Se tra il parto e la domanda d’indennità interviene una nuova legge si applicano le norme anteriori

Ove il parto avvenga prima dell’entrata in vigore della l. n. 289/2003, il criterio di determinazione dell’indennità di maternità spettante alle libere professioniste deve essere correttamente individuato con riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali nel secondo anno precedente a quello della domanda, come previsto dall’art. 70 del d.l. n. 151/2001, nonostante la successiva presentazione della domanda, mera condizione di erogabilità della prestazione.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3998/15, depositata il 27 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Milano rigettava il gravame presentato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense con cui veniva chiesta la riforma della sentenza di primo grado che riconosceva il diritto all’indennità di maternità, liquidata secondo il previgente art. 70, d.l. n. 151/2001 su domanda dall’avvocato procedente. La Corte territoriale riteneva corretta l’applicazione della normativa citata, escludendo la rilevanza dalla successiva l. n. 289/2003, entrata in vigore dopo il parto e priva di efficacia retroattiva. La Cassa Forense propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello meneghina, affermando il malgoverno delle norme denunciate e del principio di irretroattività dello ius superveniens innovativo, per aver i giudici di merito determinato l’indennità di maternità in base alla legge anteriore. Nonostante il fatto costitutivo del diritto, ovvero il parto, sia pacifico, avrebbe dovuto essere riconosciuta l’influenza della data di presentazione della domanda avvenuta dopo l’entrata in vigore della l. n. 289/2003 ai fini dell’individuazione del regime normativo applicabile per la liquidazione e quantificazione dell’indennità medesima. Per la determinazione dell’indennità rileva solo il momento del parto. Il motivo è infondato. I Giudici di legittimità ritengono immune da censure la motivazione della sentenza impugnata che ha correttamente dato continuità al consolidato indirizzo interpretativo in tema di individuazione del criterio di determinazione dell’indennità di maternità spettante alle libere professioniste. Nel caso in cui il parto sia avvenuto nel vigore della disciplina anteriore, l’indennità di maternità deve essere determinata con riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali, nel secondo anno precedente a quello della domanda, in applicazione appunto dell’art. 70 del d.l. n. 151/2001. La sopravvenuta l. n. 289/2003 è infatti priva di efficacia retroattiva, in riferimento al fatto costitutivo del parto, in consonanza con la ratio della legge di consentire alla professionista di dedicarsi con serenità alla maternità. La successiva presentazione della domanda di indennità rileva invece quale mera condizione di erogabilità della prestazione, essendo irrilevante nell’individuazione del regime normativo applicabile per la determinazione quantitativa della medesima. Per questi motivi la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la Cassa ricorrente alla rifusione delle spese a favore della controparte.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio – 27 febbraio 2015 n. 3998 Presidente Macioce – Relatore Patti Svolgimento del processo Con sentenza 17 luglio 2007, la Corte d'appello di Milano rigettava l'appello della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda dell'avv. M.R. di accertamento del diritto all'indennità di maternità nella misura di Euro 31.398,33, liquidata secondo il previgente art. 70 d.lg. 151/2001 e di condanna della predetta Cassa al pagamento della somma di Euro 11.471,09 pari alla differenza rispetto alla liquidazione della Cassa nella più ridotta misura di Euro 19.927,23, secondo l'art. 1, comma 3 bis della l. 289/2003 , oltre interessi e rivalutazione. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva corretta l'applicazione della legge anteriore, per collocazione temporale del parto avvenuto il 19 ottobre 2003 , fatto costitutivo del diritto all'indennità di maternità, sotto la sua vigenza con la commisurazione dell'indennità all'80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato a fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello di presentazione della domanda , anziché della normativa successiva, in vigore dal 29 ottobre 2003 e non retroattiva, introduttiva di un più restrittivo criterio di liquidazione, in base al solo reddito professionale percepito a fini fiscali come di lavoro autonomo e riferito all'anno dell'evento e non della domanda. Con atto notificato il 25 luglio 2008, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ricorre per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., cui resiste l'avv. M.R. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 70, 71 d.lg. 151/2001, 1 l. 289/2003 e 11 disp. prel. c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale, con malgoverno delle norme denunciate e pure del principio di irretroattività dello ius superveniens innovativo, oltre che con motivazione carente e travisante i fatti, determinato in base alla legge anteriore l'importo dell'indennità di maternità, oggetto di controversia cui concorrenti sia il fatto costitutivo del diritto il parto, avvenuto il 19 ottobre 2003 sia il criterio di computo, su cui decisivamente influente la presentazione della domanda il 9 gennaio 2004 , per la materiale liquidazione e quantificazione essendosi verificato solo il primo elemento invariato come presupposto nella successione normativa nella vigenza del d.lg. 151/2001, non anche il secondo innovato nella determinazione del parametro di riferimento, assunto in quello obiettivo dell'anno dell'evento e non più in quello, modulabile secondo la convenienza della parte, della domanda, nonché nei criteri di computo dell'indennità , oggetto di controversia, con la conseguente corretta applicazione della l. 289/2003, contrariamente all'assunto delle corti milanesi. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e omessa applicazione dell'art. 16 l. 412/1991, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erroneo cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo, secondo la sentenza del Tribunale confermata dalla Corte territoriale , invece escluso per i crediti di prestazioni previdenziali dalla norma denunciata, che al sesto comma prevede la detrazione degli interessi dall'importo riconosciuto a titolo di rivalutazione. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 70, 71 d.lg. 151/2001, 1 l. 289/2003 e 11 disp. prel. c.c. e vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per determinazione dell'importo dell'indennità di maternità in base alla legge vigente al momento del parto, anziché della presentazione della domanda, è infondato. Ed infatti, deve essere data continuità, per la sua correttezza, al consolidato insegnamento di questa Corte di individuazione del criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, con riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali nel secondo anno precedente a quello della domanda, in applicazione dell'art. 70 d.lg. 151/2001 anche dopo l'entrata in vigore della l. 289/2003 Cass. 7 novembre 2014, n. 23809 Cass. 27 dicembre 2011, n. 29069 , in quanto normativa senza efficacia retroattiva, in riferimento al fatto costitutivo del parto o addirittura dell'ancora precedente stato di gravidanza, in consonanza con la ratio della legge, di consentire alla professionista di dedicarsi con serenità alla maternità, prevedendo che a questa si colleghi uno stato di bisogno o una diminuzione del tenore di vita Cass. 3 dicembre 2013, n. 27068 , rappresentando la presentazione della domanda soltanto condizione di erogabilità della prestazione Cass. 19 luglio 2012, n. 12513 . Il secondo motivo, relativo a violazione e omessa applicazione dell'art. 16 l. 412/1991, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erroneo cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria, escluso per i crediti per prestazioni previdenziali, è inammissibile. La questione è infatti nuova, non risultando essere stata trattata dalla sentenza impugnata, né avendo parte ricorrente indicato gli atti né le difese con i quali abbia sollevato la questione nei precedenti gradi, con riflesso sulla genericità del motivo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso e così della prescrizione, appunto a pena di inammissibilità, dell'art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 Cass. 11 gennaio 2007, n. 324 . Dalle superiori argomentazioni discende coerente la reiezione del ricorso e la condanna della Cassa alla rifusione delle spese di controparte, liquidate come in dispositivo, secondo il regime di soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la Cassa ricorrente alla rifusione, in favore di M.R. , delle spese del giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.