Critiche eccessive all’azienda: dipendente licenziato

Due episodi, in particolare, si rivelano fatali per il lavoratore essi, difatti, sono sufficienti per ritenere acclarata la denigrazione nei confronti della società. Evidente, e consequenziale, la rottura del vincolo fiduciario col datore di lavoro.

Possibile criticare la propria azienda, ma eccedere, superare i limiti, andare troppo sopra le righe, può costare carissimo fino ad arrivare al licenziamento. Esemplare la vicenda vissuta da un dipendente di una società operativa nel settore della vigilanza privata due episodi caratterizzati dalla denigrazione della struttura aziendale e dell’amministratore sono stati sufficienti per dire addio al posto di lavoro Cassazione, sentenza n. 3853, sez. Lavoro, depositata oggi . Immagine aziendale. Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione della Corte d’appello, dove, in controtendenza rispetto a quanto stabilito in Tribunale, viene sancita la legittimità del licenziamento adottato da una società – operativa nel settore della vigilanza privata – nei confronti di un dipendente, resosi colpevole di comportamenti univocamente tesi a denigrare l’immagine dell’azienda e del suo amministratore . Per i giudici di secondo grado è evidente la conflittualità del lavoratore nei confronti dei vertici aziendali , conflittualità giunta a un punto tale che ogni situazione problematica veniva utilizzata dal dipendente come occasione per denigrare l’immagine aziendale . E le condotte contestate , verificatesi in due occasioni diverse, avevano giustamente, secondo i giudici, fatto venire meno la fiducia del datore di lavoro . Denigrazione. E ora la visione pro azienda viene condivisa e fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali ritengono inutile il ricorso proposto dal lavoratore, confermando, di conseguenza, il licenziamento. Per i giudici di terzo grado, in sostanza, vi sono tutti i presupposti, in questa vicenda, per parlare di licenziamento per giusta causa , essendosi verificate, da parte del dipendente, mancanze che non consentivano la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro . In questo quadro, il riferimento decisivo è la denigrazione dell’immagine aziendale messa in atto dal lavoratore tale condotta, concludono i giudici, hanno avuto una gravità tale da giustificare il venire meno della fiducia della società nella correttezza del futuro adempimento .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2014 – 25 febbraio 2015, n. 3853 Presidente Macioce – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza del 25/11/2011 la Corte d'appello di Genova in riforma della sentenza del Tribunale di Massa ha rigettato la domanda di G.V. volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato dalla soc La Polizia Privata Qrl per aver tenuto comportamenti univocamente tesi a denigrare l'immagine dell'istituto stesso e del suo amministratore . La Corte ha confermato la correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva specificato che poteva tenersi conto di soli due episodi tra quelli contestati e cioè quello del 11 /7/2005 ed il secondo del 11/8/2005 . La Corte d'appello ha poi rilevato che la violazione della procedura disciplinare di cui all'art 7 Stat. Lav , non posta a fondamento dell'impugnativa del licenziamento, non era rilevabile d'ufficio. Con riferimento ai due episodi esaminati ha affermato che manifestavano la conflittualità del G. con i vertici aziendali che era giunta ad un punto tale che ogni situazione problematica veniva sentita dal lavoratore ed utilizzata come occasione per denigrare l'immagine aziendale e che ciò era avvenuto anche con riferimento ai due episodi contestati . Secondo la Corte territoriale le condotte contestate configuravano violazione dei doveri di diligenza nell'adempimento assimilabili alle ipotesi esemplificative enucleate nell'articolo 127 del C.C.N.L. e giustificavano il venir meno della fiducia del datore di lavoro. Avverso la sentenza ricorre il G. formulando tre motivi. La contro ricorrente è rimasta intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 112 c.p.c. Censura la sentenza che non ha deciso circa la violazione delle regole di cui all'articolo 7 dello statuto dei lavoratori ritenendo non proposta la relativa eccezione. Secondo il ricorrente la Corte non aveva tenuto conto che nel ricorso introduttivo , pur non essendo menzionato l'art 7 Stat. Lav , se ne lamentava la violazione. Il motivo è infondato. Non sussiste alcuna violazione dell'art 112 cpc in quanto la Corte si è pronunciata rilevando che la violazione della procedura disciplinare non era stata assunta a fondamento dell'impugnativa del licenziamento . Secondo l'interpretazione della domanda effettuata dalla Corte non era stata eccepita anche la violazione dell'art 7 citato. Deve rilevarsi a riguardo che l'interpretazione della domanda e l'individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata cfr Cass 7932/2012, 20373/2008 . Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte è consolidato il principio secondo il quale in sede di legittimità occorre tenere distinta l'ipotesi in cui si lamenti l'omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l'interpretazione data dal Giudice di merito alla domanda stessa solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell'art. 112 c.p.c., per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il Giudice di merito sia incorso in un error in procedendo , in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere - dovere di procedere all'esame diretto degli atti giudiziari ondej acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale nel caso in cui venga invece in contestazione l'interpretazione del contenuto o dell'ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto V. Cass. 16596/05, 15603/05 e 14486/07 nonché 14784/07 . Nella fattispecie in esame la doglianza del ricorrente, in assenza di una denuncia specifica di vizio di motivazione , si esaurisce nella mera prospettazione di una interpretazione della domanda diversa rispetto a quella adottata dalla Corte di Appello essendo del tutto insufficiente quanto esposto nel ricorso in Cassazione al fine di confutare le affermazioni della Corte d'appello . Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 127 del C.C.N.L. Rileva che la Corte ha ritenuto le condotte contestate assimilabili alle ipotesi esemplificativi di cui all'articolo 127 del contratto collettivo e che tuttavia non era possibile trovare qualche contatto tra il comportamento denunciato e le ipotesi previste dal contratto collettivo . Il motivo è infondato . L'art 127 citato , così come riportato dallo stesso ricorrente a pag 16 del ricorso e richiamato nella lettera di licenziamento , riproduce nella sua parte iniziale l'art 2119 cc e quindi prevede il licenziamento per giusta causa in caso di mancanze che non consentano la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro . La norma, poi, elenca a titolo indicativo le mancanze ritenute rientranti tra quelle idonee a giustificare per la loro gravità il licenziamento per giusta causa Il carattere meramente esemplificativo delle mancanze ivi elencate risulta chiaramente esplicitato e dunque nessuna violazione della norma citata è ravvisabile per avere la Corte ritenuto che i fatti contestati, costituiti dalla ripetuta denigrazione dell'immagine aziendale, fossero tali per la loro gravità giustificare il venire meno della fiducia del datore di lavoro nella correttezza del futuro adempimento al pari delle mancanze elencate nella norma collettiva. Le argomentazioni della Corte , pertanto, non concretano violazione della norma collettiva e la pretesa del ricorrente di escludere la denigrazione dell'immagine aziendale dai comportamenti sanzionabili è del tutto infondata Con il terzo motivo il G. denuncia vizio di motivazione . Censura la sentenza che non ha dato una motivazione appagante in ordine ai comportamenti denigratori che sarebbero stati tenuti in ogni occasione. Il motivo è infondato. Premesso che il vizio di motivazione può rilevare solo nei limiti in cui l'apprezzamento delle prove - liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto - si sia tradotto in un iter formativo di convincimento affetto da vizi logici o giuridici, restando altrimenti insindacabile, deve rilevarsi che la Corte di appello ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo logicamente congruo pervenendo ad affermare che entrambi 14monvi contestati manifestavano la conflittualità del G. con i vertici aziendali giunta ad un punto tale che ogni problematica veniva da lui sentita e utilizzata come occasione per denigrare pubblicamente l'immagine aziendale. A fronte di ciò, il ricorso si limita ad opporre un'altra soluzione interpretativa, basata su una diversa ricostruzione fattuale, all'evidenza inammissibile. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio , ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un non consentito giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso sub specie di omesso esame di un punto v. Cass. n. 3161/2002 . Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato . Nulla per spese non avendo la soc. resistente svolto attività difensiva nel presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso , nulla per spese.