Lo sciopero di mansioni non è uno sciopero

Il rifiuto di eseguire una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore, non costituisce l’esercizio legittimo del diritto di sciopero e può, quindi, configurare una responsabilità contrattuale e disciplinare del dipendente.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25817, depositata il 5 dicembre 2014, conferma il suo orientamento sulla sanzionabilità del c.d. sciopero di mansioni” Cass., nn. 23672/2014 548/2011 12977/2011 . Incrociare le braccia La controversia nasce da un procedimento per condotta antisindacale ex art. 28 Statuto dei Lavoratori. Il sindacato dei portalettere ricorreva contro Poste Italiane spa, poiché queste ultime avevano sanzionato disciplinarmente alcuni portalettere che si erano rifiutati di sostituire i colleghi assenti. Il CCNL applicabile prevede che i portalettere lavorino per un massimo di 36 ore alla settimana, oltre le quali il lavoro diventa straordinario. Tuttavia, la società datrice di lavoro ha la facoltà di chiedere che i portalettere smaltiscano la corrispondenza dei colleghi assenti per un massimo di due ore al giorno. Alcuni portalettere si rifiutavano di svolgere tale sostituzione, deducendo che la stessa dovesse essere considerata lavoro straordinario e, quindi, retribuita come tale e non meno come, invece, accadeva. Poste Italiane riteneva illegittimo il rifiuto e comminava la relativa sanzione disciplinare. Il sindacato, quindi, ricorreva ex art. 28 S.L., in considerazione del divieto costituzionale di sanzionare lo sciopero, ai sensi dell’art. 40 Cost. E’ necessario, quindi, capire se il mero rifiuto di sostituire un collega assente possa essere considerato sciopero. Cosa vuol dire sciopero? Secondo il sindacato ricorrente, l’astensione collettiva dalla prestazione qualunque essa sia è da ricondurre al diritto di sciopero, laddove il contratto collettivo contenga una disposizione che obbliga il dipendente a sostituire un collega, oltre la prestazione contrattuale già determinata e remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore rispetto a quella prevista per il lavoro straordinario. In primo luogo si sottolinea come non esista una definizione legislativa di sciopero. Il concetto, infatti, è stato elaborato tenendo conto della storia e della prassi delle relazioni industriali. Di fatto, lo sciopero si risolve nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. La mancata esecuzione si deve estendere per un lasso di tempo significativo almeno una giornata lavorativa o parte di essa, sempre che non si scenda sotto la c.d. minima unità tecnico-temporale , oltre la quale l’astensione perde significato. La Corte non condivide, quindi, la nozione di sciopero avvalorata dal sindacato ricorrente, secondo cui il diritto di sciopero sarebbe configurato da ogni azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per i diritti degli utenti. Invero, secondo la Corte di Cassazione, lo sciopero non si caratterizza per il danno agli utenti! Semmai il danno può essere un effetto collaterale, ma non certo un elemento costitutivo, anche perché vi possono essere scioperi che non causano danni all’utenza. Il rifiuto di svolgere parte della prestazione non è sciopero Ebbene, la Corte di Cassazione ha ricondotto il rifiuto di sostituire i colleghi al c.d. sciopero di mansioni”, vale a dire al rifiuto di svolgere solo alcune delle mansioni affidate al lavoratore. Le ragioni di tale interpretazione sono due innanzitutto la sostituzione è un obbligo previsto dal CCNL e dal contratto individuale e non è riconducibile al lavoro straordinario, per espressa previsione degli stessi in secondo luogo, il rifiuto di sostituzione configura un’astensione parziale dall’attività lavorativa. Ne consegue che l’astensione collettiva dalla fastidiosa prestazione non attiene il legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce un vero e proprio inadempimento parziale agli obblighi contrattuali. Pertanto, il rifiuto di sostituire i colleghi assenti è legittimamente sanzionabile dal datore di lavoro, sia dal punto di vista disciplinare sia per responsabilità contrattuale del lavoratore. Non vi è, quindi, nessuna condotta antisindacale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 ottobre – 5 dicembre 2014, n. 25817 Presidente Stile – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza dell'8 ottobre 2007 la Corte d'appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale di Imperia, ha rigettato il ricorso ex articolo 28 dello statuto dei lavoratori proposto dal COBAS P.T. con il quale