Trasferimento da una P.A. all’altra: il pacchetto non comprende l’indennità di amministrazione

Nel caso di passaggio del personale da un’amministrazione all’altra, il mantenimento del trattamento economico opera nei limiti della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti per effetto del trasferimento, pertanto l’indennità di amministrazione non è dovuta se il trasferimento ha comportato un complessivo miglioramento delle condizioni economiche.

Con la sentenza n. 24950/2014, depositata il 24 novembre 2014, la Corte di Cassazione ha, quindi, confermato il suo orientamento in tema di diritto all’indennità di amministrazione. Il trasferimento da una P.A. ad un’altra Alcuni dipendenti pubblici, trasferiti dal Ministero del Lavoro alla Regione Lazio, si vedevano negare dal primo l’indennità di amministrazione, emolumento dedicato agli statali trasferiti, al fine di garantire loro il mantenimento della posizione retributiva già maturata. Ciò in considerazione del principio costituzionale dell’irriducibilità della retribuzione. L’erogazione dell’indennità di amministrazione è prevista dall’art. 7 CCNL Comparto Regioni ed Enti Locali, il quale fa esplicito riferimento alle norme in tema di retribuzione dei pubblici dipendenti, da ultimo il d.lgs. 165/2001. In altri termini, l’indennità di amministrazione serve a colmare l’eventuale differenza tra la retribuzione percepita in seno all’amministrazione lasciata e quella percepita presso l’amministrazione di trasferimento. I lavoratori coinvolti nella controversia, nel trasferimento, non avevano subito una diminuzione della loro retribuzione, ma reclamavano comunque il diritto a percepire l’indennità di amministrazione, che, secondo loro e secondo i giudici di merito, non era un salario accessorio, bensì una voca retributiva facente parte del trattamento economico fisso e continuativo e, pertanto, non riassorbibile in nessun altro emolumento speciale. Irriducibilità della retribuzione non significa aumento del compenso. La Corte di Cassazione ribalta quanto deciso nei primi due gradi di giudizio, avvalorando la funzione dell’indennità di amministrazione. Come accennato, l’art. 7 del CCNL Comparto Regioni ed Enti Locali garantisce al personale statale trasferito il mantenimento della retribuzione già percepita, attraverso l’erogazione dell’indennità di amministrazione da parte dell’amministrazione che ha operato il trasferimento. In particolare, la giurisprudenza della Corte di Cassazione Cass., 12956/2005 Cass., 23366/2013 Cass., 10417/2014 ha già specificato che il principio del mantenimento del trattamento economico già in godimento presso la precedente amministrazione possa essere derogato solo in presenza di norme speciali dello stesso livello dell’art. 31 d.lgs. n. 165/2001, che è da considerarsi disposizione generale. Di conseguenza, il principio del mantenimento del trattamento economico goduto nella precedente amministrazione va commisurato agli eventuali miglioramenti di inquadramento e di retribuzione, occorsi a seguito del trasferimento. Pertanto, se il trasferimento comporta un miglioramento della posizione retributiva non ha più senso applicare il principio di irriducibilità della retribuzione. Anzi, in un simile caso, l’erogazione dell’indennità di amministrazione causerebbe un ingiustificato aumento del compenso, che comporterebbe, a sua volta, una violazione del principio di parità di trattamento dei dipendenti pubblici, principio stabilito ex art. 45 d.lgs. n. 165/2001. Nel caso di specie, i dipendenti trasferiti hanno goduto di una migliore posizione lavorativa e retributiva in seno alla Regione Lazione, pertanto, in assenza di una norma speciale che imponga comunque l’erogazione dell’indennità di amministrazione, Il Ministero del Lavoro, da cui provengono i lavoratori, non è tenuto ad alcun versamento, anche perché la Regione Lazio ha correttamente riassorbito i lavoratori anche dal punto di vista retributivo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 ottobre – 24 novembre 2014, n. 24950 Presidente Macioce – Relatore Nobile Svolgimento del processo La Regione Lazio adiva il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, proponendo opposizioni avverso i decreti ingiuntivi con i quali le era stato ingiunto il pagamento delle somme specificate a favore di B.A. e M.V. , a titolo di indennità di amministrazione maturata dal dicembre 