Assemblea sindacale: dentro o fuori l’azienda lo decidono i lavoratori

I lavoratori hanno il diritto, ma non anche il dovere, di riunirsi all’interno del luogo di lavoro. Mentre il datore di lavoro non ha in generale alcun interesse proprio allo svolgimento dell’assemblea ed alle sue modalità, una volta fatta salva la sicurezza dell’azienda nel senso più ampio.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24670, depositata il 19 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto contro la sentenza del Tribunale che aveva confermato il decreto emesso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, dichiarando l’antisindacalità del comportamento della società, consistito nell’avere dapprima affisso su ogni bacheca aziendale una nota con cui si comunicava che l’azienda metteva a disposizione per un’assemblea il locale presso la sala mensa, con la dicitura che ogni diversa partecipazione doveva intendersi non autorizzata e nell’avere successivamente trattenuto la retribuzione ai partecipanti all’assemblea stessa, che si era svolta nella zona antistante la cancellata d’ingresso e non nella sala mensa. La società propone ricorso per la cassazione di tale sentenza. Con un primo motivo di ricorso la società sostiene che la Corte d’appello abbia violato o falsamente applicato l’art. 28 della l. 300/1970, perché, nel rigettare l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata nei confronti dell’organizzazione sindacale ricorrente, non ha valutato, tra gli indici attestanti il carattere della nazionalità del sindacato, la presenza o meno di un adeguato numero di aderenti in una parte o nell’intero territorio nazionale. Legittimazione degli organismi locali di sindacati. Il collegio ritiene il motivo infondato. Precisa, infatti, che, per l’accesso alla tutela di cui all’art. 28 l. n. 300/1970, il requisito determinante la legittimazione di organismi locali di sindacati non maggiormente rappresentativi sul piano nazionale è costituito dalla diffusione del sindacato sul territorio nazionale, da intendersi nel senso che basta lo svolgimento di effettiva azione sindacale, non su tutto, ma su gran parte del territorio nazionale restando, quindi, escluso che la stipulazione di un contratto collettivo nazionale costituisca l’unico elemento a tal fine significativo, ovvero che lo svolgimento di effettiva attività sindacale possa essere ravvisato solo nella stipulazione di un contratto collettivo esteso all’intero ambito nazionale. Nel caso in esame, la sentenza impugnata, in linea con i principi della giurisprudenza di legittimità, ha dato rilievo alle circostanze fattuali relative alla diffusione dell’attività effettivamente svolta sul territorio nazionale risultanti dalla documentazione in atti. Inoltre, la verifica del requisito della rappresentatività costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità. La condotta antisindacale. Con un secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori da parte della Corte territoriale nell’aver affermato l’irrilevanza dell’elemento psicologico per la concretizzazione della condotta antisindacale. Il Collegio ribadisce che la definizione della condotta antisindacale, di cui all’art. 28 sopra citato, individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche sindacali, bensì alla sua idoneità a ledere i beni” protetti. Pertanto, è sufficiente che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo del datore di lavoro. Il motivo, sostiene la Corte, deve ritenersi inammissibile, perché era onere dell’appellante fornire la prova, per confutare la decisione dell’appello, che la scelta del luogo operata dal sindacato fosse stata concretamente di ostacolo all’attività aziendale o che avesse creato un effettivo pericolo per l’incolumità dei lavoratori. L’esercizio del diritto di riunione può essere esercitato in piena libertà di luogo. Con un terzo ed ultimo motivo, la società datrice di lavoro lamenta violazione di legge della Corte territoriale per non aver tenuto in considerazione la previsione dell’art. 20 dello Statuto dei lavoratori, laddove, nel codificare il diritto dell’assemblea, ne prevede l’esercizio all’interno dell’unità produttiva ove il lavoratore presta la propria opera. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che l’esercizio del diritto di riunione previsto dal art. 20 dello Statuto può essere esercitato in piena libertà di luogo, sia all’interno che all’esterno del luogo di lavoro non è infatti ravvisabile alcun interesse del datore di lavoro a che l’assemblea dei lavoratori si svolga proprio all’interno dell’unità produttiva. L’interesse del datore di lavoro è unicamente diretto a salvaguardare la sicurezza degli impianti ed eventualmente la possibilità di continuazione dell’attività lavorativa da parte di coloro che non partecipano all’assemblea. Interesse che non può essere messo in pericolo in caso di assemblea esterna al luogo di lavoro. Pertanto, come correttamente affermato dalla Corte d’appello, era onere del datore di lavoro provare che la scelta del luogo operata dal sindacato fosse oggettivamente e concretamente di ostacolo all’attività aziendale o che avesse creato un effettivo pericolo per l’incolumità dei lavoratori.