Dipendente della Banca cancella il proprio debito camuffandolo nella rapina subita: licenziato

Il lavoratore che nasconda, dietro alla rapina subita, un’operazione a suo favore ma a danno della banca estinzione anticipata di un prestito personale , non agisce in stato di incapacità. Il trauma causato dalla rapina subita non è tale da far venir meno la lucidità richiesta dall’operazione complessa posta in essere dal lavoratore stesso. In tal caso il licenziamento è legittimo.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22825, depositata il 28 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello rigettava l’impugnazione proposta da un lavoratore nei confronti di una banca in ordine alla sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda avente ad oggetto la declatoria di illegittimità del licenziamento. La sanzione del licenziamento era stata irrogata al lavoratore poiché quest’ultimo aveva provveduto all’estinzione anticipata di un prestito personale dopo aver subito una rapina a danno della filiale in cui lavorava, facendo credere che la somma fosse compresa nel bottino della rapina. Il lavoratore aveva agito in stato di incapacità di intendere e volere? Il lavoratore ricorreva allora in Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 428 c.c. atti compiuti da persona incapace d'intendere o di volere . Secondo il ricorrente la Corte territoriale non aveva ritenuto sussistente la incapacità di intendere e di volere del lavoratore medesimo, situazione per la quale è sufficiente il trovarsi in uno stato di turbamento psichico tale da impedire di apprezzare l’importanza dell’atto medesimo e di determinarsi liberamente al suo compimento. Il lavoratore assume di aver agito in stato di shock post traumatico, avendo subito la rapina personalmente. La rapina avrebbe rappresentato l’ultimo trauma psichico che lo aveva indotto ad una azione irrazionale assurda e incredibile, che palesava l’irresponsabilità dell’atto e che quindi rendeva iniquo il suo licenziamento. L’indagine sull’incapacità è un accertamento di fatto. La Cassazione nell’affrontare la questione in esame ricorda che l’indagine sulla sussistenza della stato di incapacità naturale si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità se congruamente e logicamente motivato Cass., n. 1770/2012 . D’altra parte è pacifico in sede di legittimità che ai fini della sussistenza della incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio nella specie, dimissioni , non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, dovendo l’eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibili in sede di legittimità Cass., n. 17977/2011 . Le modalità dell’operazione rilevavano capacità e lucidità in capo all’agente. Nella specie la Corte distrettuale aveva affermato, con motivazione congrua e corretta, che la prova dell’incapacità di intendere e volere incombeva sul lavoratore, e aveva inoltre rilevato dall’istruttoria che non erano emersi elementi convincenti e concordati in merito. Infatti, le modalità della condotta e il comportamento successivo avevano dimostrato la piena lucidità. Inoltre, l’operazione posta in essere dal lavoratore aveva richiesto una serie di digitazioni e molta razionalità, totalmente incompatibili con uno stato confusionale, così come appariva lucida l’immediata confessione appena era stato scoperto il comportamento addebitato. Sulla base di tali argomenti la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 maggio – 28 ottobre 2014, n. 22825 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 5790 del 2013, rigettava l'impugnazione proposta da S.P. nei confronti di Unicredit spa già Unicredit Banca di Roma spa in ordine alla sentenza emessa il 22 giugno 2010 dal Tribunale di Latina. 2. Il giudice di primo grado aveva rigettato le domande proposte dal S. medesimo aventi ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento, intimatogli dalla suddetta società, perché privo di giusta causa o giustificato motivo, ordinandosi alla società di reintegrarlo nel posto di lavoro e di corrispondergli le retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegra. 3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre S.P. prospettando tre motivi di impugnazione. 4. Resiste Unicredit spa con controricorso. 5. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza. Motivi della decisione 1. In via preliminare, si rileva che, come esposto nella sentenza di appello, la sanzione del licenziamento veniva irrogata al S. per avere quest'ultimo provveduto all'estinzione anticipata di un prestito personale, per un saldo residuo di Euro 12.538,56, subito dopo l'uscita dei malviventi in occasione di un rapina a danno della filiale dove lavorare, facendo credere che la somma fosse compresa nel bottino della rapina. 