Addebito contestato con telegramma: fatti descritti in modo specifico … licenziamento legittimo

In tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati. Ne consegue che anche la contestazione inviata a mezzo telegramma deve ritenersi idonea allo scopo, qualora i fatti contestati siano descritti con sufficiente precisione.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione, sez. Lavoro con la sentenza n. 26744, depositata il 18 dicembre 2014. Il caso impugnazione di licenziamento disciplinare per asserita violazione dell’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito. Un lavoratore veniva licenziato per giusta causa, in quanto sorpreso a copiare e sottrarre disegni di modelli di calzature prodotte dal proprio datore di lavoro. Impugnato il licenziamento, il Tribunale del lavoro adito rigettava la domanda, dichiarando legittima la sanzione espulsiva. Analogamente la Corte d’Appello si pronunciava, rigettando il gravame proposto dal lavoratore. Questi ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza d’appello. La contestazione d’addebito e il diritto di difesa del lavoratore. Un primo motivo di censura proposto dal lavoratore ricorrente riguarda l’asserita violazione dell’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito, previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori. Lamenta il ricorrente che l’azienda avrebbe inviato unicamente un telegramma riportante le violazioni contestate e dunque doveva ritenersi violato il disposto del predetto art. 7 per essere stata adottata una sanzione disciplinare senza la preventiva contestazione d’addebito. La Suprema Corte ritiene infondato il motivo proposto. Correttamente i giudici di merito avevano ritenuto osservato il disposto in punto contestazione degli addebiti, conformemente alla giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, che ritiene integrato il requisito della specificità della contestazione quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare nella sua materialità il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comportamenti contrari ai doveri a carico del lavoratore. Così da consentire al lavoratore un’adeguata difesa verso gli addebiti contestati. Tutto ciò senza che si debbano richiedere schemi rigidi di forma dell’atto di contestazione. Nello specifico i giudici di merito hanno compiuto una corretta valutazione del documento, telegramma, inviato per contestare le violazioni, applicando i principi giurisprudenziali in materia. La tempestività del provvedimento adottato. Altro motivo di censura riguarda l’allegata tardività del provvedimento di licenziamento adottato, in violazione al termine massimo previsto dal CCNL applicato. Afferma in proposito la Suprema Corte che ove sia stata denunciata la violazione di norme di contratti collettivi, essa può procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto invocato. In materia di intervallo temporale tra contestazione dei fatti e intimazione del licenziamento, è stato più volte affermato che un eccessivo lasso di tempo tra i due atti assume rilievo solo qualora possa desumersi un venir meno di interesse per il datore di lavoro ad esercitare il diritto di recesso. Ove al contrario, pur in presenza di un differimento dell’adozione del provvedimento espulsivo, siano stati adottati altri provvedimenti, quali la sospensione cautelare dal servizio, come nel caso specifico in esame, non può desumersi tale carenza di interesse. Anzi, la sospensione cautelare adottata non fa che confermare il permanere della volontà datoriale di procedere con il licenziamento, una volta accertati con precisione e ponderati i fatti contestati. Anche con riguardo al secondo motivo di censura, i giudici di merito hanno correttamente e logicamente motivato la decisione adottata. Nel suo complesso dunque il ricorso proposto è stato ritenuto infondato e rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 novembre – 18 dicembre 2014, n. 26744 Presidente/Relatore Stile Svolgimento del processo Con sentenza del 22 dicembre 2011 la Corte d'appello di Bari confermava la pronuncia di primo grado, che aveva rigettato la domanda, proposta da P.M. nei confronti della Over Teak s.r.l., diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento, intimatogli da detta società in data 27 gennaio 2005, con ogni conseguenza sul piano reintegratorio e risarcitorio. La Corte, infatti, dopo avere preliminarmente chiarito che l'appellante P. , dal 10 marzo 2001 dipendente dell'Over Teak con le mansioni di modellista, inquadrato al 6^ livello del CCNL di settore, era stato prima sospeso in data 30 dicembre 2004 per motivi disciplinari e poi, in data 27 gennaio 2005, licenziato per avere tenuto una condotta consistita nel tentativo di sottrarre o ricopiare forma, modelli e disegni , ha ritenuto pienamente provato l'addebito e legittimo il licenziamento inflittogli per giusta causa. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre P.M. con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c Resiste la Over Teak s.r.l. con controricorso. Motivi della decisione Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 7 legge. 