L’illegittimità del procedimento disciplinare a carico del dirigente pubblico licenziato

In tema di licenziamento di un dirigente dalla p.a. per responsabilità disciplinare, il parere del Comitato dei Garanti ha carattere obbligatorio ma non vincolante nei confronti della parte datoriale, alla quale deve essere attribuita l’esclusiva competenza per l’intero procedimento disciplinare. Inoltre, ove il licenziamento si basi su contestazioni generiche che impediscano un concreto accertamento delle condotte illegittime contestate, il provvedimento di recesso dal rapporto lavorativo è illegittimo, con il conseguente intervento dell’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, pacificamente applicabile anche al pubblico impiego privatizzato.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1478/15, depositata il 27 gennaio. Il caso. Il licenziamento intimato al dirigente dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del mezzogiorno veniva dichiarato illegittimo dal Tribunale di Napoli, con pronuncia confermata anche dalla Corte d’appello locale. In particolare, i giudici di merito ritenevano illegittimo il licenziamento in oggetto in quanto avente natura disciplinare e non dirigenziale, essendosi erroneamente basato sul parere del Comitato dei Garanti ed essendo generiche le contestazioni mosse al dirigente interessato. Il datore di lavoro impugna la predetta sentenza in Cassazione, con un ricorso articolato in una pluralità di motivi. La rilevanza del parere del Comitato dei Garanti. La Corte di Cassazione ritiene di valutare in primo luogo il motivo con cui la parte datoriale lamenta l’omesso riconoscimento, da parte dei giudici di merito, della rilevanza del parere reso dal Comitato dei Garanti. Il motivo così prospettato è infondato, in quanto la Corte precisa il carattere obbligatorio ma non vincolante del summenzionato parere, il quale non può mai operare in danno al lavoratore e non può inoltre esonerare il datore di lavoro dalla sua competenza in ordine alle opportune valutazioni circa la responsabilità del dirigente. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che, anche per la categoria dirigenziale del pubblico impiego privatizzato, l’intero procedimento disciplinare deve essere attribuito all’esclusiva cognizione dell’ufficio competente, con la conseguenza che una non corretta instaurazione del procedimento medesimo oppure l’intervento di un soggetto non legittimato, rendendo illegittimo il procedimento medesimo, comportano la nullità della sanzione afflitta. La genericità delle contestazioni. Allo stesso modo i Supremi Giudici ritengono infondate le censure relative alla genericità delle contestazioni mosse al dirigente. Il datore di lavoro ha infatti motivato il proprio provvedimento richiamando alcune segnalazioni del Ministro della Salute e dell’assessore alla Sanità della regione Campania in tema di profilassi della brucellosi bufalina, affermando semplicemente che il comportamento del dirigente, basandosi su fonti bibliografiche ormai superate, ha arrecato grave pregiudizio alle politiche sanitarie adottate. Gli addebiti così formulati, come correttamente rilevato nella sentenza di merito, presentano innegabili difetti di specificità. Tale circostanza inficia l’intero procedimento e dunque anche il provvedimento di licenziamento, come affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 9615/97. La pronuncia richiamata, sostenendo la necessità di tutelare il diritto di difesa dell’incolpato, sancisce la necessità di sopperire all’incompletezza della tipizzazione normativa delle varie fattispecie di illecito disciplinare con una puntuale e circostanziata contestazione dell’addebito, in modo tale da poter individuare la specifica natura della condotta rilevante ai fini della configurazione della responsabilità. L’applicabilità dell’art. 18. Le conseguenze della dichiarazione di illegittimità del licenziamento non sono esclusivamente di tipo economico, essendo applicabile anche al lavoro pubblico privatizzato, le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il motivo con cui il datore di lavoro denuncia l’applicazione della tutela reintegratoria al dirigente licenziato è quindi dichiarato infondato, richiamando anche in questo caso, diverse pronunce con cui la Corte di legittimità conferma l’applicabilità di tale disposizione anche all’impiego pubblico. Per questi motivi la Corte rigetta i motivi di ricorso analizzati, dichiarando assorbiti i rimanenti e condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 novembre 2014 – 27 gennaio 2015, numero 1478 Presidente Stile – Relatore Buffa Fatto e diritto Con sentenza 11.4.11, la corte d'appello di Napoli, confermando la sentenza del 2.12.08 del tribunale partenopeo, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento del dr. F. , dirigente dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del mezzogiorno, con