2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 428 cc, in riferimento all'art. 360, n. 3, cpc. Assume il ricorrente che erroneamente la Corte d'Appello non ha ritenuto sussistere l'incapacità di intendere e di volere di esso ricorrente, situazione per la quale è sufficiente il trovarsi in uno stato di turbamento psichico tale da impedire di apprezzare l'importanza dell'atto medesimo e di determinarsi liberamente al suo compimento, e che può ravvisarsi anche in presenza di elementi indiziali, con presunzioni semplici. Dopo la conclusione della rapina e l'allontanamento del rapinatore armato che aveva stazionato per tutto il tempo 40 minuti alle spalle di esso ricorrente, tenendolo in allarme e sotto pressione psicologica, lo stesso, allo shock post traumatico, vedeva aggiungersi una crisi ipoglicemica che lo costringeva, non ad allontanarsi in modo quantomeno sospetto, ma a correre al più vicino bar per assumere bevande zuccherate. Peraltro, esso ricorrente nel mese di agosto veniva ricoverato per 20 giorni presso l'Ospedale di XXXXXX, ove veniva rilevato, tra l'altro, disturbo post traumatico da stress grave riconducibile alla rapina. 3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2106 cc, dell'art. 115 cpc, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc. Deduce il S. che non vi sarebbe alcuna proporzione tra la infrazione compiuta e la sanzione disciplinare del licenziamento irrogatagli. La mansione di cassiere gli procurava con continuità una situazione di stress che veniva somatizzata in modo esponenziale, determinando errori nel lavoro, ammanchi ed eccedenze di cassa che si alternavano con regolarità. Ciò si aggiungeva ai problemi familiari, per cui lo stesso aveva chiesto il trasferimento ad altro incarico. La Banca non era intervenuta in merito, così non aiutandolo, ma punendolo per l'errore commesso. La rapina costituiva l'ultimo trauma psichico che lo aveva indotto ad una azione irrazionale assurda ed incredibile, che palesava la irresponsabilità dell'atto e rendeva, quindi, iniquo il suo licenziamento in violazione delle disposizioni richiamate. Tenuto conto dei principi indicati dalla giurisprudenza lieve entità del danno, assenza di precedenti specifici, circostanze del caso concreto, la Banca avrebbe dovuto trasferire esso ricorrente ad altro incarico, e non licenziarlo, con conseguente violazione del criterio della proporzionalità, tenuto conto, peraltro che si trattava di azione involontaria, conseguenza di un disturbo dissociativo. 4. I suddetti motivi di impugnazione, in ragione della loro connessione, devono essere trattati congiuntamente. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati. 5. Le censure del ricorrente fondano su una analoga prospettazione la sussistenza, in ragione della rapina e di condizioni personali, di una stato di incapacità di intendere e di volere, di shock confusionale, di disagio, secondo alcune delle diverse espressioni utilizzate in ricorso, nel momento in cui procedeva all'estinzione del prestito personale - special credito, che non avrebbero costituito oggetto di corretta e congrua valutazione da parte della Corte d'Appello. Proprio tale condizione del lavoratore, se correttamente e congruamente apprezzata, avrebbe posto in luce la non proporzionalità della sanzione irrogatagli. 5.1. L'indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità naturale si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato Cass., n. 1770 del 2012 . In proposito, si è, altresì, affermato che Cass., n. 17977 del 2011 , ai fini della sussistenza della incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio nella specie, dimissioni , non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere. La valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità è riservata al giudice di merito e non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, dovendo l'eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità. 5.2. Nella specie, la Corte d'Appello, con corretta e congrua motivazione, dopo aver affermato che la prova dell'incapacità di intendere e di volere incombeva sul lavoratore, rilevava che dall'istruttoria, come ritenuto dal Tribunale, non erano emersi elementi convincenti e concordanti in merito, ed anzi le modalità della condotta e il comportamento successivo avevano dimostrato la piena lucidità, tanto da escludere anche la possibilità di disporre CTU medico legale, che avrebbe avuto solo una funzione esplorativa. Il richiamo alla sentenza di primo grado, effettuato dalla Corte d'Appello, non è generico, atteso che il giudice di appello afferma che non vi era prova di uno stato di panico