Madre inabile al 100%, affiancata dalla colf: permesso retribuito riconosciuto alla figlia lavoratrice

Respinta la tesi del Comune, che aveva, in un primo momento, ritenuto non legittima la richiesta avanzata da una propria dipendente, inquadrata come vigile urbano. Secondario il richiamo al concetto di assistenza continua ed esclusiva. Evidente la situazione di precarietà dell’anziana madre della lavoratrice.

Oltre 350 chilometri di distanza tra il proprio luogo di lavoro e l’abitazione dei propri genitori, dove la lavoratrice – un vigile urbano – chiede di potersi recare, usufruendo dei tre giorni di permesso mensile – previsti dalla legge numero 104/1992 –, per prestare assistenza alla madre, inabile al 100 %. Richiesta contestata dal Comune, ma ritenuta legittima dai giudici italiani irrilevante il richiamo ai concetti di assistenza continua” ed esclusività”, decisiva la constatazione della inabilità totale della anziana madre, affiancata solo dal marito – padre della lavoratrice – in condizioni precarie e dalla ‘colf’. Cassazione, sentenza numero 27232, sez. Lavoro, depositata oggi Madre Inabile. Pomo della discordia è, come detto, la richiesta della lavoratrice, che, dipendente comunale in qualità di vigile urbano , e unica figlia di genitori anziani , spiega di essere l’unica persona capace di assistere con continuità la madre, in condizioni di inabilità al 100% e con godimento dell’indennità di accompagnamento , viste anche le precarie condizioni del padre gravemente malato . Ciò, però, non è sufficiente, secondo il Comune, per riconoscere alla donna i tre giorni di permesso mensile previsti dalla legge numero 104/1992. E questa visione viene ritenuta corretta dai giudici del Tribunale, i quali evidenziano la mancanza del requisito della convivenza, e, in particolare, poi, la mancanza dell’assistenza quotidiana che la donna, a loro dire, non avrebbe potuto comunque assicurare all’anziana madre. Di avviso opposto, invece, i giudici della Corte d’appello, i quali ritengono acclarato il diritto della donna a fruire mensilmente di tre giorni di permesso retribuito sin dal gennaio del 2006 – quando, in sostanza, con l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre, di fatto era rimasta solo la ‘colf’ a garantire una assistenza parziale alla madre della lavoratrice –, con il ‘recupero’ del corrispettivo dei giorni non goduti da detta data . Assistenza. Assolutamente irrilevante, per i Giudici di secondo grado, il richiamo al concetto di assistenza continua e di esclusività , anche perché, così ragionando, il lavoratore non potrebbe neanche svolgere attività lavorativa . E, comunque, aggiungono ora i giudici della Cassazione, ribattendo alle obiezioni mosse dal Comune, il requisito della continuità ed esclusività dell’assistenza si era concretizzato nel corso del giudizio Ma – ecco il passaggio decisivo – viene ritenuta non plausibile neanche la contestazione mossa dal Comune sulla notevole distanza tra il luogo di lavoro della donna e il domicilio della madre, e accompagnata dalla constatazione della presenza quotidiana, nella abitazione della madre, di una ‘colf’ . Queste considerazioni, però, secondo i giudici della Cassazione, non possono spingere a ritenere che la lavoratrice potesse limitare la propria presenza a casa della madre solo nei week-end, e quindi fuori dalle giornate lavorative. Ciò perché la presenza in famiglia di altra persona, che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non può escludere di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge, ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona , mentre è ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permesso del lavoratore . Allo stesso tempo, aggiungono i giudici, bisogna interpretare in senso elastico anche il requisito della continuità , poiché è evidente che in ragione del lavoro espletato dal lavoratore ed in funzione della assistenza al parente, ben può esservi una continuità non giornaliera settimanale, ad esempio meritevole di tutela . Consequenziale è, quindi, la conferma della decisione emessa in appello con buona pace del Comune, la lavoratrice ha pienamente diritto ai tre giorni di permesso retribuito previsti dalla legge numero 104

