L’appropriazione di beni aziendali, ancorché illegittima, non è del tutto sovrapponibile alla sottrazione funzionale al consumo

Bisogna umanizzare il rapporto di lavoro e il datore di lavoro, nell’irrogare le sanzioni, deve tenere sempre in considerazione la loro adeguatezza e proporzionalità al caso concreto.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 854, depositata il 20 gennaio 2015. La vicenda processuale. Con ricorso notificato a mani nel domicilio eletto nel mese di febbraio 2012 la Società ricorrente, in persona dell’amministratore delegato, legale rappresentante, proponeva ricorso avverso la sentenza n. 943/2001, datata 7 luglio 2011, con deposito in Cancelleria in data 23 settembre 2011, della Corte di Appello di Catanzaro, Sezione Lavoro, che – in riforma della sentenza di primo grado accoglieva l’appello interposto dichiarando illegittimo il licenziamento ed ordinando l’immediata reintegra del lavoratore oltre il pagamento delle retribuzioni dovute dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra, oltre accessori come per legge. Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il datore di lavoro, sostanzialmente con un unico motivo seppur esplicitato” nelle lettere indicate con A B e C . Il primo ed unico motivo che può essere riassunto nella pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 3 legge n. 604/1966, in relazione, anche, all’art. 30, comma 3, legge n. 183/2010 art. 360, n. 3, c.p.c. . Motivazione insufficiente ed illogica. Omesso esame di circostanze decisive omessa motivazione in ordine all’asserita prova di asserite circostanze attenuanti art. 360, n. 5, c.p.c. . La lettera A che può essere riassunta nella pretesa violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 30, comma 3, legge n. 183/2010, in relazione ad illecito disciplinare integrante condotta delittuosa contro il datore di lavoro. La lettera B che può essere riassunta nella pretesa violazione del vizio assoluto di motivazione sulle circostanze della condotta delittuosa, sull’elemento psicologico e sulla premeditazione. La lettera C che può essere riassunta nella pretesa violazione del vizio assoluto di motivazione ed illogicità conclamata con riferimento alle presunte circostanze attenuanti”, ritenute comprovate” dalla sentenza impugnata senza una sola parola di motivazione. A parere della scrivente difesa, in rappresentanza e difesa del lavoratore, i motivi, seppur esplicitati nei 3 punti precitati, meritavano il rigetto con conferma della decisione dei Giudici di appello della Corte territoriale catanzarese. Sostanzialmente, seppur mascherandola sotto la pretesa violazione di norme e di omessa ovvero illogicità della motivazione dell’impugnata sentenza, la Società ricorrente cercava di sovrapporre la sua ricostruzione fattuale” a quella operata dai Giudici del merito. Il lavoratore resisteva con controricorso. L’appropriazione di beni aziendali non è del tutto sovrapponibile alla sottrazione funzionale al consumo immediato del bene. La Corte di legittimità, nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, ha sostanzialmente statuito che l’appropriazione di beni aziendali tra l’altro riconosciuti dal lavoratore stesso sin dal giudizio di prime cure , ancorché illegittimo, non è del tutto sovrapponibile alla sottrazione funzionale al consumo immediato del bene. La Corte, nella sua decisione, si è soffermata anche sul campo penale individuando l’area del furto d’uso per essere il fatto commesso su cose di tenue valore ed evidenziando il comportamento del lavoratore che ha deliberatamente scelto il prodotto di più bassa qualità, la preoccupazione di contenerlo – e per provvedere comunque ad un bisogno in qualche misura qualificabile grave ed urgente . In altri termini la Suprema Corte, nel confermare l’apparato argomentativo della sentenza di secondo grado, pur sottoposto a feroci censure del datore di lavoro, ha evidenziato che l’attenzione dei Giudici non doveva solo soffermarsi sul fatto materiale dell’impossessamento furtivo per come voluto dal datore di lavoro che costituiva solo l’antefatto di un ragionamento più complesso operato dalla Corte territoriale catanzarese. Infatti, scrive la Suprema Corte, nella decisione in commento la Corte territorialesi rende anzi ben conto della configurabilità della condotta del dipendente come impossessamento furtivo di prodotti dell’azienda intenzionalmente operatoma supera questi dati nel quadro di una valutazione della proporzionalità della sanzione che muove dalla derubricazione della stessa condotta da furto di vino a consumo di vino rilevando la correttezza della tesi sostenuta dal controricorrente lavoratore. La Corte di legittimità, nell’articolata ed interessante motivazione, evidenzia anche come appare assolutamente incommensurabile rispetto a quella della Corte territoriale la prospettazione della vicenda a cura della Società ricorrente sicché le due versioni restano a fronteggiarsi senza interferire, non valendo quella proposta dalla Società ricorrente ad inficiare la validità di quella fatta propria dalla Corte territoriale . Insomma il lavoratore non ha raccontato, per i Giudici della Sezione Lavoro, alcuna favoletta” e ha puntualmente dimostrato le ragioni giustificatrici poste a base del suo gesto in un arco temporale ristretto 14 giorni a fronte di un rapporto lavorativo di quasi 20 anni! . Si legge nella sentenza non propriamente