Tre giorni a casa, e nessuna comunicazione all’azienda: licenziato

Fatale la prolungata assenza del dipendente, il quale ha pensato bene di non contattare il proprio datore di lavoro. A prescindere dalla normativa contrattuale, è evidente la gravità della condotta del lavoratore, e la conseguente rottura del rapporto fiduciario con l’azienda.

Come a scuola assente ingiustificato. Ma – piccolo particolare, non secondario – il contesto è aziendale, non quello di una classe, e ad aver preferito rimanere a casa – per almeno tre giorni – è il lavoratore, peraltro senza nessuna comunicazione ai vertici della ditta. Tutto ciò legittima la scelta tranchant compiuta dal datore di lavoro dipendente licenziato Cassazione, sentenza n. 25158, sez. Lavoro, depositata oggi . A casa. Chiaro il quadro tracciato dai vertici dell’azienda – operativa nel settore dell’abbigliamento di qualità – al dipendente viene addebitata una assenza ingiustificata protrattasi per oltre tre giorni , e tale condotta ha portato al licenziamento per giusta causa . Provvedimento eccessivo, quello del datore di lavoro? Assolutamente no, chiariscono i giudici di merito, i quali ritengono corretta la scelta compiuta dall’azienda. Così, per il lavoratore, ultima strada percorribile è quella della Cassazione E di fronte ai giudici di terzo grado egli pone in evidenza un fatto importante, a suo dire al momento del licenziamento non si era verificata la fattispecie indicata nella lettera di addebito , cioè un’ assenza ingiustificata superiore ai tre giorni , poiché al momento della contestazione, l’assenza, poi effettivamente protrattasi per oltre tre giorni, durava solo da tre giorni . Tale ricostruzione, però, non modifica di un millimetro la posizione del lavoratore, il quale, per giunta, non ha neanche prodotto la lettera di contestazione, quella di licenziamento né il contratto collettivo . Ma, comunque, chiariscono i giudici, legittimamente in Appello si è ritenuto che la clausola contrattuale collettiva avesse carattere esemplificativo e non tassativo . Anche perché, viene aggiunto, la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo , e, quindi, il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile , ove tale inadempimento o tale comportamento abbia fatto venir meno il rapporto fiduciario rispetto all’azienda. Ebbene, in questa vicenda, contratto a parte, emerge che il lavoratore non solo rimase assente per tre giorni, senza avvertire l’azienda, ma protrasse tale assenza ulteriormente, senza fornire alcuna giustificazione evidente la grave violazione , da parte del dipendente, dei suoi obblighi di diligenza . E proprio questo dato, concludono i giudici, rende comprensibile il licenziamento adottato dall’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 26 novembre 2014, numero 25158 Presidente Macioce – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso alla Corte d'appello di L'Aquila, W.D.B. impugnava la sentenza emessa dal Tribunale di Chieti con cui venne respinta la sua domanda diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Sixty s.p.a. il 25.7.08, per assenza ingiustificata protrattasi per oltre tre giorni. Resisteva la società. La Corte adita, con sentenza depositata il 5 dicembre 2010, rigettava l'appello compensando le spese. Per la cassazione propone ricorso il D.B., affidato a due motivi. Resiste la società con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 L.numero 300\70 degli artt. 2104-2106, nonché 2697 c.c. degli artt. 74-76 del c.c.numero l. industria tessile ed abbigliamento articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta il lavoratore che la sentenza impugnata, pur dando atto che al momento del licenziamento non si era verificata la fattispecie indicata nella lettera di addebito pag. 12 ricorso , e cioè un'assenza ingiustificata superiore a tre giorni al momento della contestazione del 14.7.08, la sua assenza, poi effettivamente protrattasi per oltre tre giorni, durava solo da tre giorni , Corte di merito ritenne erroneamente legittimo il recesso. Il motivo è sostanzialmente inammissibile, per non avere il ricorrente prodotto né la lettera di contestazione, né quella di licenziamento, ove in tesi risultano richiamati gli artt. da 74 a 76 del c.c.numero l., né il c.c.numero l. stesso, in contrasto col principio di autosufficienza e dell'articolo 369, comma 2, numero 4 c.p.c. D'altro canto, essendo pacifico cfr. Cass. numero 16190 del 2002, numero 10761 del 1997 che la contestazione dell'addebito, nel procedimento disciplinare, ai sensi dell'articolo 7, primo comma, della legge numero 300 del 1970, deve avere ad oggetto i fatti ascritti al lavoratore, cioè i dati e gli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del provvedimento sanzionatorio, così da consentire un'adeguata difesa dell'incolpato, la Corte di merito ha ritenuto che la clausola contrattuale collettiva avesse carattere esemplificativo e non tassativo, valutazione rimasta priva di adeguata censura ad opera del ricorrente, ' che il lavoratore non solo rimase assente per tre giorni senza avvertire l'azienda, ma protrasse tale assenza ulteriormente senza fornire alcuna giustificazione, concretando così una grave violazione degli obblighi di diligenza su di lui gravanti. Deve al riguardo rimarcarsi che la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo nella specie non prodotto ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra le parti per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato Cass. 18 febbraio 2011 numero 4060 . 2.- Con il secondo motivo si denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. , con riferimento all'asserita gravità dei comportamenti addebitategli, ed in particolare se le pacifiche assenze fossero effettivamente ingiustificate, come invece escluso dalle testimonianze raccolte, di cui sono riportati in ricorso alcuni stralci. Il motivo è inammissibile richiedendo a questa Corte di legittimità un riesame delle circostanze di fatto, congruamente esaminate dal giudice di merito ex plurimis e da ultimo, Cass. 26 marzo 2010 numero 7394 Cass.5 maggio 2010 numero 10833, Cass. numero 15205\14 . Ne discende che le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata cfr. ex plurimis, Cass. nnumero 10833\10 8718/2005 15693/2004 2357/2004 12467/2003 16063/2003 3163/2002 . Deve poi evidenziarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone inoltre ai fini di cui all'articolo 369, comma 2, numero 4 c.p.c. la sua esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa Cass. sez.unumero 3 novembre 2011 numero 22726 , al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza dei ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto Cass. ord. 30 luglio 2010 numero 17915 Cass. ord. 16.3.12 numero 4220 Cass. 9.4.13 numero 8569 . Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.