Tentativo di conciliazione valido anche se non c’è l’esatta indicazione del datore

La richiesta del tentativo di conciliazione è effettuata validamente anche senza l’esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità. Infatti, l’indicazione erronea del datore è priva di conseguenze pratiche se l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla Direzione provinciale del Lavoro e ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione.

Così si è espressa la Corte di cassazione nella sentenza n. 1244, depositata il 23 gennaio 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Ancona dichiarava l’illegittimità delle sanzioni disciplinari della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e del licenziamento irrogate al lavoratore dalla società datrice di lavoro, e ne ordinava la reintegrazione con risarcimento del danno ex art. 18 dello Statuto Lavoratori. Contro detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro, lamentando che la sentenza impugnata non ha dato rilevo al fatto che la richiesta di tentativo di conciliazione non era stata proposta verso il datore di lavoro API Raffineria di Ancona s.p.a. , soggetto giuridico diverso anche se appartenente allo stesso gruppo societario API s.p.a . L’indicazione della parte datoriale. Sul punto, il Collegio afferma che, perché la richiesta del tentativo di conciliazione sia effettuata validamente non occorre l’esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità, mentre nel caso l’indicazione erronea del datore è stata di fatto priva di conseguenze pratiche, atteso che l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla Direzione provinciale del Lavoro che ha corretto l’errore del lavoratore e il datore ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione, senza nulla eccepire. Impugnazione licenziamento tempestiva. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ricorda il Collegio, hanno altresì affermato il principio secondo il quale l’impugnazione del licenziamento ai sensi dell’art. 6 della l. n. 604/1966, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio sottratto alla sua ingerenza. Validità e tempestività. Nel caso di specie, osserva il Collegio, sia la richiesta di tentativo di conciliazione che l’impugnativa di licenziamento sono stati fatti validamente, senza che sia configurabile alcun vizio giuridicamente rilevante, e tempestivamente, e le indicazioni imprecise del lavoratore circa l’esatta denominazione del datore, astrattamente configurabili quali ostacoli di fatto perché l’atto raggiunga il datore, sono state prive di conseguenze in concreto per avere l’atto realizzato gli effetti suoi propri una volta che gli atti suddetti sono pervenuti al datore di lavoro effettivo. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 ottobre 2014 – 23 gennaio 2015, n. 1244 Presidente Macioce – Relatore Buffa Fatto e diritto 1. Con sentenza 23.8.2011, la Corte d'Appello di Ancona, confermando la sentenza 9.2.2011 del tribunale della stessa sede, ha dichiarato l'illegittimità delle sanzioni disciplinari della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e del licenziamento irrogate a C.D. dalla Api Raffineria di Ancona s.p.a., alle cui dipendenze egli lavorava, e ne ordinava la reintegrazione con risarcimento del danno ex articolo 18 Stat. Lav 2. I fatti ascritti riguardavano il temporaneo rifiuto - nonostante l'invito dei superiori - di compiere attività doverose, quali il carico di benzina di una nave, la firma di permessi di lavoro, lo svolgimento di operazioni di carico di gasolio sulla nave nonostante riscontrate anomalie su sigilli . La Corte d'Appello ha ritenuto il rifiuto suddetto - motivato nell'immediatezza dalla ricorrenza di una situazione di pericolo ed accompagnato da richiesta di ordine scritto del superiore - come atteggiamento non di insubordinazione ma di doverosa precauzione antinfortunistica, mentre la mancata firma sui permessi di lavoro si è del pari giustificata in ragione del sovraccarico di lavoro incontrato dal lavoratore, tanto più che la stessa non aveva portato conseguenze dannose. 4. Sotto altro profilo, la Corte territoriale ha ritenuto tempestiva l'impugnazione del recesso in quanto la tempestiva richiesta del tentativo di conciliazione, pur rivolta a soggetto formalmente diverso dal datore - aveva comunque avuto l'effetto della partecipazione del vero datore di lavoro al tentativo di conciliazione. 5. Ricorre avverso tale sentenza il datore di lavoro per due motivi, illustrati da memoria resiste il lavoratore con controricorso, accompagnato da memoria. 6. Con il primo motivo di ricorso si deduce - ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cpc - violazione degli articoli 410 cpc e 6 legge 604 del 1966 nel testo precedente la legge 92 del 2012 , per aver trascurato la sentenza impugnata che la richiesta di tentativo di conciliazione era stata proposta verso TAPI s.p.a. e non verso il datore di lavoro API Raffinerie Ancona s.p.a. , soggetto giuridico diverso pur se appartenente allo stesso gruppo societario, e che la convocazione della Direzione provinciale del lavoro e la partecipazione del datore al tentativo di conciliazione erano comunque successive al decorso del termine di 60 giorni. 7. Con ulteriore motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione - ai sensi dell'articolo 360 numero 5- cpc in relazione ai profili sopra indicati. 8. I due motivi di ricorso sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente essi sono infondati. 