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 29 ottobre – 22 dicembre 2014, n. 27232 Presidente Macioce – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con sentenza n. 4619/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Milano respingeva la domanda proposta da E.T., diretta a far accertare il suo diritto a godere di tre giorni di permesso retribuito a partire dal 1-12-2004, con condanna del Comune di Milano al pagamento del corrispettivo per il giorni di permesso non fruito a far data dal dicembre 2004, con accessori di legge. Con la domanda la attrice aveva dedotto di essere dipendente comunale in qualità di vigile urbano, II liv. C, e di essere unica figlia di genitori anziani, residenti a Fano, di essere sua madre in condizioni di inabilità al 100% con godimento dell’indennità di accompagnamento, di essere il padre gravemente malato e non in condizioni di poter assistere la moglie, di essere quindi lei la persona che assisteva con continuità la madre e di avere quindi diritto ai benefici della legge n. 104 ed in particolare ai tre giorni di permesso mensile ex art. 33 della legge citata. Il Comune, dal canto suo, aveva dedotto il difetto del requisito della convivenza con la persona handicappata e, comunque, della assistenza continua. Il primo giudice, nel respingere la domanda, rilevava la mancanza del requisito della convivenza ed in particolare, poi, la mancanza dell’assistenza quotidiana che la ricorrente non avrebbe potuto comunque assicurare. La T. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda. Il Comune si costituiva e resisteva al gravame. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 24-1-2008, in riforma della pronuncia di primo grado accertava il diritto a fruire mensilmente di tre giorni di permesso retribuito dal 1-1-2006 e il diritto ad ottenere il corrispettivo dei giorni non goduti dalla detta data. In sintesi la Corte territoriale rilevava che, in base alla ratio normativa non era possibile interpretare restrittivamente il concetto di assistenza continua e di esclusività, non potendo altrimenti il lavoratore neanche svolgere attività lavorativa. Tanto rilevato la Corte affermava che nella specie poteva ritenersi raggiunta la condizione richiesta solo nel 2006, allorquando con l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre di fatto era rimasta solo la colf a garantire una assistenza parziale in assenza della ricorrente. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Milano ha proposto ricorso con due motivi. La T. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale per ottenere l’accoglimento integrale della domanda fin dal 1-12- 2004, rilevando che, già da tale data, il padre non era in condizione di prestare assistenza alla moglie. Il Comune di Milano, dal canto suo, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte e, da ultimo, ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi proposti avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c Con il primo motivo del ricorso principale il Comune di Milano, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e contraddittoria motivazione in relazione all’asserito raggiungimento della condizione di esclusività e continuatività dell’assistenza solo nel 2006”, rileva che, contraddittoriamente, la sentenza d’appello ha riformato la decisione di primo grado del 2 27/12/2005 sulla base di circostanze successive a quest’ultima, laddove avrebbe dovuto semplicemente confermare il rigetto della domanda, così come proposta, mentre la T. casomai, avrebbe potuto presentare una nuova domanda, basata, appunto sulla nuova situazione”, e quindi su una diversa causa petendi e su un diverso petitum. Il motivo è infondato, in quanto, nella specie, il requisito della continuità” ed esclusività” dell’assistenza all’epoca necessario, v. Cass. 22 4-2010 n. 9557, nella disciplina successiva alla legge n. 53 del 2000 - che ha eliminato il requisito della convivenza ed anteriore alla legge n. 183 del 2010 - che ha poi abolito anche la continuità ed esclusività dell’assistenza costituiva condizione della azione, che andava comunque accertata dalla Corte di merito con riferimento al momento della decisione, essendo sufficiente che essa sussistesse in tale momento, ben potendo essere sopraggiunta nel corso del processo. Del resto non vi è stata alcuna modifica del petitum e della causa petendi, né vi stata alcuna ultrapetizione, e neppure la Corte d’Appello è incorsa in alcuna contraddittorietà, essendosi semplicemente limitata ad accertare che !a detta condizione si era verificata nel corso del giudizio. Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 e dell’art. 20 della legge n. 53 del 2000 nonché vizio di motivazione, in sostanza lamenta che già la notevole distanza geografica tra Milano e il Comune di Marotta di Fano in provincia di Pesaro, luogo di domicilio della madre, doveva indurre a negare, nella fattispecie, la sussistenza della continuità dell’assistenza, mentre la esclusività era smentita dalla circostanza della presenza quotidiana, nella abitazione della madre, di una colf oltreché, per lo meno fino a tutto il 2005, anche dell’aiuto costante da parte del padre, di guisa che la presenza della T. a Marotta di Fano si limitava in sostanza ai soli fine-settimana. Anche tale motivo non merita accoglimento. Innanzitutto è indubbio che la verifica della continuità ed esclusività dell’assistenza costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e come tale insindacabile in questa sede di legittimità, se conforme a diritto e congruamente motivato. In diritto, come è stato chiarito da questa Corte v. Cass. 20-7-2004 n. 13481 , deve ritenersi che la presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non escluda di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore cfr. analogamente per i permessi, previsti nello tesso art. 33 cit., dei genitori di portatori di handicap Cass. 16-5-2003 n. 7701, Cass. 27-9-2012 n. 16460 . Ugualmente, poi, deve interpretarsi in senso elastico e rispondente alla ratio della norma anche il requisito della continuità, essendo evidente che, in ragione del lavoro espletato dal lavoratore ed in funzione della assistenza al parente, ben può esservi una continuità non giornaliera ad esempio settimanale meritevole di tutela. Orbene, nella specie la Corte territoriale si è adeguata a tale criterio elastico e, legittimamente e con congrua motivazione, ha ritenuto sussistenti i requisiti della continuità e della esclusività dal 1-1-2006, per cui la decisione resiste alla censura del ricorrente principale. Parimenti, poi, non può essere accolto il ricorso incidentale, con il quale la T. lamenta vizio di motivazione in relazione alla decorrenza del diritto azionato, in particolare lamentando la contraddittoria valutazione del documento certificato medico del 25-2-2005 prodotto a corredo del ricorso introduttivo e della risultanza della prova orale assunta dalla Corte di merito con l escussione del teste dott. Attili estensore del richiamato documento”. Tale censura risulta, infatti, priva di autosufficienza, non essendo, dalla detta ricorrente incidentale, riportato interamente il contenuto né del citato certificato né del verbale della deposizione del teste Attili. Come è stato più volte affermato da questa Corte, qualora, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata o insufficientemente valutata , che il ricorrente precisi - mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso - la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa.” v. Cass. 27-2-2009 n. 4849, Cass. 4-3-2014 n. 4980 . Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti ed, infine, in ragione della soccombenza reciproca le spese vanno compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese. Roma 29 ottobre 2014