Spostamenti multipli per la lavoratrice, che si ritrova agli ordini di una dipendente di grado inferiore: nessuna dequalificazione

Respinta la tesi, avanzata dalla donna, che la pubblica amministrazione, ossia Regione e Provincia, l’abbia messa nel mirino. Non sussiste l’ipotesi del mobbing, e comunque gli spostamenti della dipendente non hanno comportato mansioni dequalificanti.

Dipendente spostata come una ‘pedina’ sullo ‘scacchiere’ della pubblica amministrazione. Ella avverte questi trasferimenti come un peggioramento a livello di mansioni, e lamenta, non a caso, come conseguenza di questi continui cambiamenti, anche una sindrome depressiva. Tutto ciò, però, è solo nella mente della donna, che, difatti, vede respinta la propria richiesta di risarcimento nei confronti della Regione e della Provincia Cassazione, sentenza n. 22535, sez. Lavoro, depositata il 23 ottobre 2014 . Cambio. Facilmente delineato l’iter professionale della donna prima assegnata alla ‘Scuola regionale commerciale’, poi alla ‘Scuola regionale professionale alberghiera’, infine alla ‘Scuola industriale’. Ella, come detto, ha avvertito queste ricollocazioni come un affronto, anche perché afferma di essere stata destinata ad incarichi dequalificanti, non equivalenti all’incarico dirigenziale precedentemente ricoperto . E, allo stesso tempo, ella sostiene che sia stata realizzata, nei suoi confronti, una chiara condotta di mobbing , testimoniata, in maniera concreta, dalla sindrome depressiva che l’ha colpita. Tale visione, però, viene smentita dai giudici di merito, i quali evidenziano che il ‘la’ alla sequela di trasferimenti è stato dato dalla decisione di mutare la destinazione della ‘Scuola regionale commerciale’, e, soprattutto, sottolineano che le ricollocazioni della lavoratrice non avevano comportato il di lei demansionamento, posto che i nuovi incarichi erano riconducibili alla qualifica funzionale di funzionario di ottavo livello , di cui ella era in possesso . Mansioni e qualifiche. Quadro chiarissimo, quindi, per i giudici di merito, e assolutamente corretto, aggiungono i giudici della Cassazione, rigettando definitivamente il ricorso proposto dalla donna. Innanzitutto, viene sancito che non vi è stato mobbing non vi è prova di comportamenti vessatori , e, di sicuro, i dedotti provvedimenti non sono dequalificanti . E poi, su quest’ultimo punto, i giudici del ‘Palazzaccio’ sanciscono la legittimità dell’operato della pubblica amministrazione, soprattutto tenendo presente che, attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse , è stato recepito, in tema di mansioni, il concetto di equivalenza formale, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva e indipendentemente dalla professionalità acquisita . Irrilevante, a fronte di tale contesto normativo, il fatto che la donna abbia sottolineato di essere stata sottoposta al controllo e alla direzione di altra dipendente di grado inferiore .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 giugno – 23 ottobre 2014, n. 22535 Presidente Vidimi – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 20 agosto 2012, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta da M.F. nei confronti della Regione Marche e dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, con la quale la ricorrente, deducendo che era stata posta in essere nei suoi confronti dalle Amministrazioni anzidette una condotta di mobbing, attraverso la sua destinazione ad incarichi dequalificanti, non equivalenti all’incarico dirigenziale precedentemente ricoperto, aveva chiesto la condanna delle Amministrazioni medesime al risarcimento dei danni. La Corte anzidetta, dopo aver respinto la censura relativa alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle Amministrazioni convenute e della prova testimoniale chiesti in primo grado dalla ricorrente, ha osservato che la Scuola Regionale Commerciale di Ascoli Piceno cui era preposta in precedenza la M. non era più operativa, essendone stata mutata la destinazione che l’assegnazione della M. al coordinamento di attività corsuali presso la Scuola Regionale Professionale Alberghiera e il successivo trasferimento presso la Scuola Industriale non avevano comportato il di lei demansionamento, posto che i nuovi incarichi erano riconducibili alla qualifica funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in possesso che, ai sensi del CCNL 31 marzo 1999, art. 3, comma 2, del Comparto delle Regioni ed Autonomie Locali - che aveva recepito il d.lgs. n. 29/93 e successive modifiche - erano esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, sempre che fossero professionalmente equivalenti che, peraltro, la M., nello svolgimento delle precedenti mansioni, si era resa inadempiente all’obbligo di redazione e chiusura del conto consuntivo, nonostante fosse stata deliberata la chiusura della Scuola Regionale Commerciale che l’Amministrazione, pur agendo con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, doveva tuttavia assicurare la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa e l’attuazione degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità della pubblica amministrazione, tanto più che l’art. 52 d.lgs. n. 165/01 non contiene più il riferimento, previsto dall’art. 2103 c.c. per il rapporto di lavoro privato, alla destinazione del dipendente a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Ha infine escluso la Corte di merito che i superiori della M. fossero animati da posizioni personali di contrasto nei suoi confronti o avessero tenuto condotte vessatorie. Contro questa sentenza la dipendente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resiste la Regione Marche con controricorso, mentre