Il datore licenzia per questioni di riorganizzazione, il giudice valuta la reale sussistenza del motivo

Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per l’economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. Quando però il datore di lavoro non provi la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del provvedimento di recesso, il licenziamento è illegittimo.

E’ stato così deciso nell’ordinanza n. 25874, della Corte di Cassazione, depositata il 9 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore, condannando la società datrice di lavoro a riassumere il dipendente o, in alternativa, a corrispondergli un risarcimento del danno pari a 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre la rivalutazione monetaria ed interessi legali. In particolare, la Corte di merito non aveva ritenuto provato il giustificato motivo oggettivo, costituito, secondo la società, da insostenibili diseconomie interne e da un decremento degli affari con conseguenti perdite di esercizio . La società ricorreva per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 604/1966 Norme sui licenziamenti individuali , per aver la Corte di merito valutato l’opportunità di scelte imprenditoriali e l’organizzazione aziendale attuata successivamente al licenziamento, oltrepassando così il limite del sindacato riconosciuto dalla legge al giudice. Erroneamente i Giudici territoriali avevano ritenuto che non fosse stata attuata alcuna riorganizzazione tale da giustificare il recesso, benché la società avesse dimostrato la correttezza del proprio operato documentando la progressiva riduzione del fatturato negli anni successivi al licenziamento. La valutazione del motivo oggettivo di licenziamento spetta al datore, il controllo della reale sussistenza, invece, spetta al giudice. La Cassazione, nel decidere la questione in esame, ricorda che, per consolidato orientamento giurisprudenziale in sede di legittimità, il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato Cass., n. 24235/2010 . Nel caso di specie, la Corte di merito aveva ritenuto, con motivazione esauriente e coerente, che la società non avesse provato la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del licenziamento, rimanendo quindi, nell’ambito del sindacato riconosciuto al giudice. Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 22 ottobre – 9 dicembre 2014, n. 25874 Presidente Curzio – Relatore Fernandes Fatto e diritto La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 22 ottobre 2014, ai sensi dell'art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis c.p.c. Con sentenza del 2 agosto 2012 la Corte di appello di Potenza, in riforma della decisione del Tribunale in sede, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato a D.G. dalla Tolla TMT s.r.l. in data 7 agosto 2004 condannando detta società a riassumere il dipendente o, in alternativa, a corrispondergli un risarcimento del danno pari a tre mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. La Corte territoriale, per quello che ancora rileva in questa sede, premetteva che il licenziamento era stato intimato per giustificato motivo oggettivo costituito da non più sostenibili diseconomie interne, in particolare, da un decremento degli affari con conseguenti perdite di esercizio negli anni 2006, 2007 e 2008. Rilevava che la società non aveva fornito adeguata prova del motivo posto a fondamento del provvedimento di recesso in quanto nel gennaio 2004 l'assunzione di altro dipendente con contratto di lavoro a tempo determinato, poi convertito a tempo indeterminato nel giugno dello stesso anno, rendeva logicamente insostenibile la prospettata riduzione del fatturato e la necessità di procedere ad un licenziamento la prospettata riduzione di fatturato per l'anno 2004 — documentata solo con riferimento agli anni 2006 , 2007 e 2008 - era smentita dalla menzionata assunzione di altro lavoratore nelle medesime mansioni del D. ma anche dal fatto che non era emerso dalla istruttoria espletata alcun riassetto organizzativo aziendale. Per la Cassazione di tale decisione propone ricorso la Tolla TMT s.r.l. affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso il D. . Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604 per avere la Corte di appello valutato la opportunità di scelte imprenditoriali e la organizzazione aziendale attuata successivamente al licenziamento così oltrepassando il limite del sindacato riconosciuto dalla legge al giudice. Erroneamente, infatti, aveva ritenuto che non fosse stata attuata alcuna riorganizzazione che giustificasse il recesso laddove, invece, la ricorrente aveva dimostrato la correttezza del proprio operato documentando la progressiva riduzione del fatturato negli anni successivi al licenziamento, non smentita dal ricorso ad assunzioni a termine. Il motivo è infondato. Vale ricordare il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato Cass. n. 24235 del 30/11/2010 Cass. n. 21282 del 02/10/2006 . Orbene, nel caso in esame, come emerge dalla lettura della impugnata sentenza, la Corte di merito ha ritenuto, con una motivazione coerente ed esaustiva, che la Tolla TMT non avesse provato la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del licenziamento rimanendo, quindi, nell'ambito del sindacato riconosciuto al giudice. In effetti, il motivo , pur denunciando nella intestazione una violazione di legge, tende ad una rivalutazione del merito della controversia inammissibile in questa sede cfr. Cass. n. 6288 del 18/03/2011 Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008 . Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., n. 5 . Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il Collegio condivide pienamente la riportata relazione e, dunque, rigetta il ricorso. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente società e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento , da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.