1999 al marzo 2003, a seguito del trasferimento degli stessi dal Ministero del Lavoro alla Regione Lazio. A fondamento delle opposizioni, la Regione, oltre ad eccepire l'insussistenza delle condizioni per la concessione dei decreti, deduceva che gli opposti erano stati trasferiti dal Ministero del Lavoro con il D.P.C.M. pubblicato sulla G.U. del 25-11-1999 e, a seguito di ciò, da tale data sino al 31-3-2001, quest'ultimo aveva continuato a corrispondere la retribuzione base, mentre la Regione Lazio aveva versato le maggiori differenze retributive ed il salario accessorio, in applicazione del c.c.n.l. del Comparto Regioni ed Autonomie Locali che l'art. 27 comma 2 del c.c.n.l. 1-6-2001 aveva disposto che al personale del Comparto Ministeri trasferito presso la Regione Lazio si applicassero, con decorrenza dalla data di inquadramento, le disposizioni del trattamento normativo ed economico previste dal c.c.n.l. del Comparto Regioni ed Autonomie Locali e, in data 11-7-2001, era stato siglato un accordo secondo il quale al personale predetto il primo passaggio alla posizione economica avvenisse dall'I-12-1999 con le stesse modalità adottate per il restante personale, con la precisazione art. 3 che non sarebbe stato in alcun caso possibile il cumulo di benefici contrattuali con analoghi provvedimenti adottati dall'Amministrazione Regionale che agli opposti erano stati già corrisposti i conguagli risultanti dalla differenza tra il salario accessorio percepito come dipendenti regionali e l'indennità di amministrazione, per cui la Regione aveva corrisposto tutta la retribuzione spettante. Il B. e il M. si costituivano chiedendo il rigetto delle opposizioni e deducendo che il loro credito era provato dalle buste paga ricevute anteriormente al trasferimento, da quelle ricevute nel periodo intermedio nel quale era il Ministero del lavoro ad erogare le competenze e da quelle successive, nelle quali era stata eliminata la voce retributiva richiesta che mentre l'indennità amministrativa era un compenso fisso e continuativo dovuto al lavoratore in relazione alla qualifica, l'erogazione degli emolumenti economici da parte della Regione era collegata al raggiungimento di effettivi incrementi produttivi ed era subordinata alla valutazione da parte degli organi preposti, per cui il conguaglio era del tutto illegittimo. Il Giudice adito, riunite le cause, con sentenza n. 22368/2004, accoglieva le opposizioni e revocava i decreti, compensando le spese. I lavoratori proponevano appello chiedendo la riforma della sentenza con il rigetto delle opposizioni e la conferma dei decreti ingiuntivi opposti. La Regione si costituiva resistendo al gravame. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 14-12-2007, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava le opposizioni e confermava i decreti ingiuntivi opposti. In particolare la Corte territoriale, premesso che nel caso specifico la Regione ha ritenuto non cumulabili tra loro l'indennità di amministrazione, già percepita dagli appellati, con i compensi, previsti per le categorie A, B e C, a titolo di produttività collettiva art. 4 comma 2 del contratto collettivo decentrato integrativo 1998/2001 e la retribuzione di posizione professionale art. 5 del detto contratto , ravvisando la natura similare degli stessi, rilevava la infondatezza di tale prospettazione. Al riguardo, in sintesi, la Corte di merito osservava che l'indennità di amministrazione non è un salario accessorio, bensì una voce che fa parte del trattamento economico fisso e continuativo, per cui non è riassorbibile con i citati emolumenti accessori. Per la cassazione di tale sentenza la Regione Lazio ha proposto ricorso con un unico motivo. Il B. e il M. hanno resistito con controricorso. Motivi della decisione Preliminarmente va rilevata la nullità della procura apposta a margine della memoria ex art. 378 c.p.c., depositata per la Regione Lazio, con la quale in particolare risulta conferito mandato all'avv. Anna Maria Collacciani in sostituzione dell'avv. Sergio Uricchio, già in servizio presso l'Avvocatura della Regione Lazio , collocato in quiescenza , con la conseguente nullità della costituzione in giudizio dell'avv. Collacciani e della relativa sostituzione dell'avv. Uricchio, in capo al quale è rimasta la rappresentanza processuale, non avendo, peraltro, al riguardo alcuna rilevanza la circostanza che