qualificabili frutto di una favoletta come vorrebbe la ricorrente e neppure indimostrate richiamando la particolare situazioni personale e familiare del lavoratore, puntualmente dimostrate e neglette dal primo giudice del Tribunale catanzarese, per poi essere adeguatamente e correttamente valutate dai Giudici della Corte di Appello che accoglievano il gravame del lavoratore e riformavano completamente la sentenza di prime cure che si era censurata per una rigida ed errata interpretazione fattuale, nonché per la violazione del principio di proporzionalità tra fatto censurato al lavoratore e sanzione irrogata. Interessanti, a nostro avviso, non solo i principi di diritto enunciati nella decisione della Corte di Cassazione ma anche, e forse soprattutto, il buon senso che si ritrova in essa! Infatti si coglie l’aspetto propriamente umano” del rapporto di lavoro quando, nell’analizzare le precitate situazioni si afferma evenienze che non di rado possono spingere a indulgere a rimedi discutibili e socialmente censurabili ma soggettivamente percepiti come necessario sollievo ben può valere come esimente o circostanza attenuanteanche in considerazione dell’adibizione del lavoratore a mansioni non implicanti particolari responsabilità . In altre parole bisogna umanizzare il rapporto di lavoro e il datore di lavoro, nell’irrogare le sanzioni, deve tenere sempre in considerazione la loro adeguatezza e proporzionalità al caso concreto. Se si ruba una mela per mangiarla nel caso di specie alcune confezioni di vino di scadente qualità non si può irrogare la sanzione massima del licenziamento che corrisponde, per i lavoratori, alla pena dell’ergastolo! Non bisogna soffermarsi sulla semplicistica osservazione che trattasi di ipotesi furtiva bensì, calandosi nel caso concreto e, quindi, sulle situazioni personali e familiari del lavoratore, che trattasi di appropriazione a consumo non trascurando il fattore temporale e la limitazione nel tempo degli atti d’impossessamento. La sentenza emessa ci fa comprendere che non c’è luogo profondo che l’intelligenza di una equilibrata decisione non possa rendere superficiale!

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 novembre 2014 - 20 gennaio 2015, n. 854 Presidente Stile – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 23 settembre 2011, la Corte d'Appello di Catanzaro, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Catanzaro, dichiarava l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a C.R. dalla A.Z. S.p.A-Aushan S.p.A, sua datrice di lavoro a seguito della contestazione disciplinare avente ad oggetto l'addebito, verificato attraverso il personale e le telecamere di sorveglianza, del comportamento, reiterato in più occasioni in un breve arco di tempo, consistito nell'aver il lavoratore furtivamente sottratto dagli scaffali del supermercato, ove operava quale addetto alle vendite, confezioni di vino in scatola per poi consumarle nello stesso luogo di lavoro ivi abbandonandone i vuoti che così erano stati rinvenuti dando avvio alle indagini, e per l'effetto ordinava la reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di lavoro e la condanna della Società al risarcimento del danno commisurato all'importo della retribuzioni maturate e maturande dalla data del licenziamento a quelle dell'effettiva reintegra. A tale pronunzia la Corte territoriale perveniva essenzialmente in considerazione della ritenuta sproporzione tra i fatti addebitati e commessi dal lavoratore, individuati nell'aver per alcune volte, durante gli ultimi giorni del mese di settembre del 2009, aperto e consumato nei locali aziendali delle confezioni di vino, e la sanzione irrogata, sproporzione motivata dal concentrarsi delle mancanze in un periodo breve presumibilmente coincidente con la difficile condizione lavorativa, psicologica e ambientale nella contingenza attraversata dal lavoratore e da questi addotta a giustificazione dell'accaduto tale da rendere le mancanze stesse insuscettibili, tenuto conto altresì della precedente condotta lavorativa e delle mansioni svolte dal lavoratore, di pregiudicare irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società affidando l'impugnazione ad un unico motivo poi illustrato con memoria. Resiste, con controricorso, il C. . Motivi della decisione Con un unico e articolato motivo, la Società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e dell'art. 3 L. n. 604/1966, in relazione anche all'art. 30, comma 3, L. n. 183/2010. Motivazione insufficiente ed illogica. Omesso esame di circostanze decisive omessa motivazione in ordine all'asserita prova di asserite circostanze attenuanti , lamentando come la Corte territoriale, nell'escludere la ricorrenza nella specie dell'invocata giusta causa di licenziamento, abbia disatteso il canone legislativo che gli impone di tener conto delle tipizzazioni a riguardo previste dai contratti collettivi, rinvenibili nel CCNL applicabile all'art. 221 che contempla tra le ipotesi di recesso per giusta causa impeditive della prosecuzione anche provvisoria del rapporto l'appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi , sottraendovisi per essersi discostata dai canoni valutativi che, alla stregua di un costante indirizzo giurisprudenziale, devono presiedere alla verifica dell'inveramento della fattispecie astratta di cui all'art. 2119 c.c., dati dalla materialità della condotta, da identificarsi, a detta della Società ricorrente, nel reiterato furtivo impossessamento di beni aziendali, dalla natura dell'elemento psicologico, improntato, sempre secondo la versione della ricorrente, alla premeditazione e all'intenzionalità, dalla gravità della condotta da ritenersi, per la ricorrente, insita nel carattere delittuoso della stessa e accentuata dall'atteggiamento inteso pervicacemente a negare la propria responsabilità per tutto l'arco del giudizio, e ciò al punto da non tenere in alcun conto gli elementi probatori a riguardo emersi, in particolare per quel che attiene alle modalità in cui è stata posta in essere la condotta, per dare rilievo ad elementi sforniti di qualsiasi valenza ai fini in questione, come la speciale tenuità del danno, o addirittura apoditticamente, senza motivazione alcuna, ritenuti idonei a porsi quali circostanze attenuanti la responsabilità del dipendente così da risultare ostative al venir meno del vincolo fiduciario. Il motivo deve ritenersi infondato. La pronunzia della Corte territoriale, in effetti, si sottrae alle censure mosse dalla Società ricorrente. La Corte non incorre nei denunciati errori di diritto e vizi logici che le vengono attribuiti, non è che non tenga conto della tipizzazione del contratto collettivo e applichi in modo non corretto i canoni valutativi che devono presiedere alla identificazione delle ricorrenza di una giusta causa, si rende anzi ben conto della configurabilità della condotta del dipendente come impossessamento furtivo di prodotti dell'azienda intenzionalmente operato e tale da integrare gli estremi di una azione delittuosa ma semplicemente supera questi dati nel quadro di una valutazione della proporzionalità della sanzione che muove dalla derubricazione della stessa condotta da furto di vino a consumo di vino, come ben rileva la stessa difesa della ricorrente, in cui l'azione dell'impossessamento invito domino è meramente funzionale al soddisfacimento di un bisogno di consumo immediato e limitato al più un cartone di vino da un litro al giorno , una condotta che per essersi manifestata all'improvviso è idonea a riflettere una anomala condizione di disagio da parte di un lavoratore che in precedenza non aveva suscitato sul lavoro particolari problemi, e tale valutazione è operata secondo un iter logico non privo di tenuta e sostanzialmente neppure fatto oggetto di censura da parte della Società ricorrente. Il ricorso vi si oppone con la prospettazione di una versione della vicenda che, mirando a dare esclusivo rilievo al fatto materiale dell’impossessamento furtivo, appare assolutamente incommensurabile rispetto a quella della Corte territoriale, per la quale il fatto dell'impossessamento è un semplice antefatto, laddove configura la condotta come essenzialmente connotata dalla mera, ancorché illegittima, finalità di consumo del vino, sicché le due versioni restano a fronteggiarsi senza interferire, non valendo quella proposta dalla Società ricorrente ad inficiare la validità di quella fatta propria dalla Corte territoriale. E questa, considerata in sé, si ammanta, come detto, di una intrinseca logicità, dovendosi ammettere che l'appropriazione di beni aziendali non è del tutto sovrapponibile alla sottrazione funzionale al consumo immediato del bene, siamo piuttosto, per radicare il paragone sempre nel campo penale, in un'area molto vicina al furto d'uso, per essere il fatto commesso su cose di tenue valore - di qui il rilievo dato dalla Corte territoriale alla tenuità del danno, intendendo, con tutta evidenza, non certo discostarsi dall'insegnamento di questa Suprema Corte di cui il Collegio ha piena consapevolezza, ma piuttosto evidenziare da parte del lavoratore, il quale ha deliberatamente scelto il prodotto di più bassa qualità, la preoccupazione di contenerlo - e per provvedere comunque ad un bisogno in qualche misura qualificabile grave ed urgente, il che abbinato alla considerazione del fattore tempo - viceversa completamente trascurato dalla Società ricorrente - ovvero del manifestarsi improvviso del comportamento illecito e del suo concentrarsi in un arco temporale limitato così da indurre a ritenerlo frutto di una condizione anomala rispetto alla personalità ordinariamente manifestata dal lavoratore, indotta da situazioni del tipo di quelle dedotte dal lavoratore - non propriamente qualificabili frutto di una favoletta come vorrebbe la ricorrente e neppure tutte indimostrate, specie se si ha riguardo alle condizioni di salute dei familiari, dalla moglie in stato di gravidanza a rischiosi figlio di quattro anni con problemi respiratori, mai contestate, evenienze che non di rado possono spingere a indulgere a rimedi discutibili e socialmente censurabili ma soggettivamente percepiti come necessario sollievo - ben può valere come esimente o circostanza attenuante, in specie se riguardata alla luce di un pregresso connotato in termini affatto diversi, idonea ad escludere, anche in considerazione dell'adibizione del lavoratore a mansioni non implicanti particolari responsabilità la Corte fa riferimento a compiti di sorveglianza e di tenuta della cassa , quel pregiudizio all'affidamento del datore sull'esatto adempimento delle prestazioni future in cui si concreta il vincolo fiduciario. Il ricorso va dunque rigettato Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 100 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali e accessori di legge.