9. Dagli atti risultano le seguenti circostanze, pacifiche o comunque acclarate il C. , licenziato con lettera pervenutagli il 28 luglio 2005, in data 5.9.2005 ha formulato richiesta alla Direzione provinciale del Lavoro di convocazione delle parti per il tentativo di conciliazione con contestuale impugnativa del licenziamento, indicando in tale istanza TAPI spa e non API Raffineria Ancona s.p.a., spedendo copia delle missiva anche alla sede della società API in Roma, società capogruppo, holding del gruppo di cui fa parte API Raffineria Ancona s.p.a. la DPL il 10.10.2005 ha convocato API Raffineria per l'incontro avanti la Commissione di conciliazione fissato per il 24.10.2005, rimettendo alla società anche l'impugnativa di licenziamento sottoscritta dal lavoratore all'incontro del 24.10.2005 si presentava il direttore di API Raffineria in rappresentanza dell'azienda le parti all'incontro discutevano, il lavoratore impugnava il licenziamento insistendo nella reintegrazione, ma le parti non raggiungevano la conciliazione. 10. Ciò posto, deve rilevarsi che il tentativo di conciliazione è stato fatto nei termini con richiesta alla DPL competente e che dal momento della proposizione del tentativo opera l'effetto sospensivo del termine di impugnativa del licenziamento quindi, nel periodo di sospensione del termine di decadenza, il datore di lavoro API Raffineria ha ricevuto l'impugnativa del licenziamento, sia con la lettera inviata dalla DPL allegata alla convocazione, sia in sede di conciliazione come risulta dal verbale sottoscritto dalle parti. 11. Perché la richiesta del tentativo di conciliazione sia effettuata validamente non occorre l'esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità, mentre nel caso l'indicazione erronea del datore peraltro per imprecisione originata dalla stessa lettera di licenziamento e comunque relativa a soggetto posto a capo del gruppo cui appartiene il datore reale e dunque non completamente estraneo è stata di fatto priva di conseguenze pratiche, atteso che l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla DPL che ha corretto l'errore del lavoratore e il datore ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione, senza nulla eccepire. 12. Una volta che sono rimossi i dubbi circa la validità della richiesta del tentativo di conciliazione, opera l'effetto sospensivo del termine di decadenza dell'impugnativa di licenziamento, come chiarito da questa Corte, secondo la quale Sez. L, Sentenza n. 12890 del 09/06/2014 Sez. L, Sentenza n. 17231 del 22/07/2010 Sez. L, Sentenza n. 14087 del 19/06/2006 , alla luce di una lettura costituzionalmente orientata v. Corte cost. n. 276 del 2000 e n. 477 del 2002 delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario nel predetto termine, ovvero,in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410 cod. proc. civ., secondo comma così come modificato dall'art. 36 del d.lgs. n. 80 del 1998 , il predetto termine processuale con riflessi di natura sostanziale si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione e divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione. 13. Nel caso, la richiesta del tentativo di conciliazione conteneva l'impugnativa del licenziamento rivolta al datore nel medesimo atto e tale atto è stato partecipato per conto del lavoratore al datore di lavoro - per quanto per il tramite di altro soggetto - ad opera della DPL, in allegato alla convocazione per la conciliazione. Anche con riferimento all'impugnativa di licenziamento proposta contestualmente alla richiesta di conciliazione opera il principio della scissione tra il momento dell'invio dell'atto e quello della ricezione da parte del datore, dovendo aver riguardo solo al primo momento al fine di valutare la tempestività dell'atto, sempre che poi lo stesso sia pervenuto al datore, anche oltre il termine. 14. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno affermato il principio secondo il quale l'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che - in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale - l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio - idoneo a garantire un adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza Sez. U, Sentenza n. 8830 del 14/04/2010 Sez. L, 24434 del 2/12/2010 Sez. L, Sentenza n. 6757 del 24/03/2011 . 15. Nella specie, sia la richiesta di tentativo di conciliazione che l'impugnativa di licenziamento - oggettivamente riferiti all'unico rapporto di lavoro del ricorrente ed all'unico licenziamento indicato, senza possibilità di equivoci - sono stati fatti validamente, senza che sia configurabile alcun vizio giuridicamente rilevante, e tempestivamente, e le indicazioni imprecise del lavoratore circa l'esatta denominazione del datore, astrattamente configurabili quali ostacoli di fatto perché l'atto raggiunga il datore, sono state prive di conseguenza in concreto per avere l'atto realizzato gli effetti suoi propri una volta che gli atti suddetti sono pervenuti al datore di lavoro effettivo. 16. Anche il secondo motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata ha, con motivazione ampia, corretta e congrua dato atto degli elementi sopra indicati, ed in particolare della tempestività della richiesta di conciliazione, del raggiungimento dello scopo della stessa, dell'impugnativa del licenziamento contenuta contestualmente alla richiesta di conciliazione e poi reiterata nel verbale di conciliazione. 17. Il ricorso pertanto va rigettato. 18. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese lite chi si liquidano in Euro seimila per compensi e 100 per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.