conseguente applicazione dell'art. 18 stat. lav In particolare, la corte territoriale ha ritenuto la natura disciplinare e non dirigenziale della responsabilità fatta valere con il recesso datoriale, l'irrilevanza del parere del Comitato dei Garanti, la genericità della contestazione disciplinare, con conseguente illegittimità del recesso. Ricorre avverso tale sentenza il datore di lavoro per undici motivi, illustrati da memoria, cui resiste il lavoratore con controricorso. Con il primo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 4 c.p.c. - violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla deduzione dell'identità delle circostanze su cui si è pronunciato il Comitato dei garanti e quelle oggetto di contestazione disciplinare. Con il secondo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 5 c.p.c. - vizio di motivazione, per aver ritenuto non vincolante il parere del Comitato predetto. Con il terzo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 5 c.p.c. - vizio di motivazione e violazione dell'art. 1362 c.c. e 23 ccnl 8.6.00, per non aver dato rilievo al parere del detto Comitato. Con il quarto motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 3 c.p.c. - violazione dell'art. 21 e 22 d.lgs. 165/01 e 12 prel., per aver ritenuto rilevante il parere predetto solo per la responsabilità dirigenziale e non anche per quella disciplinare. Con il quinto motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 3 c.p.c. - violazione dell'art. 7 stat. Lav., 1362 c.c., 115 e 116 c.,p.c. e 36 c.c.numero l., per aver ritenuto le contestazioni generiche. Con il sesto motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 4 c.p.c. - violazione dell'art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione, in ordine alla pronuncia d'appello sulla tardività della contestazione, non oggetto della pronuncia di primo grado. Con il settimo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 5 c.p.c. - vizio di motivazione in ordine ai tempi della contestazione. Con l'ottavo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 4 c.p.c. - violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla proporzionalità della sanzione. Con il nono motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 5 c.p.c. - vizio di motivazione in ordine alla idoneità dei fatti ascritti al dipendente a determinare il recesso. Con il decimo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 4 c.p.c. - violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla dedotta inapplicabilità della tutela reintegratoria, essendo prevista solo una tutela risarcitoria dal contratto collettivo. Con l'undicesimo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 5 c.p.c. - violazione dell'art. 21 del d.lgs. 165/01, 1362 c.c. e 36 e 37 co. 10 e 15 ccnl, per aver applicato la tutela reintegratoria laddove la contrattazione prevede una mera tutela indennitaria c.d. indennità supplementare . È preliminare l'esame del terzo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole della mancata attribuzione di rilievo al parere del Comitato dei Garanti. Il motivo è infondato atteso, da un lato, che il parere in discorso -che ha in linea generale carattere obbligatorio ma non vincolante e che comunque non può mai operare in danno del lavoratore, esonerando il datore dalle valutazioni di sua competenza in ordine alla portata della responsabilità del dirigente - rileva in riferimento alla responsabilità dirigenziale e non anche alla responsabilità disciplinare del dirigente, non potendo comunque costituire uno strumento per eludere le garanzie del lavoratore, previste in materia disciplinare anche nei confronti dei dirigenti. Si è infatti precisato dalla giurisprudenza di legittimità Sez. L, Sentenza numero 14628 del 17/06/2010 che, nel pubblico impiego contrattualizzato, trova applicazione anche con riferimento alla dirigenza sanitaria il principio di cui all'art. 59 del d.lgs. 165 del 2001, secondo il quale tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l'organo competente all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, restando altresì escluso l'intervento nel procedimento del Comitato dei Garanti, che è previsto per il diverso caso della responsabilità dirigenziale cfr. pure Sez. L, Sentenza numero 8329 del 08/04/2010, che del pari sottolinea, seppure con esiti diversi, che, in tema di dirigenza pubblica, il previo conforme parere del Comitato dei Garanti, previsto dagli artt. 21 e 22 del d.lgs. numero 165 del 2001 per il personale statale, estensibile anche alle pubbliche amministrazioni non statali in forza della norma di adeguamento di cui all'art. 27, comma 1, del d.lgs. numero 165 del 2001, riguarda le sole ipotesi di responsabilità gestionale per il mancato raggiungimento degli obbiettivi nell'attività amministrativa e grave inosservanza delle direttive impartite dall'organo competente a ciò preposto e non anche le condotte