Computer portatile aziendale installato a casa: illegittimo il licenziamento del dipendente

Confermata, nei minimi dettagli, la condotta del lavoratore, il quale ha preso il computer di proprietà dell’azienda e lo ha piazzato nella propria abitazione. Tale azione, però, non viene valutata di gravità tale da rendere condivisibile la scelta tranchant dell’azienda, che ha optato per il licenziamento.

Computer portatile acquistato dall’azienda, su richiesta del dipendente, e portato a casa da quest’ultimo, in maniera illegittima. Evidente la violazione compiuta dal lavoratore, anche alla luce del contratto, ma è eccessivo parlare di furto, più logico parlare di sciocchezza. Per questo, viene ritenuto esagerato, e quindi illegittimo, il licenziamento deciso dall’azienda Cassazione, ordinanza n. 26323, sez. VI Civile - L, depositata oggi . Bene aziendale. Oltre vent’anni di lavoro cancellati con un colpo di spugna il dipendente, responsabile della manutenzione degli impianti generali , viene messo alla porta perché colpevole di aver portato a casa un computer portatile di proprietà dell’azienda. Ulteriori dettagli permettono di inquadrare meglio la vicenda l’uomo è incolpato di avere irregolarmente registrato come ‘impianto fisso’ un computer portatile acquistato dall’azienda su sua richiesta, e di averlo conservato nella sua abitazione , contravvenendo, spiegano i rappresentanti dell’azienda, alla regola per cui era vietato, senza autorizzazione, portare fuori dall’ambiente di lavoro i beni aziendali . Quadro chiarissimo, che, come detto, spinge l’azienda a licenziare il lavoratore. Ma questa decisione viene ritenuta esagerata dai giudici di merito, i quali ordinano la reintegrazione del dipendente, spiegando che pur essendo il comportamento disciplinarmente rilevante, tuttavia la sanzione espulsiva non era proporzionata alla condotta . Licenziamento rientrato. Logica, e scontata, la replica dell’azienda, che sceglie la strada del ricorso in Cassazione, ribadendo, come fatto nei primi due gradi, la tesi della legittimità del licenziamento alla luce della gravità del comportamento del lavoratore. Ma tale visione, per quanto corretta a livello teorico, viene ritenuta non accettabile. Per i giudici, pur essendo evidente il trafugamento di un bene aziendale – condotta punita, da contratto, col licenziamento –, è condivisibile la visione adottata in Tribunale e in Corte d’Appello, laddove è stata evidenziata la scarsa gravità della condotta e l’ assenza di intento doloso . Bisogna tener presente, poi, aggiungono i giudici, che il licenziamento in tronco è concepito come extrema ratio ebbene, in questa vicenda, manca l’ impossibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro, anche perché nell’azione del lavoratore non è ravvisabile la fattispecie penale del furto . Elemento centrale e decisivo, quindi, è la constatazione della non evidente gravità della condotta del lavoratore ciò significa che il comportamento tenuto dal dipendente non poteva essere sanzionato dall’azienda col licenziamento .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 7 ottobre – 15 dicembre 2014, n. 26323 Presidente/Relatore Mammone Ritenuto in fatto e diritto 1. - D.E. fu licenziato in data 4.09.07 da Sevel s.p.a., alle dipendenze della quale dal 1981 aveva svolto funzioni di responsabile della manutenzione degli impianti generali, in quanto incolpato di aver irregolarmente registrato come impianto fisso un computer portatile acquistato dall'azienda su sua richiesta e di averlo conservato nella sua abitazione, contravvenendo alla regola per cui era vietato, senza autorizzazione, portare fuori dall'ambiente di lavoro i beni aziendali. 