dell'appellante o di altri durante la rapina e soprattutto dopo, al momento dell'operazione di estinzione del prestito, richiamando la dichiarazione resa dal S. il giorno successivo alla rapina medesima, in cui lo stesso non faceva alcun riferimento ad uno stato di panico o di agitazione e confessava di aver compiuto l'operazione per estinguere il prestito, senza che fossero emersi elementi di costrizione nel redigere la dichiarazione. Solo dopo 10 giorni, a seguito della lettera di contestazione, il S. cercava di giustificare il proprio comportamento parlando di intensa emotività . La Corte d'Appello afferma inoltre che l'incapacità non trovava dimostrazione nel fatto che l'operazione sarebbe stata sicuramente scoperta, perché l'Istituto, proprio perché la stessa veniva compiuta a ridosso della rapina, avrebbe potuto attribuire a quest'ultima la mancanza della relativa somma. Né risultava provato che l'operazione di estinzione fosse errata, come prospettato dal S. a sostegno dell'incapacità, atteso che la stessa richiede una serie di digitazioni, che presuppongono una attenzione lucida incompatibile con uno stato confusionale, così come appariva lucida l'immediata confessione appena era stato scoperto il comportamento addebitato. Quindi, la Corte d'Appello riteneva legittima la sanzione, non ravvisando violazione del criterio di proporzionalità, atteso che il solo riferimento oltre che alla insussistente incapacità di intendere e di volere, al valore ridotto del danno, non costituiva di per sé elemento impeditivo al venir meno del rapporto fiduciario, come, peraltro, affermato da questa Corte, che ha statuito, in materia di licenziamento, che l'entità del danno ha un rilievo secondario e accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l'azione commessa Cass., n. 13536 del 2002 . 5.3. L'accertamento svolto dal giudice di appello, in quanto congruo e adeguatamente motivato, si sottrae alle censure formulate, non potendosi dare corso in questa sede ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, che si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto. 6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte d'Appello ha affermato che la procedura di estinzione del prestito personale - special credito era avvenuta in modo corretto e nei tempi previsti, senza che vi fosse alcun cenno a problemi di salute e/o stati confusionali eventualmente collegati a patologie sofferte nella dichiarazione resa spontaneamente dal S. il giorno seguente a quello in cui era avvenuta detta rapina. La Corte d'Appello non avrebbe esaminato i fatti, riportandosi alla sentenza di primo grado, pervenendo alla conclusione, non condivisile, ad avviso del ricorrente, che non era provato che la procedura in questione fosse errata. Dinanzi al primo giudice, invece, si era sottolineato che non era stata rispettata la procedura prevista per tale operazione. 6.1. Ferme le considerazioni sopra svolte in relazione ai due motivi di ricorso, il terzo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che Cass., S.U., n. 8053 del 2014 n. 7983 del 2014 l'omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cpc, come riformato dall'art. 54, comma 1, lettera b , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convcrtito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l'abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Ne consegue che a l’ omesso esame non può intendersi che omessa motivazione , perché l'accertamento se l'esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione b i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari c è deducibile come vizio della sentenza soltanto l'omissione e non più l'insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell'estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi ”, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione. Nella specie, il ricorrente nell'esporre il motivo di ricorso, da un lato non deduce, specificando i motivi, di avere sottoposto alla Corte d'Appello, quello che assume fatto decisivo che prospetta dedotto dinanzi al giudice di primo grado pag. 20 del ricorso in cassazione , dall'altro censura la motivazione della Corte d'Appello relativa alla ritenuta mancanza di prova che l'operazione di estinzione fosse errata, senza indicare in modo specifico i fatti decisivi, anche e rispetto alle risultanze istruttorie, atteso che peraltro non è contestato che l'operazione di estinzione dello special credito andava a buon fine, il cui esame sarebbe stato omesso. 7. La Corte rigetta il ricorso. 8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro quattromila per compensi professionali, Euro cento per esborsi, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.