realizzate in violazione di singoli doveri . In via ulteriore, va esaminato il quinto motivo di ricorso, che censura la sentenza per aver ritenuto le contestazioni generiche, e che è infondato. Risulta dagli atti che il Commissario dell'Istituto ricorrente ha richiamato le segnalazioni del Ministro della Salute S. e dell'assessore alla Sanità della Regione Campania le cui note sono richiamate nella contestazione con le quali, evidenziate le ripetute prese di posizione in materia di profilassi della brucellosi bufalina , si riferisce che detto comportamento del F. ha arrecato grave pregiudizio alla attuazione delle politiche sanitarie elaborate in tale settore dall'Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione , e, sostenendo tesi basate su fonti bibliografiche superate dirette a dimostrare la presunta inefficacia della pratica di abbattimento dei capi sieropositivi, ha di fatto paralizzato la predisposizione di un piano di eradicazione della brucellosi bufalina nella Regione Campania . La sentenza impugnata ha formulato il rilievo, argomentato e del tutto condivisibile secondo il quale, pur volendo aderire alla prospettazione datoriale secondo la quale oggetto della contestazione non è la diversità di opinioni espresse dal dirigente rispetto alla linea tracciata dalle politiche sanitarie ministeriali e regionali, bensì le modalità con cui tali opinioni sono state manifestate , gli addebiti formulati presentato difetto di specificità la contestazione avrebbe postulato infatti - tanto più in presenza di opinioni scientifiche espresse da un tecnico - una più precisa estrinsecazione delle modalità illecite attraverso le quali si sarebbe espressa la condotta disdicevole ascritta al dirigente, con indicazione dei dati e degli aspetti essenziali dei fatti materiali posti a fondamento dell'addebito, ai fini della chiara identificazione delle mancanze ascritte. La genericità delle contestazioni disciplinari inficia l'intera procedura e determina il vizio del provvedimento finale Sez. L, Sentenza numero 2853 del 26/02/2002 Sez. L, Sentenza numero 6523 del 20/07/1996 , correttamente riscontrato dal giudice di merito. In tema, infatti, le Sez. U, Sentenza numero 9615 del 01/10/1997, hanno evidenziato come nel procedimento disciplinare è necessario a salvaguardia del diritto di difesa dell'incolpato sopperire alla incompleta tipizzazione normativa delle varie fattispecie di illecito disciplinare con una rigorosa e circostanziata indicazione, nella contestazione dell'addebito, della specifica natura della condotta e del profilo sotto cui la stessa viene addebitata, in modo che possa essere agevolmente individuato dall'incolpato il particolare ed esatto angolo visuale dal quale la sua condotta dovrà essere vagliata. Ne deriva che la nullità della contestazione e delle accuse mosse all'incolpato per incertezza assoluta sul fatto e per la conseguente violazione del contraddittorio e del diritto di difesa può escludersi solo quando i fatti per i quali è stata ritenuta la responsabilità risultano tutti specificamente e analiticamente descritti nelle rispettive contestazioni trascritte nelle premesse sullo svolgimento del processo in guisa da non lasciare adito a dubbi sull'esatta consistenza e configurazione dei fatti e delle violazioni addebitate. Le conseguenze del recesso illegittimo non sono esclusivamente quelle di tipo economico consistenti nel pagamento dell'indennità supplementare in favore del dirigente, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, non essendo tale sanzione esclusiva delle tutele ordinarie del rapporto lavorativo. Va qui ricordato, peraltro, che la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito Sez. L, Sentenza numero 2233 del 01/02/2007 che l'illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro di una P.A. con un dirigente comporta l'applicazione, al rapporto fondamentale sottostante, della disciplina dell'ari 18 della legge numero 300 del 1970, con conseguenze reintegrato rie, a norma dell'art. 51, secondo comma, del d.lgs. numero 165 del 2001, mentre all'incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria. Nello stesso senso, si richiamano più di recente Sez. L, Sentenza numero 18198 del 29/07/2013 e Sez. L, Sentenza numero 8077 del 07/04/2014, secondo le quali l'illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro di una P.A. con un dirigente nella specie comunale comporta l'applicazione, al rapporto fondamentale sottostante, della disciplina dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, con conseguenze reintegratorie, a norma dell'art. 51, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, mentre all'incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta i motivi 3, 5 e 11 e dichiara assorbiti gli altri condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro cinque mila per compensi, ed Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.