20.5.1970, n. 300 e dell'art. 69, comma 2, C.C.N.L. applicabile ai dipendenti dell'industria calzaturiera, anche in relazione all'art. 12 disp. prel. c.c. art. 360 n. 3, c.p.c. , nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 c.p.c. , sostiene che il licenziamento intimatogli sarebbe illegittimo perché non preceduto dalla specifica, preventiva contestazione dell'addebito, in violazione dell'art. 7 l. 20.5.1970, n. 300 e dell'art. 69 C.C.N.L. applicabile ai dipendenti dell'industria calzaturiera ed, in considerazione di tale dedotta carenza, sostiene che la sentenza impugnata sarebbe priva di sufficiente motivazione. Il motivo è infondato, avendo la Corte territoriale, sulla base della acquisita documentazione ed adeguatamente motivando, ritenuto correttamente osservata la procedura ex art. 7 L. n. 300/70, con riferimento, in primis, al tasso di specificità di quanto contestato al lavoratore . Più in dettaglio, ha osservato la Corte che la preventiva e specifica contestazione dell'addebito, ex art. 7, comma 2, l. 20.5.1970, n. 300, risultava contenuta nel telegramma inviato al lavoratore alle ore 11,25 della mattinata del 30.12.2004, con il quale gli veniva contestata la grave infrazione . commessa ossia il tentativo di trafugamento di modelli di scarpe in fase di progettazione , tentativo posto in essere qualche ora prima della medesima mattinata. Ha poi soggiunto che il licenziamento veniva intimato con la nota del 27.1.2005, spedita mediante la raccomandata del 28.1.2005, certamente oltre i cinque giorni, di cui all'art. 7, comma 5, L. 20.5.1970, n. 300, e comunque dopo che il lavoratore ricorrente aveva inoltrato le proprie controdeduzioni, con cui aveva negato le accuse addebitategli. Il Giudice a quo ha tenuto anche a puntualizzare che, a causa dello stato di malattia, in cui versava il P. , nel periodo compreso tra il 25.1.2005 ed il 26.2.2005, come da certificazione medica recapitata il 29.1.2005 alla società, quest'ultima provvedeva a comunicare al primo la sospensione dell'efficacia del licenziamento, che, cessato lo stato di malattia, veniva confermato mediante il telegramma del 28.2.2005. Da quanto esposto emerge l'inconsistenza delle doglianze mosse dal ricorrente in ordine alla genericità della contestazione, risultando i fatti imputati al lavoratore sufficientemente descritti nella documentazione inviatagli, così come correttamente ritenuto nella impugnata decisione. Va in proposito rammentato che, per giurisprudenza consolidata, la previa contestazione dell'addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ L'accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un'indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito ex plurimis, Cass. n. 7546/2006 verifica che, nella specie, va risolta, per quanto esposto, nel senso favorevole alla determinazione della Corte. Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 69, 70 e 71 del CCNL, applicabile ai dipendenti dell'industria calzaturiera, anche in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., deduce che, avendo provveduto a formalizzare le proprie controdeduzioni mediante la nota raccomandata a.r. del 3.1.2005, recapitata alla società il 7.1.2005, in riferimento all'addebito contestatogli con il telegramma del 30.12.2004, la società datrice di lavoro avrebbe dovuto intimare il licenziamento entro e non oltre i sei giorni successivi alla ricezione delle menzionate controdeduzioni, ovvero entro il 13.1.2005, per non incorrere, ai sensi del richiamato art. 69 del CCNL, nella illegittimità ed irritualità del licenziamento medesimo, poi intimato in forza della nota raccomandata del 28.2.2005. La censura alla fornita interpretazione della Corte di merito, ancorché corretta in ordine al non condivisibile iter argomentativo adottato dalla stessa, non ha carattere dirimente nel senso auspicato dal ricorrente. La normativa contrattuale collettiva calzaturiera, rilevante nella fattispecie oggetto di giudizio e di cui è stata fatta applicazione, è la seguente Art. 69 Procedura per i provvedimenti disciplinari . 1 Gli obblighi contrattuali e le norme disciplinari previste dal presente contratto o da eventuale regolamento interno, devono essere portati a conoscenza dei lavoratori mediante affissione dei testi in luogo accessibile e/o mediante la distribuzione di copia del contratto stesso, come previsto dall'art. 3, Parte generale. 2 Per i provvedimenti disciplinari più gravi de/richiamo o rimprovero verbale, deve essere effettuata la contestazione scritta al lavoratore con l'indicazione specifica dei fatti costitutivi dell'infrazione. 3 Il provvedimento non potrà essere emanato, se non trascorsi 5 giorni dalla documentata notificazione della contestazione nel corso dei quali il lavoratore potrà presentare le sue controdeduzioni. 4 Se il provvedimento non verrà emanato entro 6 giorni successivi alla presentazione delle controdeduzioni, le stesse si riterranno accolte. 5 La comminazione del provvedimento dovrà essere motivata e comunicata per iscritto. Il lavoratore potrà presentare le proprie controdeduzioni anche verbalmente, con l'eventuale assistenza di un membro della Commissione interna o di un Rappresentante sindacale unitario. 6 I provvedimenti disciplinari diversi dal licenziamento potranno essere impugnati dal lavoratore in sede sindacale, secondo le norme contrattuali relative alle vertenze. 7 Non si terrà conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 24 mesi dalla loro applicazione. 