Diritto ai tickets anche se il turno di lavoro “copre” la pausa pranzo

Il turno durante la pausa pranzo impedisce al lavoratore di consumare il pasto nella propria abitazione e questo gli dà diritto al buono pasto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22702, depositata il 24 ottobre 2014. Il fatto. Con sentenza, la Corte d’appello di Lecce rigettava il gravame interposto da una società, contro la pronuncia del Tribunale di Brindisi che l’aveva condannata a pagare in favore di un suo dipendente il controvalore di 300 buoni pasto. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la società condannata, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del contratto aziendale della stessa, e sostenendo che il buono pasto non spetta ove il turno di lavoro si concluda in coincidenza con l’esaurirsi di una delle fasce orarie per l’accesso alla mensa aziendale 12.00-14.00 per il pranzo e 19.00-21.00 per la cena o la comprenda interamente, perché in tale evenienza l’impossibilità di consumare il pasto presso l’abitazione è del tutto svincolata dal problema della distanza. Diritto ai buoni pasto. L’orientamento più volte espresso dalla Suprema Corte, invece, riconosce il diritto ai buoni pasto tanto nel caso in cui durante la fascia oraria concordata per la pausa pranzo il lavoratore sia impegnato al lavoro, quanto nel caso in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentono di raggiungere la propria abitazione entro l’esaurirsi di tale fascia oraria. La Cassazione, sulla scorta di tale orientamento, ravvisa il diritto ai buoni pasto quando il lavoratore abbia svolto il primo turno 6.00/14.00 o il secondo 14.00/22.00 , perché in entrambe le ipotesi tale orario gli impedisce di rientrare a casa per consumare nel primo caso il pranzo, nel secondo la cena. Infatti, il dato centrale indicato dalla previsione contrattuale per fruire del ticket restaurant risiede nell’impossibilità per il lavoratore di consumare il pasto nella propria abitazione a causa dell’orario di lavoro in cui è impegnato. Nella specie, quindi, la sentenza impugnata ha correttamente riconosciuto il diritto ai buoni pasto, pertanto la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso e condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 settembre – 24 ottobre 2014, n. 22702 Presidente Vidiri – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 16.1.09 la Corte d'appello di Lecce rigettava il gravame interposto da Rete Ferroviaria S.p.A. contro la pronuncia del Tribunale di Brindisi che l'aveva condannata a pagare in favore del dipendente N.A. il controvalore di 300 buoni pasto. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Rete Ferroviaria S.p.A. affidandosi a due motivi. N.A. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del contratto aziendale del gruppo Ferrovie dello Stato e degli artt. 1362 e 1363 c.c. per avere l'impugnata sentenza interpretato la clausola contrattuale come attributiva del diritto del lavoratore alla fruizione del buono pasto in luogo della consumazione del pasto medesimo presso una delle mense aziendali anche quando, finito il turno, egli debba impiegare più di due ore per tornare dal posto di lavoro alla propria abitazione od abiti ad oltre 20 km. di distanza oppure quando il lavoratore sia comunque, per ragioni di turno, impossibilitato a consumare il pasto nelle fasce orarie concordate 12.00-14.00 per il pranzo e 19.00-21.00 per la cena sostiene la società ricorrente che il buono pasto non spetta ove il turno di lavoro si concluda in coincidenza con l'esaurirsi di una delle fasce orarie per l'accesso alla mensa aziendale o la comprenda interamente, perché in tale evenienza l'impossibilità di consumare il pasto presso l'abitazione è del tutto svincolata dal problema della distanza. Analoga censura viene in sostanza mossa nel secondo motivo, per avere la Corte territoriale omesso di considerare anche altre disposizioni contenute nel cit. art. 19, che espressamente attribuiscono il diritto al buono pasto al personale di condotta e scorta dei treni quando il servizio viene espletato nelle fasce orarie 11.30-14.30 e/o 18.30-21.30 analoga previsione non è, invece, ripetuta - conclude il ricorso - nel caso di personale diverso, quando la prestazione comprende l'orario dei pasti. 