quest'ultimo sia stato collocato in quiescenza . Nel giudizio di cassazione, infatti, come ripetutamente è stato affermato da questa Corte nel regime anteriore alla legge n. 69 del 2009 , la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poiché l'art. 83, terzo comma, c.p.c., nell'elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica con riferimento al giudizio di cassazione soltanto quelli sopra individuati ne consegue che se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal secondo comma del cit. art. 83, cioè con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata v. fra le altre Cass. 9-4-2009 n. 8708, Cass. 20-8-2009 n. 18528 . D'altra parte nella fattispecie, ratione temporis , neppure potrebbe invocarsi il nuovo testo dell'art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine o in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso come la memoria di nomina di nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato , in quanto lo stesso si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell'art. 45 della l. n. 69 del 2009 4 luglio 2009 , mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall'art. 83, secondo comma v. Cass. 26-3-2010 n. 7241, Cass. 28-7-2010 n. 17604 . Con l'unico motivo la ricorrente, lamenta violazione degli artt. 1, 2, 26 e 27 del c.c.n.l. del Comparto Regioni ed Enti locali in relazione all'art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 469/1997 , rilevando, in sostanza, che l'indennità di amministrazione erogata al personale statale e la produttività collettiva per le categorie A, B e C nonché la retribuzione di posizione per la categoria D spettante ai dipendenti regionali possono considerarsi istituti omogenei, in considerazione del fatto che l'attribuzione di questi ultimi emolumenti, diversamente da quanto accade per la produttività individuale, non dipende da alcuna valutazione di qualità o quantità ed è erogata, al pari degli emolumenti fissi e continuativi, per 13 mensilità , essendo corrisposti al pari dell'indennità di amministrazione in base alla categoria di appartenenza a tutto il personale dipendente . Al riguardo la ricorrente rileva, peraltro, che il riassorbimento non comporta alcuna diminuzione dello stipendio in godimento e garantisce identità di trattamento dei dipendenti regionali e che in assenza di disposizioni speciali che espressamente e specificamente definiscano un determinato trattamento retributivo come non riassorbibile come nel caso di specie si applica il principio generale della riassorbibilità . Il ricorso, sufficientemente specifico e corredato da idoneo quesito di diritto, è fondato e va accolto. Deve premettersi che con la l. 15.03.97 n. 59 il Governo fu delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per perseguire gli obiettivi della riforma della pubblica amministrazione e della semplificazione amministrativa. Per il decentramento delle funzioni e dei compiti in materia di mercato di lavoro la delega fu attuata con il d.lgs. 23.12.97 n. 469, il cui art. 7, prevedeva che la individuazione in via generale dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali da trasferire, ivi compresa la cessione dei contratti ancora in corso fosse disposta con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri disposizioni apposite venivano emanate per la ripartizione del personale del Ministero del lavoro e della previdenza sociale comma 1 . Lo stesso art. 7 garantiva al personale statale trasferito il mantenimento della posizione retributiva già maturata comma 5 . Il successivo decreto 9.10.98 del P.C.M. in G.u. n. 3 del 1999 recante individuazione, in via generale, delle risorse da trasferire alle regioni, in materia di mercato del lavoro all'art. 7 Inserimento nei ruoli prevedeva che ai sensi della normativa vigente, ferma restando l'applicazione delle dinamiche retributive del comparto in cui è collocato il personale trasferito, al personale stesso è garantito il trattamento economico fisso e continuativo in godimento stipendio, indennità integrativa speciale, retribuzione individuale di anzianità e indennità di amministrazione comma 1 , e che le voci retributive di cui al comma 1, o altre similari, previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto del personale delle regioni-autonomie locali vigente al momento del trasferimento, sono corrisposte per gli importi eventualmente superiori a quelli