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 19 novembre 2014, numero 24670 Presidente Macioce – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo Con la sentenza numero 350 del 2011 la Corte d'Appello di Milano rigettava l'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale che aveva confermato il decreto emesso ai sensi dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, dichiarando l'antisindacalità del comportamento di Poste italiane s.p.a. consistito nell'avere dapprima affisso, la sera del 5 dicembre 2007, su ogni bacheca aziendale, vetrate interne e colonne dell'U.P. CPM di Peschiera Borromeo, una nota con cui si comunicava che l'azienda metteva a disposizione per l'assemblea del 6/12/2007 il locale presso la sala mensa, con la dicitura che ogni diversa partecipazione doveva intendersi non autorizzata e nell'aver successivamente trattenuto la retribuzione ai partecipanti all'assemblea stessa, che si era svolta nella zona antistante la cancellata d'ingresso e non nella sala mensa. Poste italiane s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, articolando tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Cobas P.T., coordinamento di base delegati p.t. aderente alla confederazione unitaria di base di Milano e Provincia. Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Come primo motivo di ricorso Poste italiane s.p.a. denunzia che la sentenza della Corte di Milano, nel rigettare l'eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata nei confronti dell'O.S. ricorrente, avrebbe violato o falsamente applicato l’articolo 28 della L. numero 300 del 1970 per non aver valutato, tra gli indici attestanti il carattere della nazionalità del sindacato, la presenza o meno di un adeguato numero di aderenti in una parte o nell'intero territorio nazionale. Riferisce di avere debitamente articolato, su tale circostanza, istanze istruttorie, che immotivatamente non sarebbero state ammesse. 1.1. n motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte, che questo Collegio condivide, ha già avuto modo di precisare che, per l'accesso alla tutela di cui all'articolo 28 legge numero 300170, il requisito determinante la legittimazione di organismi locali di sindacati non maggiormente rappresentativi sul piano nazionale è costituito dalla diffusione del sindacato sul territorio nazionale, da intendersi nel senso che basta lo svolgimento di effettiva azione sindacale, non su tutto, ma su gran parte del territorio nazionale, restando quindi escluso che la stipulazione di un contratto collettivo nazionale costituisca, nonostante l'indubbia rilevanza sintomatica della rappresentatività che ne discende, l'unico elemento a tal fine significativo, ovvero che lo svolgimento di effettiva attività sindacale possa essere ravvisato solo nella stipulazione di un contratto collettivo esteso all'intero ambito nazionale, trattandosi di affermazione che si pone in contrasto, nella sua assolutezza, con il suddetto principio, incentrato sull'effettività dello svolgimento dell'attività sindacale e sulla sua diffusione, a carattere contenutistico e non meramente formale, su gran parte del territorio nazionale cfr ex plurimis, Cass., nnumero 16637/2014, 62061/2012, 13240/2009 . 1.2. Stante, appunto, il necessario carattere contenutistico della nazionalità, sono state quindi ritenute non coerenti con il ricordato orientamento le pronunce di merito che, per ritenere la sussistenza della legittimazione alla tutela ex articolo 28 L. numero 300/1970, avevano dato rilievo solo alla circostanza che il carattere nazionale del sindacato fosse affermato nello statuto del sindacato stesso cfr. Cass. numero 5209/2010 , ovvero che si erano basate esclusivamente sul dato di fatto attinente alla mera dimensione territoriale dell'organizzazione sindacale, arrestandosi ad un mero rilievo topografico , rappresentativo solo di un prefigurato obiettivo o di un'autoqualificazione del sindacato cfr. Cass. numero 1307/2006 . 1.3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata non si è basata solo su un mero riscontro territoriale della diffusione del Cobas ovvero sulle relative previsioni statutarie, ma ha dato rilievo alle circostanze fattuali relative alla diffusione dell'attività effettivamente svolta sul territorio nazionale risultanti dalla documentazione versata in atti, in linea quindi con i principi della ricordata giurisprudenza di legittimità. 1.4. Considerato che la verifica del requisito della rappresentatività ai fini de quibus costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed è, pertanto, incensurabile, in sede - di legittimità, ove sufficientemente motivato cfr, ex plurimis, Cass. numero 15262/2002 e 16637/2014 , deve riconoscersi l'inammissibilità del profilo di doglianza relativo all'asserita inidoneità allo scopo della circostanze fattuali valorizzate dalla Corte territoriale, risolvendosi la censura nella richiesta, inammissibile in questa sede, di un riesame diretto di elementi di giudizio già vagliati dal giudice del merito. 1.5. Deve poi rilevarsi che la valutazione della Corte viene contestata sulla base del contenuto delle deduzioni istruttorie che sarebbero state formulate in primo e secondo grado pg. 19 , deduzioni che tuttavia non vengono in alcun modo specificate né trascritte, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366, co. 1, numero 6 e 369, co. 2, numero 4 cod. proc. civ. e che impone di indicare nel ricorso medesimo il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali ciò allo scopo di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato, senza compiere generali verifiche degli atti v. Cass. Sez. L, numero 17168 del 2012, Sez. 6 - 3, Ord. numero 1391 del 23/01/2014, Sez. L, numero 3224 del 12/02/2014 . 