il sindacato denunciava il comportamento antisindacale di Poste italiane consistente in contestazioni e sanzioni disciplinari inflitte a coloro che avevano aderito all'astensione da ogni forma di prestazione accessoria, comunque denominata, prevista dall'accordo aziendale del 29/7/2004, proclamata dal sindacato. La Corte territoriale ha esposto che l'accordo sindacale del 29 luglio relativo al settore recapito considerato dalle parti strategico, stipulato tra Poste e le organizzazioni sindacali firmatarie dei C.C.N.L. tra cui non figurava il COBAS, richiedeva prestazioni aggiuntive ai lavoratori nel senso che caso di assenza di un portalettera gli altri, addetti alla medesima area territoriale, erano obbligati a sostituirlo, entro un limite mensile di 10 ore e giornaliero di due ore, percependo, a fronte della più onerosa prestazione, un incremento predeterminato di Euro 35 per coloro che partecipavano alla sostituzione. La Corte territoriale ha precisato che il compenso forfettario era percepito ogni qualvolta si presentava tale necessità a prescindere dal tempo impiegato e quindi anche a fronte di prestazioni che restavano all'interno delle 36 ore settimanali contrattualmente previste. La Corte d'appello ha poi rilevato che non risultava provato che gli agenti sanzionati qualora fossero stati disponibili a sostituire il collega assente, avrebbero superato l'orario ordinario che infatti erano state prodotte le lettere con le quali Poste aveva comunicato la necessità di sostituire i colleghi assenti in calce alle quali era stato annotato dai destinatari il rifiuto prestato a priori, in adesione all'astensione collettiva proclamata dal sindacato, a prescindere dal fatto che la sostituzione avesse comportato o meno il superamento dell'orario normale di lavoro. La Corte ha quindi affermato che mancando la prova e la stessa deduzione che ove i lavoratori fossero stati disponibili a sostituire il collega assente avrebbero superato l'orario normale di lavoro, non vi era il rifiuto di lavoro straordinario ma il rifiuto di prestare la propria attività secondo modalità ed in ottemperanza alle direttive disposte dal datore di lavoro. Secondo la Corte pertanto non era configurabile nella fattispecie il diritto di sciopero. Avverso la sentenza ricorre il Cobas formulando cinque motivi. Resiste Poste Italiane. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 40 della costituzione 28 della legge n. 300 del 1970 degli articoli 1,2, 4,12, 13, 14 della legge 146 del 1990. Censura la sentenza in quanto viola il diritto di sciopero e i principi sanciti dalla legge di regolamentazione nei servizi pubblici essenziali. Lamenta che la Corte aveva affermato che nessun sindacato era previsto in ordine alla legittimità del merito delio sciopero e delle ulteriori modalità dell'astensione da parte della commissione di garanzia di cui all'art. 13 della L. n. 146/1990. Afferma che nella specie si verteva in una ipotesi di sciopero, intesa come astensione collettiva assoggettata alla normativa cui alla legge del 1990, ritenuta legittima dalla commissione di garanzia che nessuna sanzione aveva deliberato riconoscendone esplicitamente la legittimità considerato che il potere disciplinare in tema di sciopero spettava solo alla Commissione di garanzia. Il quesito formulato dal ricorrente è il seguente in tema di sciopero nei servizi essenziali ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste italiane, attinente alla libertà di comunicazione, assoggettato alla normativa di regolamentazione, per sciopero - secondo quanto previsto dalla delibera 02/37 della commissione di garanzia - deve intendersi ogni forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per i diritti degli utenti, ciò valendo anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l'esercizio del potere disciplinare relativo all'astensione dal lavoro collettiva è di esclusiva competenza della Commissione di garanzia che eventualmente delibera - ex art. 13, lett. I L. n. 146/1990- e prescrive al datare di lavoro la sanzione, con la conseguenza che, nel caso di specie in cui non solo è disattesa la normativa della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali ma è esercitato senza previa decisione della commissione di garanzia - sussiste l'abuso del potere disciplinare da parte di Poste italiane costituente comportamento antisindacale poiché teso a impedire o limitare l'esercizio del diritto di sciopero . La nozione di sciopero proposta dal ricorrente non è condivisibile, perché non può definirsi sciopero ogni astensione sindacale che comporti una riduzione del servizio. Né, invero, lo sciopero si caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti. Questo può essere un effetto collaterale, ma non è elemento costitutivo dello sciopero molti scioperi non danneggiano gli utenti. La definizione di sciopero proposta dal sindacato ricorrente invero richiama l'espressione usata dalla Commissione di garanzia nel provvedimento 02/37 citato nei ricorso, che peraltro non si occupa delle astensioni contro l'accordo sulle aree territoriali, che del resto è del 2004, bensì in generale degli scioperi dei dipendenti delle Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni oggetto di questa controversia. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per tutti gli utenti . Ed aggiunge che si applica anche al caso di astensione dal lavoro straordinario. La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l'utenza, siano o non siano qualificabili come sciopero. Qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall'art. 40 Cost Al contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l'esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni prima esaminate. L'intervento della Commissione di garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, né, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro. Quanto alla delibera del 21/2/2006 della Commissione richiamata a pag. 6 del ricorso deve rilevarsi che detta delibera, oltre che riportata solo in parte dalla ricorrente, non affronta la valutazione dell'accordo di cui è causa ma contiene solo affermazioni di carattere generale che non valgono a sostenere la fondatezza della tesi di parte ricorrente. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 1362 e seguenti in relazione all'accordo collettivo del 29 luglio 2004 nonché all'articolo 28 del C.C.N.L. Poste. Censura l'interpretazione fatta dalla Corte dell'accordo che era pervenuta ad affermare che il tempo in più costituiva prestazione ordinaria. Rileva che nell'accordo non si parla in nessun punto né di premio né di incentivo ma esplicitamente di un importo di Euro 35 in luogo di quanto previsto dal C.C.N.L. in materia di lavoro straordinario che dunque si trattava di un astensione collettiva per un'unità di tempo, cioè al massimo due ore giornaliere, per la quale non si veniva retribuiti. In base al tenore letterale del contratto con chiarezza emergeva la volontà dei contraenti di istituire una prestazione aggiuntiva e di compensare la stessa con retribuzione in misura peraltro minore del compenso per lavoro straordinario che pertanto non vi era alcun rifiuto di svolgere parte di attività assegnata ai lavoratori i quali, invece, avevano svolto l'orario contrattuale. Il motivo è concluso con il seguente quesito di diritto Secondo l'accordo 29.7.2004 tra OO.SS. del ceni e Poste Italiane ed in relazione all'orario di lavoro dei portalettere 6 ore giornaliere e 36 ore settimanali , pur esistendo la possibilità, in via sperimentale,con disposizione aziendale di una modulazione giornaliera di mezz'ora in più e in meno , non vi è rapporto tra questa previsione e la previsione dell'obbligo aggiuntivo di sostituzione di lavoratore assente nell'ambito dell'area territoriale di riferimento con un limite mensile di 10 ore e giornaliero di 2 ore , rimanendo la prestazione del portalettere resa sempre ratione temporis secondo l'art. 28 del ccnl vigente . Il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito del diritto. Questa Corte ha più volte affermato che il quesito di diritto di cui all'art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l'indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, in modo da ribaltare la decisione impugnata Cass. 28 maggio 2009 n. 12649 Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044 Cass. Sez. Un. 30 settembre 2008 n. 24339 . Ciò vale a dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Il quesito di diritto deve inoltre essere specifico e risolutivo del punto della controversia, dovendo escludersi che la disposizione di cui all'art. 366 bis c.p.c., debba essere interpretata nel senso che il quesito e il momento di sintesi possano desumersi dalla formulazione del motivo, atteso che una siffatta interpretazione si risolverebbe nella abrogazione tacita della norma in questione Cass. 23 gennaio 2012 n. 910 Cass. Sez. Un. 5 febbraio 2008 n. 2658 Cass. Sez. Un. 26 marzo 2007 n. 7258 . L'inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell'impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie Cass. 7 aprile 2009 n. 8463 Cass. Sez. un. 30 ottobre 2008 n. 26020 Cass. Sez. un. 25 novembre 2008 n. 28054 . Nella fattispecie in esame, il quesito di diritto non risponde alla funzione cui è preposta la norma di cui all'art. 366 bis c.p.c., non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti rilevanti, il modo in cui gli stessi sono stati decisi, la diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa soluzione. Esso si palesa privo di riferibilità al caso concreto e di decisività tale da consentire di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonché di precisare i termini della contestazione. cfr nello stesso senso in fattispecie identica Cass. n. 23528/2013 . Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2697 CC anche in relazione all'articolo 1362 seguenti CC per l'interpretazione dell'accordo collettivo del 29/7/2004. Censura l'affermazione della Corte secondo cui non risultava che gli agenti sanzionati, qualora avessero sostituito il collega assente, avrebbero superato l'orario di lavoro mancando pertanto la prova che avrebbero superato l'orario normale con la conseguenza che non si verteva in materia di rifiuto di lavoro straordinario ma di rifiuto di prestare la propria attività secondo le direttive del datore di lavoro. Afferma che i lavoratori avevano indetto uno sciopero non già del lavoro straordinario o delle mansioni ma contro il citato accordo e contro quello che esso prevedeva e cioè la prestazione aggiuntiva. Nessuna prova doveva essere fornita di superamento dell'orario ordinario non rivendicandosi il pagamento di lavoro straordinario. Formula il seguente quesito Laddove un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero essendo in ogni caso onere probatorio di chi lo invoca fornire la prova dell'affermazione che detta prestazione debba o possa svolgersi nell'orario ordinario di lavoro . Con il quarto motivo denuncia vizio di motivazione con riferimento al punto precedente il sindacato non ha indetto uno sciopero del lavoro straordinario ma ha proclamato l'astensione da ogni forma di prestazione accessoria comunque denominata come prevista dall'accordo contro cui ha reagito. I motivi 3 e 4, congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono infondati. Questa Corte ha in proposito affermato, con orientamento costante, cfr. Cass. 12979/11 e Cass. 20273/11 , che in tema di astensione collettiva dal lavoro e con riferimento al caso in cui un accordo collettivo contenga una disposizione che obblighi il dipendente a sostituire, oltre la sua prestazione contrattuale già determinata, in quota parte oraria, un collega assente, remunerandolo con una quota di retribuzione inferiore alla maggiorazione per lavoro straordinario, la relativa astensione collettiva da tale prestazione non attiene al legittimo esercizio del diritto di sciopero, ma costituisce inadempimento parziale degli obblighi contrattuali, sicché non sono di per sé illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore ai dipendenti che hanno rifiutato la prestazione aggiuntiva loro richiesta Cass. 548/11 Cass. 12977/11 Cass. 12978/11 Cass. 12979/H e Cass. 20273/11 cit. . In sostanza, si è al di fuori del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. È il caso del c.d. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto illegittimo dalla giurisprudenza v. Cass. 28 marzo 1986 n. 2214 . Alle medesime conclusioni, in precedenza, era pervenuta Cass. 25 novembre 2003, n. 17995, la quale, occupandosi di una situazione analoga, concernente il sistema di sostituzioni entro l'ambito della c.d. areola antecedente dell'area territoriale nell'organizzazione delle Poste , ha affermato che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente è rifiuto di esecuzione di una parte delle mansioni, legittimamente richiedibili al lavoratore e non costituisce esercizio del diritto di sciopero , con la conseguenza che deve escludersi l’antisindacalità della scelta datoriale di applicare una sanzione disciplinare . Alla stregua dell'orientamento sopra esposto, cui questo Collegio ritiene di dare continuità, deve respingersi il motivo in esame atteso che il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell'obbligo di sostituzione previsto dal contratto collettivo, non è astensione dal lavoro straordinario, ne1 astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione assimilabile a quella del c.d. sciopero della mansioni, perché, all'interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l'omissione concerne uno specifico di tali obblighi. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre IVA, CP e 15% per spese generali.