già goduti comma 2 . Con una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5.08.99 furono individuate le risorse da trasferire alle Regioni. La giurisprudenza di questa Corte ha individuato nelle disposizioni appena indicate una fattispecie di trasferimento di attività dalla competenza dello Stato a quella delle Regioni e degli enti locali che, sul piano della regolazione dell'impiego pubblico, è riconducibile alla disciplina del passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività svolte dalla pubblica amministrazione centrale ad altri soggetti pubblici, prevista dall'art. 31 del t.u. d.lgs. 30.03.01 n. 165, per il quale al personale che passa al nuovo soggetto pubblico trova applicazione l'art. 2112 c.comma Cass. 16.06.05 n. 12956 . La stessa giurisprudenza ha posto in evidenza che l'art. 31 del d.lgs. n. 165 prevede che il regime del mantenimento del trattamento economico già in godimento presso la precedente amministrazione possa trovare una deroga solo in presenza di disposizioni speciali , ovvero di norme giuridiche di livello pari all'art. 31 stesso, costituente disposizione generale, che consentano di derogare al principio in questione. Pertanto, è stato affermato che il principio del mantenimento del trattamento economico collegato al complessivo status posseduto dai dipendenti prima del trasferimento - fatta eccezione delle voci retributive cosiddette contingenti, collegate a modalità estrinseche dell'attività lavorativa e alla struttura organizzativa del precedente datore di lavoro - ove risulti superiore a quello spettante presso l'ente di destinazione, opera nell'ambito della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento v. Cass. n. 12956 del 2005 cit. . Tale principio è stato riaffermato da Cass. 15-10-2013 n. 23366 e recentemente anche da Cass. 14-5-2014 n. 10417 quest'ultima proprio con riferimento al riassorbimento dell'indennità di amministrazione rispetto al compenso di produttività collettiva e alla retribuzione di posizione professionale, emolumenti questi anch'essi corrisposti per 13 mensilità a tutti i dipendenti in base alla categoria di appartenenza . In particolare con la sentenza n. 23366/2013 citata è stato chiarito che in tema di passaggio di personale da un'amministrazione all'altra, il mantenimento del trattamento economico collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento opera nell'ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento, trovando giustificazione la conservazione del trattamento più favorevole nel principio di irriducibilità della retribuzione, principio questo che però, ove subentri un trattamento complessivamente migliore per tutti i dipendenti, non giustifica - in assenza di una diversa specifica indicazione normativa - l'ulteriore mantenimento del divario, la cui inalterata persistenza si pone in contrasto con il principio di parità di trattamento dei dipendenti pubblici stabilito dall'art. 45 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 v. Cass. n. 23366/2013 cit. . Pertanto, in applicazione di tali principi, con riferimento al godimento della indennità di amministrazione spettante agli odierni controricorrenti presso l'amministrazione di provenienza, deve concludersi che, in mancanza di una specifica disciplina che ne imponga la conservazione, legittimamente la Regione Lazio ha applicato la regola del riassorbimento. Il ricorso va pertanto accolto e l'impugnata sentenza va cassata. Essendo, poi, la controversia incentrata soltanto, in diritto, sulla questione della riassorbibilità, senza che risultino, in specie, contrasti sul quantum del riassorbimento, la causa può essere decisa nel merito, con l'accoglimento delle opposizioni e la revoca dei decreti ingiuntivi opposti. Infine, mentre in ragione dell'esito alterno dei giudizi di primo e di secondo grado e del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità soltanto di recente, vanno compensate le spese dei giudizi di merito, per quanto riguarda il presente giudizio di cassazione i controricorrenti, soccombenti, vanno condannati al pagamento delle spese in favore della Regione Lazio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie le opposizioni e revoca i decreti ingiuntivi opposti, compensa le spese dei giudizi di merito e condanna i controricorrenti a pagare alla Regione Lazio le spese di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.