2. Come secondo motivo Poste italiane s.p.a. lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori in cui sarebbe incorsa la Corte d'appello aderendo alla tesi cosiddetta oggettiva che ha affermato la irrilevanza dell'elemento psicologico per la concretizzazione della condotta antisindacale. Fa presente che nel caso la disponibilità allo svolgimento dell'assemblea nel locale mensa era strumentale all'esigenza di tutelare l'incolumità dei lavoratori, sia che partecipassero o meno all'assemblea, e per tutelare l'interesse aziendale diretto a salvaguardare la sicurezza degli impianti e la possibilità di continuare l'attività lavorativa da parte di coloro che non partecipavano all'assemblea. 2.1. Il motivo è inammissibile in quanto è inconferente per confutare la ratio decidendi adottata dalla Corte d'appello, che ha rilevato che sarebbe stato onere dell'appellante fornire la prova che la scelta del luogo operata dal sindacato fosse stata concretamente di ostacolo all'attività aziendale o che avesse creato un effettivo pericolo per l'incolumità dei lavoratori, tale da legittimare le limitazioni poste e le successive ritenute operate sulle retribuzioni dei partecipanti. Tale affermazione non viene revocata in dubbio, limitandosi il ricorrente a richiamare la pericolosità del luogo, senza peraltro illustrarne le caratteristiche logistiche e topografiche e quindi senza fornire gli elementi che comprovino l'effettiva finalità dei limiti posti all'assemblea. 2.2. Deve peraltro ribadirsi che la definizione della condotta antisindacale di cui all'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori legge numero 300 del 1970 non è analitica ma teleologica, poiché individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i beni protetti. Pertanto per integrare gli estremi della condotta antisindacale è sufficiente che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario ma neppure sufficiente uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, potendo sorgere l'esigenza di una tutela della libertà sindacale anche in relazione a un'errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta, così come l'intento lesivo del datore di lavoro non può di per sé far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale Sez. Unumero numero 5295 del 13/2/1997, Cass. numero 13726 del 17/06/2014, numero 1684 del 5/2/2003, numero 2770 del 22/2/2003, numero 7706 del 22/4/2004, Cass. numero 9250 del 18/04/2007 . 3. Come terzo motivo Poste italiane s.p.a. lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 dello Statuto di lavoratori in relazione all'articolo 20 dello Statuto dei lavoratori e 9 del C.C.N.L. dell'11/7/2003. Fa presente che l'articolo 20 dello Statuto nel codificare il diritto dell'assemblea ne prevede l'esercizio all'interno dell'unità produttiva ove il lavoratore presta la propria opera nel caso, lo svolgimento dell'assemblea sulla carreggiata di accesso al CRT di Borromeo avrebbe determinato un ostacolo all'ingresso e all'uscita dei mezzi aziendali con il conseguente blocco della produzione e dell'attività dei lavoratori che non intendevano parteciparvi. Aggiunge che il fatto che il COBAS avesse ottenuto l'autorizzazione dalla Questura di Milano induce anche a ritenere che oggetto della richiesta sindacale non fosse l'indizione di un'assemblea, ma piuttosto di una manifestazione, tanto che i giornali avevano parlato di presidio . 3.1. Il motivo non è fondato. Questa Corte ha chiarito con la sentenza numero 3038 del 17 maggio 1985 che il datore di lavoro non ha in generale alcun interesse proprio allo svolgimento dell'assemblea ed alle sue modalità, una volta fatta salva la sicurezza dell'azienda nel senso più ampio. Ha aggiunto Sez. L, Sentenza numero 6442 del 2000 che l'esercizio del diritto di riunione previsto dall'articolo 20 dello Statuto può essere esercitato in piena libertà di luogo, sia all'interno che all'esterno del luogo di lavoro, con i soli limiti prescritti dalla legge e dalla eventuale contrattazione collettiva e con l'ulteriore, implicito limite del divieto di atti emulativi . Non è infatti, almeno in linea generale, ravvisabile alcun interesse del datore di lavoro a che l'assemblea dei lavoratori si svolga proprio all'interno della unità produttiva. In altre parole, i lavoratori hanno diritto, ma non anche il dovere, di riunirsi all'interno del luogo di lavoro e l'interesse del datore di lavoro è unicamente diretto a salvaguardare la sicurezza degli impianti ed eventualmente la possibilità di continuazione dell'attività lavorativa da parte di coloro che non partecipano all'assemblea. Interesse che non può essere - per definizione - messo in pericolo in caso di assemblea esterna al luogo di lavoro. 3.2. Correttamente quindi la Corte ha ritenuto che la legittimità del veto posto dal datore di lavoro avrebbe richiesto la prova che la scelta del luogo operata dal sindacato fosse oggettivamente e concretamente di ostacolo all'attività aziendale o che avesse creato un effettivo pericolo per l'incolumità dei lavoratori. 4. In definitiva, il ricorso dev'essere rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di Poste italiane s.p.a P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari.