sufficiente che il licenziamento sia, anche palesemente, ingiustificato per aversi un licenziamento ritorsivo, essendo invece necessario che il motivo pretesamente illecito, cioè contrario ai casi espressamente previsti dalla legge ma suscettibili di interpretazione estensiva all’ordine pubblico e al buon costume, sia stato l’unico determinante e che il lavoratore ne abbia fornito una prova, anche presuntiva. Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto che il suo licenziamento era stato motivato dal rifiuto, anche se legittimo, di aderire ad un ordine del datore di lavoro, anche se in un campo ritenuto estraneo all’attività lavorativa. La stessa Federazione, su esplicita richiesta del lavoratore, aveva motivato il recesso con il rifiuto di osservare le decisioni deliberate dalla presidenza regionale dell’Associazione. Secondo gli Ermellini, queste circostanze non potevano risolversi, di per sé, in un motivo illecito determinante, né, tanto meno, in un licenziamento discriminatorio ai sensi dell’art. 15 l. n. 300/1970. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 novembre 2014 – 27 febbraio 2015, n. 3986 Presidente Stile – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Cagliari, il M. convenne in giudizio la Federazione Regionale dell'Associazione Generale Cooperative Italiane AGCI esponendo di aver lavorato alle dipendenze di quest'ultima, in qualità di impiegato di primo livello e con inquadramento nel c.c.n.l. del settore commercio, dal 5 febbraio 2001 al 10 maggio 2006, allorquando, con nota di pari data, il datore di lavoro gli aveva intimato il licenziamento per non aver osservato l'indirizzo politico morale dell'AGCI e per essersi reso responsabile di grave inadempienza ai compiti a Lei affidati rispetto all'indicazione degli organi competenti dell'AGCI facendo mancare l'indispensabile rapporto fiduciario con la stessa associazione , con motivazione poi integrata, a seguito di sua specifica richiesta, con l'aggiunta Lei si è rifiutato di osservare le decisioni deliberate dalla presidenza regionale AGCI in ordine al rinnovo delle cariche sociali in Coop. Fin. s.p.a. ed ai rapporti tra le centrali associative . Il ricorrente precisò che, in qualità di amministratore unico della cooperativa a r.l. CO.SE.IN., ossia di società da lui in precedenza costituita al fine di partecipare, con apposita quota azionaria, alla costituzione di coop. FIN. S.p.A. società finanziaria preposta all'erogazione dei finanziamenti per la cooperazione sul territorio regionale , in occasione dei rinnovo degli organi sociali aveva rifiutato di delegare al suo posto, per il voto, il presidente della Federazione Regionale AGCI, nonché di aderire alla sua richiesta scritta di non rinnovare l'incarico al presidente uscente Me.An.Lu. , siccome coinvolto, in qualità di imputato, nel procedimento penale in corso presso il Tribunale di Cagliari per il cosiddetto scandalo Fideuram . Il M. dedusse che il licenziamento, impugnato nei termini, doveva essere ritenuto nullo e/o inefficace o, comunque, annullabile sotto diversi profili anzitutto perché viziato da motivo illecito, essendo lo stesso stato intimato per reazione ad un suo legittimo comportamento, peraltro estraneo all'ambito della prestazione lavorativa, attenendo l'asserito obbligo contestatogli ad un facere giuridico incidente sulla sfera di terzi la Co.se.in. in secondo luogo perché, anche a volerne ritenere la natura disciplinare, ciò non di meno il recesso doveva ritenersi invalido per l'assenza di preventiva contestazione disciplinare e delle altre garanzie difensive previste dall'art. 7 della L. n. 300/70. A parte ciò - proseguiva il ricorrente - all'atto della cessazione del rapporto egli era rimasto in credito nei confronti del datore di lavoro della complessiva somma di Euro.22.779,00 di cui Euro. 736,.01 a titolo di retribuzione di otto giorni lavorativi del mese di maggio 2006, Euro.327,18 a titolo di permessi retribuiti non goduti, Euro 5.521,21 per indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, Euro 708,88 per ratei di tredicesima 2006, Euro. 1773,20 per ratei di quattordicesima dell'ultimo anno, Euro.6.380,08 per indennità di mancato preavviso ed Euro 7.333,28 per trattamento di fine rapporto. Concludeva chiedendo che - previo accertamento della nullità/inefficacia dell'impugnato licenziamento - fosse disposta la condanna della convenuta al risarcimento del danno, da commisurarsi alle retribuzioni perdute dal licenziamento in poi, ovvero, in caso di applicazione dell'art. 8 L. n. 604/66, nella misura massima di legge pari ad Euro.22.779,00. Resisteva l'AGCI deducendo che tra AGCI, in qualità di cooperativa centrale e la stessa Co.SE.IN., costituita proprio al fine di assumere interessenze in società di capitali, nonché sulle partecipate di quest'ultima, esisteva un fortissimo collegamento societario, oltre che finanziario, e che proprio per tale motivo essa, a seguito di specifica deliberazione presidenziale, seguita da analoga raccomandazione dell'Assessore Regionale all'Agricoltura, aveva invitato il ricorrente a non confermare, in sede di rinnovo degli organi sociali della coop. Rn s.p.a., l'incarico di presidenza al Me. , siccome imputato di gravi reati per illecita destinazione di fondi pubblici nell'ambito del procedimento penale in corso presso il Tribunale di Cagliari per la vicenda Fideuram. In tale contesto - argomentava la resistente - la mancata osservanza da parte del Mu. delle indicazioni ricevute per il voto in assemblea