8 In caso di mancanza del lavoratore, che comporti il licenziamento per giusta causa, l'azienda potrà disporre la sospensione cautelare non disciplinare del lavoratore per il tempo intercorrente tra la contestazione degli addebiti e la comunicazione della decisione aziendale . Orbene, la Corte d'appello di Bari ha ritenuto che il richiamato art. 69 il cui comma 4, contempla l'avvenuto accoglimento delle controdeduzioni del lavoratore, ove il provvedimento sanzionatorio non venga emanato entro i sei giorni successivi alla loro presentazione sia applicabile solo ed esclusivamente in riferimento alle sanzioni conservative e non anche a quelle che comportino la risoluzione del rapporto di lavoro, posto che il successivo art. 71, al primo comma, prevede, a sua volta, che per i licenziamenti individuali ha applicazione la legge 15 luglio 1966, n. 604 e successiva modifica integrata da quanto previsto dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori Legge 20.5.1970, n. 300 e l'art. 2119 del codice civile . In tal senso militerebbero sempre a parere del Giudice d'appello i canoni dell'ermeneutica ed, in primo luogo, quello della interpretazione letterale, considerato che, mentre il titolo del più volte citato art. 69 risulta essere testualmente Procedura per i provvedimenti disciplinari , il successivo art. 70, intitolato Provvedimenti disciplinari , regolamenta le sole sanzioni disciplinari conservative, senza disciplinare il licenziamento questo risulta, invece,regolamentato dal successivo art. 71, che, ai fini dell'irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva, risolutiva del rapporto lavorativo, rimanda espressamente all'osservanza della procedura prevista dalla L. 15.7.1966, n. 604, così come successivamente modificata ed integrata, senza richiamare affatto la disposizione dell'art. 69. Tale ricostruzione non può essere condivisa, poiché non tiene conto che l'art. 69 detta la procedura di irrogazione per l'insieme delle sanzioni disciplinari, senza fornire elementi che autorizzino a ritenere che le parti contraenti abbiano inteso escludere il licenziamento, che ontologicamente rientra nel novero dei provvedimenti disciplinari anzi, al contrario, facendo, per due volte, espresso riferimento al licenziamento, mostra di includere l'istituto nella sua disciplina. Il fatto che l'art. 71 del contratto collettivo rinvii, in quanto applicabile ai licenziamenti, alla legge 15 luglio 1966 n. 604, all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e all art. 2119 cod. civ., ma non all'art. 69 del CCNL non può essere interpretato nel senso che tale clausola contrattuale non sarebbe applicabile al licenziamento se così fosse, non dovrebbe applicarsi neanche l'art. 7 della legge n. 300 cui non è fatto cenno alcuno. Deve, dunque, ritenersi che l'art. 71 ha ad oggetto unicamente gli aspetti sostanziali onde ogni riferimento normativo concerne la configurabilità del licenziamento mentre ogni aspetto procedurale si trova unicamente nell'art. 69, che costituisce la norma di chiusura dell'esercizio del potere disciplinare. Tanto chiarito, va rammentato che il giudice di legittimità, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi ai sensi dell'art. 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., come modificato dall'art. 27 della legge n. 40 del 2006, può procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la cui natura negoziale impone che l'indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 c.c. e seguenti ex plurimis, Cass., n. 1582/2008 . In virtù di questa acquisita prerogativa, osserva la Corte che la disciplina prevista dal menzionato art. 69, contempla in una evidente prospettiva secondo cui la brevità del termine mal si concilia con la rilevante entità o gravità dei fatti che giustificano le sanzioni espulsive, la cui applicazione deve essere preceduta in linea di massima, da indagini adeguate e correlate valutazioni v. Cass. n. 10409/1997 l'istituto della sospensione cautelare, volto, appunto, a temperare esigenze di celerità con quelle di consentire una adeguata conoscenza dei fatti a cui ricollegare una ponderata valutazione degli stessi. Va, in proposito, ribadito, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che l'intervallo temporale, fra l'intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore, assume rilievo in quanto rilevatore di una mancanza di interesse del datore di lavoro all'esercizio della facoltà di recesso con la conseguenza che, nonostante il differimento di questo, la ritenuta incompatibilità degli addebiti con la prosecuzione del rapporto, può essere desunta da misure cautelari come la sospensione adottate in detto intervallo dal datore di lavoro, giacché tali misure specialmente se l'adozione di esse sia prevista dalla disciplina collettiva del rapporto dimostrano la permanente volontà datoriale di irrogare eventualmente la sanzione del licenziamento, con la precisazione che il requisito della immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al Giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo così, tra le molte, Cass. n. 2580/2009 . Considerati, nel caso di specie, gli intervalli di tempo intercorsi tra il compimento del fatto addebitato, la sospensione cautelare del 30 dicembre 2004, la contestazione dell'addebito e la irrogazione del licenziamento così come accertati dal Giudice di merito è del tutto corretta, e pienamente conforme al principio giurisprudenziale ora riportato, la valutazione operata dalla Corte d'appello nell'impugnata sentenza. Venendo, sotto tale profilo, a perdere di consistenza le censure mosse alla sentenza impugnata, il ricorso va rigettato Le questioni interpretative, venutesi a prospettare nel presente giudizio e sopra illustrate, giustificano la compensazione della spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.