2- Entrambi i motivi di ricorso - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono infondati, dovendosi dare continuità all'orientamento più volte espresso da questa S.C. sulla questione oggetto della presente materia del contendere cfr., più di recente, Cass. n. 26831/13 e Cass. 27063/13 nonché, per tutte quelle precedenti, Cass. n. 14941/09 . Sostiene la società ricorrente che il diritto ai buoni pasto sussiste solo quando il turno di lavoro sia terminato, ma il lavoratore, a causa dei tempi di percorrenza, non sia in grado di raggiungere la propria abitazione entro le fasce orarie concordate per la consumazione dei pasti. Sempre secondo parte ricorrente, il lavoratore non ha invece alcun diritto se impegnato al lavoro durante tali fasce orarie. Al contrario deve osservarsi - sia detto in sintesi - che la giurisprudenza innanzi richiamata riconosce il diritto ai buoni pasto tanto nel caso in cui durante la fascia oraria concordata il lavoratore sia impegnato al lavoro, quanto nel caso in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere la propria abitazione entro l'esaurirsi di tale fascia oraria. Di conseguenza, questa S.C. ha già ravvisato il diritto quando il lavoratore abbia svolto il primo turno 6.00-14.00 o il secondo 14.00-22.00 , perché in entrambe le evenienze tale orario gli impedisce di rientrare a casa per consumare nel primo caso il pranzo, nel secondo la cena. Nell'interpretare la clausola di cui si controverte, il dato centrale indicato dalla previsione contrattuale per fruire del ticket restaurant risiede nell'impossibilità per il lavoratore di consumare il pasto nella propria abitazione a causa dell'orario di lavoro in cui è impegnato, mentre il riferimento ai tempi di percorrenza vale solo quando ciò rilevi a tal fine, ossia quando il turno di lavoro non sia ancora iniziato o sia terminato ma sia comunque impossibile che il dipendente pranzi o ceni a casa a cagione della distanza tra l'abitazione e la sede di lavoro. Nella specie la sentenza impugnata - interpretando la clausola con motivazione condivisibile e immune da vizi logico-giuridici - ha riconosciuto il diritto ai tickets in occasione dei turni di mattina e di pomeriggio correttamente ritenendo inequivocabile il tenore della disposizione contrattuale, che sul punto così recita quando inizia o termina il turno in orari che, tenendo conto dei tempi di percorrenza, non gli consentano di consumare il pasto presso la propria abitazione dimora nelle fasce orarie concordate 12.00/14.00 e 19.00/21.00 . Né tale esito interpretativo è smentito dall'applicazione del canone ermeneutico di cui all'art. 1363 c.c A riguardo la società ricorrente valorizza il raffronto tra il trattamento del lavoratore turnista e quello riservato al personale addetto alla condotta e scorta dei treni , per il quale è previsto il buono pasto quando è in servizio in un periodo che comprende interamente la fascia 11.30-14.30 e/o la fascia 18.30-21.30 , sostenendo che questa specifica previsione suggerisca - a contrariis - l'esclusione, per i turnisti, del diritto al ticket per il servizio prestato in coincidenza con le fasce suddette. Ma, a parte l'evidente discriminazione tra situazioni simili che una tale soluzione interpretativa comporterebbe con conseguente sostanziale incoerenza proprio jX rispetto al canone di cui all'art. 1363 c.c. , va evidenziato che la specificità della prescrizione si spiega con il rilievo che in questo caso la fascia oraria 11.30-14.30 o 18.30-21.30 è diversa da quella ordinaria, indicata in precedenza, per fruire dei pasti 12.00-14.00 e 19.00-21.00 . Tale differenza spiega la necessità di esplicitare una previsione che, altrimenti, rimane interna alla norma generale. 3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. Pasquale Nappi, antistatario.