l’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione l. Con il primo motivo, denunziandosi violazione e falsa applicazione di norme di diritto, contenute nel decreto legislativo n. 165/01 e nel contratto collettivo che disciplina i rapporti dei dipendenti della Regione Marche”, si deduce che la Corte di merito ha errato nel ritenere che la ricorrente non fosse stata dequalificata con l’attribuzione dei nuovi incarichi. La medesima venne infatti privata, specie con il trasferimento presso la Scuola Industriale, di ogni mansione e, per di più, sottoposta ad altra dipendente di grado inferiore, circostanze queste che configurano una dequalificazione vera e propria e che sono ben diverse dalla legittima assegnazione a mansioni rientranti nella declaratoria contrattuale di inquadramento. Né, si soggiunge, nel disporre tali nuovi incarichi, l’Amministrazione ha adottato un provvedimento di revoca dal precedente incarico di direttrice della Scuola Regionale Commerciale, circostanza questa che ha comportato il mantenimento di tale qualifica e che ha reso illegittimi il conferimento di detti incarichi. Tutto ciò, ad avviso della ricorrente. ha comportato l’insorgere di una grave sindrome depressiva, con conseguente danno da mobbing. 2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta il mancato accoglimento della richiesta di interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle Amministrazioni convenuti e di prova testimoniale. Deduce che tali prove erano rilevanti ai fini della decisione, tendendo a dimostrare i comportamenti vessatori posti in essere nei suoi confronti, la illegittimità dei provvedimenti di attribuzione dei nuovi incarichi nonché l’avvenuta sottoposizione della ricorrente al controllo e alla direzione di altra dipendente di grado inferiore. 3. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato. Come è stato più volte affermato da questa Corte, per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità di tale condotta sono, pertanto, rilevanti a la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio b l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente c il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore d la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio cfr., in questi termini, Cass. 17 febbraio 2009 n. 3785 Cass. 17 gennaio 2014 n. 898 . Tali elementi, la cui prova è a carico del lavoratore in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ., nella specie sono rimasti assolutamente indimostrati, non avendo la ricorrente - al di là dei dedotti provvedimenti asseritamente dequalificanti - nemmeno specificato gli elementi di fatto e le circostanze di luogo e di tempo in cui si sarebbero verificati i comportamenti vessatori. 4. Quanto alla dedotta dequalificazione, la Corte territoriale ha rilevato che, a seguito della inoperatività, per effetto della mutata destinazione, della Scuola Regionale Commerciale cui era preposta in precedenza l’odierna ricorrente, costei era stata assegnata ad altri incarichi coordinamento di attività corsuali presso la Scuola Regionale Professionale Alberghiera e successivo trasferimento presso la Scuola Industriale che non avevano comportato il di lei demansionamento, posto che essi erano riconducibili alla qualifica funzionale di funzionario di ottavo livello, di cui la medesima era in possesso, e che, ai sensi del CCNL 31 marzo 1999, art. 3, comma 2, del Comparto delle Regioni ed Autonomie Locali - che aveva recepito il d.lgs. n. 29/93 e successive modifiche - erano esigibili dai dipendenti tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, sempre che professionalmente equivalenti. Nel pervenire a tale decisione, la sentenza impugnata ha applicato i principi affermati in materia da questa Corte, secondo cui in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza formale”, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva indipendentemente dalla professionalità acquisita e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita Cass. 11 maggio 2010 n. 11405 Cass. 21 maggio 2009 n. 11835 Cass. 5 agosto 2010 n. 182839 . Anche qui la ricorrente non ha contestato efficacemente tale statuizione, limitandosi ad affermare che le era stata sottratta pressoché integralmente ogni funzione e comunque era stata sottoposta al controllo e alla direzione di altra dipendente con qualifica inferiore alla sua, senza tuttavia fornire alcuna prova di tali assunti. 5. Deduce la ricorrente che il mancato accoglimento delle richieste istruttorie interrogatorio formale e prova per testimoni le ha precluso, di fatto, la possibilità di dimostrare la fondatezza delle sue pretese. Senonchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, omette di indicare gli articoli di prova sui quali avrebbero dovuto vertere i mezzi istruttori anzidetti, non consentendo a questa Corte di verificare la fondatezza della doglianza. 6. Infondata è, infine, la censura relativa alla mancata adozione del provvedimento formale di revoca del precedente incarico. L’assegnazione di un dipendente ad un nuovo incarico, peraltro nella specie giustificata dalla mutata destinazione dell’Ente cui la ricorrente era preposta, non richiede la revoca formale del precedente incarico, essendo questa implicita nel nuovo provvedimento adottato. 7. Alla stregua di tutto quanto precede il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate com in dispositivo a favore della Regione Marche. Nulla per le spese nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno, rimasta intimata. Ai sensi dell’art. 13, comma l-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore della Regione Marche, in € 100,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.