Lavoratore dequalificato, ma il danno non vien da sé

In tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1327, depositata il 26 gennaio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Napoli condannava una società al risarcimento dei danni da demansionamento in favore di un dipendente. L’azienda ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver trascurato l’assenza di prova sia del demansionamento sia del danno da parte del lavoratore. Onere della prova. La Corte di Cassazione ricorda che, in tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale. Danno evidente. Il pregiudizio, che non può essere di natura meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, deve alterare le abitudini del lavoratore e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse per quanto riguarda l’espressione della propria personalità nel mondo esterno. Non basta dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma occorre provare, oltre al demansionamento, il danno non patrimoniale ed il nesso di causalità con l’inadempimento datoriale. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano liquidato il danno non patrimoniale equitativamente ritenendo di poterne desumere l’entità dalla durata del demansionamento e dall’anzianità del prestatore, senza che quest’ultimo avesse fornito elementi idonei a dimostrare, anche solo in via presuntiva, il tipo e l’entità dei danni subiti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento danni.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 ottobre 2014 – 26 gennaio 2015, n. 1327 Presidente Roselli – Relatore Buffa Fatto e diritto Con sentenza 31/7/07, la corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza del 27/4/04 del tribunale della stessa città, ha dichiarato il diritto del lavoratore D.P. - già dipendente dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici ASSI , quindi passato alle dipendenze dell'IRITEL, a seguito della soppressione della ASST in virtù della L. n. 58 del 1992, e poi di TELECOM ITALIA S.p.A. per effetto della fusione per incorporazione delle società IRITEL, ITALCABLE, TELESPAZIO e SIRM nella SIP, che aveva poi assunto la denominazione di TELECOM ITALIA S.p.A. , con identica posizione di lavoro - all'inquadramento nel liv. V c.c.n.l. SIP del 1/11/93 e liv. E c.c.n.l. aziende telecomunicazione del 1/10/96, con diritto a differenze retributive dal 21/2/1998 da liquidarsi in separato giudizio ha condannato Telecom al risarcimento del danno che determina nel 50% delle differenze retributive per i soli primi tre anni di demansionamento. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che la disciplina di riforma del settore delle telecomunicazioni l. 58/92 , che prevedeva il passaggio dei dipendenti ASST all'Iritel personale poi confluiti in Telecom con conservazione del trattamento economico goduto, rimettendo alla contrattazione collettiva la tutela della professionalità dei dipendenti attraverso la determinazione di tabelle di equiparazione tra le qualifiche di provenienza e quelle di destinazione, non precludeva - a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado - il controllo del giudice circa la conformità delle tabelle medesime al criterio del rispetto della professionalità acquisita, pur se non in applicazione dell'art. 2103 c.c. ma secondo criteri meno rigidi compatibili con il passaggio da un contesto lavorativo di pubblico impiego ad una organizzazione del lavoro predisposta da un gestore privato. Nella specie, la corte ha ritenuto inapplicabili le tabelle in quanto le posizioni previste dalle stesse non corrispondevano alla reale professionalità della posizione di lavoro del dipendente, caratterizzato — come dallo stesso allegato e non contestato da controparte - da compiti di coordinamento dapprima e mansioni meramente esecutive dopo il passaggio all'Iritel. Riconosciuto il demansionamento, la corte territoriale ha condannato al risarcimento del danno, ritenendo questo solo per i primi tre anni, per aver poi ipotizzato un adattamento del lavoratore nel nuovo contesto in grado di eliminare ogni disagio. 2. Avverso tale sentenza ricorre il datore con tre motivi resiste il lavoratore con controricorso. 3. Con il primo motivo del ricorso, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. - vizio di motivazione violazione degli artt. 4 l. 58/92, 2071, 2095 c.c. e 96 att. c.c. e del c.c.n.l. 15/3/93, per aver trascurato che non vi era continuità tra il vecchio ed il nuovo rapporto, non essendo applicabili alla fattispecie né l'art. 2112 c.c. né l'art. 2013 c.c., ed essendo rimessa alla contrattazione collettiva le qualifiche del personale. Con il secondo motivo del ricorso, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. - violazione degli artt. 2103, 2697 e 416 c.p.c., per aver trascurato sia l'assenza di prova di demansionamento, sia l'assenza di prova di danno da parte del lavoratore. Con il terzo motivo del ricorso, si deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. - vizio di motivazione, in relazione alla comparazione tra VI categoria e VI livello. 