Dipendente in stato confusionale: ubriachezza? No, psicofarmaci. Licenziamento nullo

Vittoria definitiva per il lavoratore reintegra in azienda e pagamento delle retribuzioni arretrate. Irrilevanti i precedenti negativi dell’uomo, beccato in passato in stato di ubriachezza. Decisivo, invece, il fatto che la scarsa lucidità sia stata dovuta all’uso di psicofarmaci.

Ubriaco? No, semplicemente preda degli effetti collaterali prodotti dall’uso di psicofarmaci. Così si spiega lo stato confusionale del dipendente dell’azienda pubblica di trasporti, segnalato da alcuni clienti. Di conseguenza, la decisione adottata dalla società, ossia licenziare il lavoratore, è da considerare come eccessiva, e quindi da azzerare completamente, nonostante i precedenti negativi del dipendente, già beccato, in passato, ubriaco al lavoro Cassazione, sentenza n. 25487, sez. Lavoro, depositata oggi . Stato confusionale. Solo in primo grado è stato ritenuto corretto il licenziamento deciso dall’azienda nei confronti del lavoratore per lo stato di ubriachezza manifestato mentre era in servizio . Di avviso opposto, difatti, già i giudici della Corte d’appello, i quali, innanzitutto, hanno ritenuto non sufficienti le prove testimoniali e documentali sulle precarie condizioni fisiche del dipendente. Irrilevante, a questo proposito, il richiamo al fatto che il lavoratore, in passato era stato beccato in stato di ubriachezza abituale . In più, viene aggiunto, è anche emerso che lo stato confusionale dell’uomo era collegabile all’uso di psicofarmaci , necessari per curare uno stato depressivo . Di fronte a questo quadro, per i giudici è evidente la illegittimità del licenziamento. Farmaci. E ora la visione tracciata in appello, negativa per l’azienda, viene fatta propria anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, confermano la reintegra dell’uomo nel posto di lavoro , assieme al diritto di incassare le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra . Anche in terzo grado, in sostanza, la condotta del lavoratore viene esaminata con attenzione, e catalogata non di rilevanza tale da condurre alla rottura del rapporto con l’azienda. Decisivo, in questa ottica, il fatto che la condizione di ubriachezza del lavoratore sia collegabile all’assunzione di psicofarmaci, dovuta ad uno stato depressivo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 29 ottobre – 2 dicembre 2014, n. 25487 Presidente Macioce – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 22 ottobre 2010 la Corte d'appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 2 aprile 2008, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato dalla ATM Azienda Trasporti Milanesi s.p.a. a P.G. in data 1 ° febbraio 2005 condannando la stessa ATM alla reintegra del P. nel posto di lavoro ed al pagamento in sui favore delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra detratto l'aliunde perceptum. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando l'istruttoria svolta dalla quale è emerso che lo stato di ubriachezza manifestato dal lavoratore mentre era in servizio, oggetto della contestazione disciplinare che aveva dato luogo al licenziamento in questione, non è risultato sufficientemente provato dalle prove testimoniali e documentali assunte dalle quali si evince che il lavoratore in questione era stato in passato in stato di ubriachezza abituale e che lo stato confusionale del P. riferito da alcuni testi era invece dovuto all'uso di psicofarmaci i senza integrare l'ipotesi contestata che aveva condotto al licenziamento. La A.T.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi. Resiste il P. con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta insufficiente e carente motivazione in merito allo stato di ubriachezza del P In particolare si deduce che l'utilizzo di farmaci che avrebbero dato luogo allo stato confusionale accusato dal P. non sarebbe stato provato dal lavoratore, mentre sarebbe stato ampiamente provato dai testi lo stato di ubriachezza del P. stesso. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 45, comma 1, numero 12 del Regolamento Allegato A al r.d. 8 gennaio 1931 n. 148. In particolare si deduce che detta norma prevede la destituzione di chi, durante il servizio in funzioni attinenti alla sicurezza dell'esercizio, è trovato in stato di ubriachezza, mentre la Corte territoriale ha considerato rilevante l'abitualità dello stato di ubriachezza, negandone la sussistenza nella fattispecie in questione. Con il terzo motivo si lamenta insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione allo stato di abituale ubriachezza del P In particolare si deduce che dall'istruttoria svolta sarebbe emerso che tale stato era pregresso e che, all'epoca del fatto contestato, il P. era in terapia farmacologica proprio al fine di disintossicazione. Il primo ed il terzo motivo attengono specificamente all'accertamento del fatto ed alla valutazione delle prove. La sentenza impugnata è ampiamente motivata al riguardo, facendo specifico riferimento a tutte le prove testimoniali assunte, anche a quelle che hanno riferito effettivamente sullo stato di ubriachezza in cui è stato talvolta trovato il P. in epoca precedente alla contestazione disciplinare, ma ha tuttavia valutato tale stato pregressoo non rilevante dal punto di vista disciplinare essendo stato collegato all'assunzione di psicofarmaci dovuta ad uno stato depressivo. La valutazione delle prove ed il giudizio su quanto da esse emerse non è rivisitabile in sede di legittimità ove, come nel caso in esame, risulta abbondantemente e logicamente motivata la convinzione del giudice dell'appello. Il secondo motivo, riferito alle dedotte mansioni relative alla sicurezza che comporterebbe la rilevanza disciplinare anche del mero stato di ubriachezza sul lavoro anche senza la sua abitualità, non rileva nella fattispecie in quanto tali mansioni ed il loro conseguente rilievo ai fini disciplinari, sono state considerate estranee alla contestazione che ha dato luogo al licenziamento per r qui è giudizio, e costituirebbero questione nuova non essendo stato esaminato tale aspetto nella sentenza impugnata e non costituendo comunque, come detto, oggetto di contestazione. Il ricorso va conseguentemente rigettato. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessive C 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge ed il quindici per cento per spese generali ed C 100,00 per esborsi.