Le società a capitale misto hanno l’obbligo di pagare i contributi previdenziali?

In tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità. Non trova applicazione, infatti, l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato. Resta, dunque, irrilevante la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico.

Questo l’orientamento giurisprudenziale ripreso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 25952, depositata il 10 dicembre 2014. Il fatto. Una società proponeva opposizione contro una cartella esattoriale con la quale era chiesto il pagamento in favore dell’Inps di somme a titolo di contributi previdenziali. Il Tribunale accoglieva l’opposizione annullando la cartella opposta. La Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, respingeva l’opposizione alla cartella esattoriale confermando l’obbligo contributivo. La società ha proposto ricorso in Cassazione. Ha dedotto vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche di essa società, che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della dominanza dell’ente pubblico, dell’assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si presentava ad essere inquadrata, come invece avvenuto, nell’ambito della normale società per azioni di diritto comune. Censurando, quindi, la decisione per avere escluso che nei confronti della ricorrente stessa potesse trovare applicazione l’esonero dalla contribuzione. Contribuzione previdenziale società a capitale misto. Interviene il Collegio riprendendo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. È stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Col richiamo a tale giurisprudenza la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione all’Inps delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, sentenza 8 ottobre – 10 dicembre 2014, numero 25952 Presidente Curzio – Relatore Garri Fatto e diritto La IREN s p.a. già IRIDE s.p.a. proponeva opposizione avverso cartella esattoriale con la quale era chiesto il pagamento in favore dell'INPS di somme a titolo di contributi per CIGO, CIGS, mobilità disoccupazione involontaria oltre, sanzioni ed interessi. Il Tribunale accoglieva la opposizione annullando la cartella opposta. La Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, respingeva l'opposizione alla cartella esattoriale confermando l'obbligo contributivo. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso IREN s.p.a. già IRIDE s.p.a sulla base di tre motivi. L'INPS, anche quale procuratore speciale di S.C.C.I. s.p.a., ha depositato tempestivo controricorso. Equitalia Nomos s.p.a. è rimasta intimata. Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo plurime violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO. Ricostruita la evoluzione normativa in tema di modalità di gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al disposto dell'art. 35 l. numero 448 del 2001 detti enti, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, ha sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa ricorrente dovesse essere annoverata nell'ambito delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate , esonerate, in base al disposto dell'art. 3 decreto CPS numero 869 del 1947, all'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni degli operai dell'industria. Ha quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche di essa società, che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale pubblico, della assoluta dominanza dell'ente pubblico, dell'assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo della Corte dei Conti, non si prestava ad essere inquadrata, come invece avvenuto nella decisione impugnata, nell'ambito della normale società per azioni di diritto comune. Con il terzo motivo rectius secondo , deducendo violazione di plurime norme di diritto nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere escluso che nei confronti di essa ricorrente potesse trovare applicazione l'esonero della contribuzione ottenuto, con D.M. numero 25338 del 1998 che aveva riconosciuto la sussistenza della stabilità di impiego, da AEM - l'azienda municipalizzata dalla quale esse erano derivate. Dunque, sia ex art. 2112 c.c., sia per applicazione del CCNL Elettrici/Federelettrica, avendo il personale mantenuto il medesimo trattamento da CCNL, e il medesimo trattamento INPDAP, sussisteva la stabilità dell'impiego per l'esenzione contributiva. Infine deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 116, commi 8 e 15 l. numero 388 del 2000, ha censurato la decisione perché atteso il contrasto interpretativo le sanzioni aggiuntive avrebbero dovuto essere applicate nella, misura ridotta prevista per tale ipotesi dal comma 15 art. 116 cit Il ricorso è infondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte v., tra le altre, Cass. numero 14847/2009, numero 5816/2010, numero 19087, numero 20818, numero 20819, numero 22318, numero 27513/2013, numero 14089 e numero 13721/2014 in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l'esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all'erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l'amminis trazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione - pur maggioritaria, ma non totalitaria - da parte dell'ente pubblico. È stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l'ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall'ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell'obiettivo pubblico è caratterizzato dall'accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all'obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico Cass. numero 20818/12013, Cass. 27513/2013 . Le argomentazioni dell'odierna ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità. In merito poi al riconoscimento amministrativo della stabilità di impiego si rileva che nel caso di specie le ricorrenti non deducono di avere inoltrato la domanda, né tanto meno, che sia stata riconosciuta nei loro confronti la stabilità d'impiego dei dipendenti. Sostengono invece, di essere subentrate , in quanto società derivate, nell'esonero contributivo a suo tempo accordato all'azienda municipalizzata AEM. L'assunto non può essere condiviso, sia perché l'azienda municipalizzata AEM, oggi non più esistente, era un soggetto giuridico diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e, a fortiori , dalle altre società che da quest'ultima sono state scorporate sia perché, essendo stata la valutazione della sussistenza della stabilità d'impiego per i dipendenti dell'azienda municipalizzata AEM necessariamente resa in relazione alle disposizioni vigenti all'epoca il riconoscimento invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che, secondo l'assunto della parte ricorrente, regolano il rapporto d'impiego dei dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni cfr. altresì, sul punto, ex plurimis, Cass. numero 13721/2014, numero 28022/1 2013, numero 24524/2013 Non avendo, anche in questo caso, parte ricorrente offerto argomenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di legittimità nelle pronunce sopra richiamate la decisione di appello deve essere integralmente confermata. Anche l'ultima censura è da respingere. Si premette che parte ricorrente nel censurare la decisione di appello in ordine alla mancata applicazione delle sanzioni in misura ridotta si è limitata a dedurre che il contrasto di orientamenti giustificava tale riduzione, ai sensi dell'art. 116 comma 15 l. numero 388 del 2000, senza allegare di avere provveduto all'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Formulato in questi termini il motivo si rivela inidoneo a validamente censurare la statuizione del giudice di appello atteso che, secondo quanto già affermato da questa Corte Cass. numero 27513/2013 il citato comma 15, pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, in caso di ritardato o omesso pagamento dei contributi derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza , l'l'integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali . Consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 20.000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettizzate al 15%, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.