4. Il primo motivo deve essere rigettato, avendo questa Corte già più volte affermato il principio - cui si è attenuta la sentenza impugnata e che in questa sede va ribadito - secondo il quale la legge 29 gennaio 1992, n. 58, nel riformare il settore delle telecomunicazioni con il passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello privato - senza che tale passaggio desse luogo all'applicazione dell'art. 2112 cod. civ. - ha previsto la predisposizione, sulla base di accordo con le organizzazioni sindacali, di tabelle di equiparazione in funzione della conservazione della posizione giuridica ed economica di ciascun lavoratore e senza possibilità di disporre dei diritti dei lavoratori, stabilendo il criterio che risulti assicurata la tutela della professionalità acquisita e di un trattamento economico globalmente non inferiore a quello precedentemente goduto Sez. L, sentenza n. 24231 del 30/11/2010 Sez. L, sentenza n. 11936 del 22/05/2009 . Ne consegue che, se dette tabelle di equiparazione non dovevano essere elaborate in termini di corrispondenza meccanica ed assoluta con le qualifiche di provenienza, ma secondo un raffronto complessivo tra le qualifiche o i livelli di volta in volta presi in considerazione, è possibile - proprio in funzione di salvaguardia della professionalità dei lavoratori tutelata dalla legge n. 58/92 - la disapplicazione di tali tabelle ad opera del giudice che ne ravvisi, in via incidentale, la parziale nullità per la non corrispondenza ai criteri imposti dalla legge stessa, ferma restando la necessità che la valutazione circa la legittimità della equiparazione prevista in sede collettiva avvenga sulla base di un raffronto complessivo tra le qualifiche o i livelli di volta in volta posti a raffronto in tal senso, già Sez. L, sentenza n. 12647 del 08/07/2004 più di recente, Sez. L, sentenza n. 4991 del 01/03/2011 . 5. Il terzo motivo, che sul piano logico precede il secondo motivo e perciò va esaminato prima, è del pari infondato, avendo la sentenza congruamente ed adeguatamente motivato e la relativa valutazione non è pertanto censurabile in questa sede tra le tante, Sez. L, sentenza n. 6560 del 11/05/2001 in ordine alle numerose differenze tra la vecchia VI categoria e il VI livello del nuovo inquadramento, affermando che la prima ricomprende in via qualificante compiti di coordinamento e controllo svolti in autonomia, mentre il secondo prevede compiti operativi, pur tecnicamente qualificati, su impianti semplici con solo eventuali compiti di supporto professionale e coordinamento di altri lavoratori. 6. Il secondo motivo, che considerata la pacifica assegnazione del lavoratore a mansioni proprie della nuova ed inferiore qualifica assegnata va per quanto detto respinto nella parte in cui lamenta la mancata prova di demansionamento, è invece fondato nella parte in cui il ricorrente lamenta l'assenza di prova di danno da parte del lavoratore. 7. In tema di demansionamento e di dequalificazione, le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, sentenza n. 6572 del 24/03/2006 hanno affermato da tempo che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Si è altresì statuito Sez. L, sentenza n. 6797 del 19/03/2013 Sez. L, sentenza n. 19785 del 17/09/2010 che, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio - dall'esistenza di un pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale. 8. La decisione impugnata ha liquidato il danno non patrimoniale equitativamente ritenendo di poterne desumere l'entità dalla durata del demansionamento e dall'anzianità del prestatore, senza che la parte che vi era onerata avesse fornito elementi idonei a dimostrare, anche solo in via presuntiva, il tipo e l'entità dei danni subiti, aspetti questi a ben vedere neppure specificamente allegati così facendo la sentenza non si è attenuta ai principi su indicati e deve pertanto essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in ordine alla domanda di risarcimento del danno, questa Corte può decidere su tale domanda e, in difetto di allegazione e prova di danno, rigettarla. 9. Le spese seguono la soccombenza che, essenzialmente, è del ricorrente. P.Q.M. la Corte rigetta il primo e terzo motivo di ricorso accoglie il secondo motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in parte qua in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento danni condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro tremila per compensi, Euro cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.