della CO.SE.IN. integrava una giusta causa di licenziamento e rendeva, per ciò stesso, legittimo il licenziamento adottato nei suoi confronti. Il Tribunale accolse la domanda, ritenendo insussistente un inadempimento degli obblighi gravanti sul Mu. , trattandosi di fatto estraneo al rapporto di lavoro, dichiarando conseguentemente la nullità del licenziamento per illiceità del motivo, e condannando l'AGCI al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso. Avverso tale sentenza proponeva appello. La AGCI resisteva il Mu. proponendo appello incidentale. La Corte d'appello di Cagliari, con sentenza depositata il 13 dicembre 2010, dichiarava l'illegittimità del licenziamento per violazione dell'art. 7 L. n. 300/70, condannando l'associazione al pagamento di una indennità commisurata a sei mesi dell'ultima retribuzione, con gli accessori di legge condannava l'associazione altresì al pagamento dell'ulteriore somma di Euro 14.286,18 per t.f.r, mensilità supplementari ed indennità sostitutiva delle ferie e del preavviso, detratto quanto già versato al M. a tali titoli. Per la cassazione propone ricorso il M. , affidato a due articolati motivi, poi illustrati con memoria. Resiste l'AGCI con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza di appello, per difetto della AGCI del potere di impugnare la sentenza di primo grado, essendo l'effettivo datore di lavoro la Federazione regionale dell'AGCI e non quest'ultima in proprio, art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. . Il motivo è infondato, a prescindere dalla considerazione, rilevata dalla controricorrente, circa l'effettiva presenza in giudizio della Federazione che conferì la procura alle liti . Ciò per essere comunque passata in giudicato la statuizione del Tribunale circa la legittimazione della AGCI così come individuata dal M. , non contestata da quest'ultimo in grado di appello, realizzandosi così un giudicato interno sul punto. 2.-Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 L. n. 108/90, in combinato disposto con gli artt. 1324 e 1345 c.c. e con l'art. 15 L. n. 300/70. Lamenta che la sentenza impugnata non considerò adeguatamente che il licenziamento de quo, basato su fatto extra lavorativo e non esigibile dal datore di lavoro, si risolveva in un licenziamento discriminatorio e/o ritorsivo basato su di un motivo illecito determinante. 2.1- Il motivo è infondato. Ed invero, seppure può ritenersi, come stabilito dalla Corte di merito, che il licenziamento in questione fosse di natura ontologicamente disciplinare e comunque privo di giusta causa o giustificato motivo con le conseguenze in ogni caso di cui all'art. 8 L. n. 604/66 stante la pacifica consistenza occupazionale della datrice di lavoro , non può considerarsi ritorsivo un licenziamento palesemente anche se erroneamente basato sulla inosservanza di direttive aziendali, difettando comunque la prova, a carico del dipendente, della sussistenza di un motivo illecito determinante che in effetti non viene neppure chiaramente enucleato dal M. . In sostanza non è sufficiente che il licenziamento sia anche palesemente ingiustificato per aversi un licenziamento ritorsivo, essendo piuttosto necessario che il motivo pretesamente illecito cioè contrario ai casi espressamente previsti dalla legge, pur suscettibili di interpretazione estensiva, all'ordine pubblico e al buon costume sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche presuntiva Cass. n. 17087/11 Cass. n. 6282/11 Cass. n. 16155/09 . 2.2- Nella specie, come già osservato, Io stesso lavoratore deduce che il licenziamento fu motivato dal suo rifiuto quand'anche legittimo di sottostare ad ordini del datore di lavoro in un campo pur in tesi estraneo all'attività lavorativa pag. 14 ricorso , dovendo anzi evidenziarsi che il licenziamento venne motivato, su esplicita richiesta del M. pag. 4 sentenza impugnata, incontestata sul punto anche per la seguente ragione Lei si è rifiutato di osservare le decisioni deliberate dalla presidenza regionale AGCI in ordine al rinnovo delle cariche sociali in Coop. Fin. s.p.a. ed ai rapporti tra le centrali associative . Ciò non può risolversi, di per sé, in un motivo illecito determinante né, tanto meno, in un licenziamento discriminatorio ai sensi dell'art. 15 L n. 300/70. 3.- Con il terzo motivo il lavoratore denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata attribuì inutile rilievo alla circostanza della buona fede della datrice di lavoro, consideratasi organizzazione di tendenza nel cui ambito il rifiuto di aderire alle direttive anche di politica gestionale concretava un giustificato motivo di licenziamento, evidenziando che nella specie non sussisteva alcuna organizzazione di tendenza né rilevava la buona fede della AGCI. Anche se tale ultima considerazione può in via di principio condividersi non potendo considerarsi organizzazione di tendenza ma imprenditoriale, l'organizzazione comunque strutturata a guisa di impresa, secondo criteri di economicità, Cass. n. 4983/14, n. 11777/11, n. 3868 del 12/03/2012 , il motivo è sostanzialmente inammissibile per censurare accertamenti di fatto svolti dal giudice di merito ed adeguatamente motivati, nonché per difetto di interesse non essendo la buona fede del datore di lavoro la ratio decidendi della sentenza impugnata basata invece sull'assenza di prova di un motivo illecito determinante . 4.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro.100,00 per esborsi, Euro.3.500,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.