2. - Impugnato dal dipendente il licenziamento, il Tribunale del lavoro di Lanciano accoglieva la domanda ed ordinava la reintegrazione con obbligo di ricostruzione della posizione retributiva e previdenziale, rigettando la domanda di ulteriore risarcimento per danno biologico ed esistenziale. Proposto appello da Sevel s.p.a., la Corte d'Appello di L'Aquila con sentenza del 31.07.10 rigettava l'impugnazione, rilevando che, pur essendo il comportamento disciplinarmente rilevante, tuttavia la sanzione espulsiva non era proporzionata alla condotta ascritta, anche se inquadrata sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo. 3. - Proponeva ricorso per Cassazione Sevel s.p.a. deducendo 5 mezzi di impugnazione. I motivi 1 e 3 , pressoché identici, concernono l'omessa od insufficiente motivazione circa la censurabilità del comportamento del D I motivi 2 e 4 afferiscono alla violazione o falsa applicazione, per il primo, degli artt. 115 e 116 c.p.comma a causa dell'errata valutazione delle risultanze istruttorie, per il secondo, dell'art. 2119 c.comma e 25 CCNL Metalmeccanici. L'ultimo motivo censura l'omessa motivazione circa la mancata conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo. D. si difendeva controricorso ex art. 370 c.p.comma 4. - Il consigliere relatore ai sensi dell'art. 380 bis c.p.comma ha depositato relazione che è stata comunicata ai difensori delle parti assieme all'avviso di convocazione dell'adunanza della camera di consiglio. Sevel s.p.a. ha depositato memoria. 5. - Il licenziamento fu irrogato in forza dell'art. 25, lett. B , discomma Gen., sez. terza del ccnl metalmeccanici, che punisce con il licenziamento senza preavviso il furto nell'azienda e il trafugamento . di utensili o di altri oggetti facenti parte dei beni aziendali. La sentenza impugnata, pur ritenendo effettivamente attuato il comportamento ascritto aver portato senza autorizzazione fuori dell'azienda il computer” , sulla base dell'espletata istruttoria ha ritenuto la condotta di scarsa gravità e ha ravvisato l'assenza di intento doloso. Essendo tale accertamento compiuto in congrui termini argomentativi, con conseguente incensurabilità in sede di legittimità, i motivi primo e terzo sono da considerare inammissibili. 6. - Per la giurisprudenza di legittimità il giudice non deve applicare automaticamente la sanzione del licenziamento prevista dal contratto collettivo per una determinata infrazione, ma deve procedere ad una valutazione dell'adeguatezza della sanzione nel caso specifico Cass. 21.05.09, n. 11846 e altre conformi . Il licenziamento in tronco è, infatti, concepito come extrema ratio, laddove risulti l'insufficienza di qualsiasi altra sanzione a tutelare l'interesse dell'azienda e l'impossibilità della prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto . La censura relativa all'art. 25 CCNL appare pertanto infondata, da un lato perché nel caso di specie non è ravvisabile la fattispecie penale del furto, dall'altro in quanto la previsione di giusta causa di licenziamento nel contratto collettivo non vincola il giudice, laddove questi dovrà sempre verificare la rispondenza di quell'ipotesi al canone generale di cui all'art. 2119 c.comma Cass. 16 marzo 2004, n. 5732 . Sono pertanto infondati anche i motivi secondo e quarto. 6. - Il rigetto dei primi quattro motivi comporta la reiezione anche del quinto, atteso che il requisito del grave inadempimento è richiesto sia per il licenziamento per giusta causa che per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, distinguendosi le due fattispecie legali solo per la possibilità o meno che il rapporto di lavoro prosegua durante il periodo del preavviso. Avendone escluso la gravità ai fini della giusta causa, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto che il comportamento del D. non potesse essere sanzionato neanche a titolo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo. 7. - La memoria depositata ai sensi dell'art. 380 bis, comma 2, c.p.comma dalla società ricorrente non contiene alcun nuovo elemento di valutazione e si limita a considerazioni che attengono il merito della vicenda. 8. - In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna al ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100 cento per esborsi ed in € 3.000 tremila per compensi, oltre Iva, Cpa e spese forfettarie nella misura del 15%.