Dirigente aggredisce un collega: licenziato per giusta causa

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, rilevano tutti i comportamenti in grado di far venir meno la fiducia del datore di lavoro e la continuazione del rapporto. Rileva a tal fine l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22292, depositata il 21 ottobre 2014. Il caso. Un lavoratore veniva licenziato per aver aggredito un suo collega di lavoro. Il lavoratore ricorreva per chiedere la declatoria di nullità di detto licenziamento. La domanda attorea veniva respinto sia in primo sia in secondo grado. In particolare, la Corte d’appello confermava che la prove assunte avevano avvalorato la dinamica dei fatti assunti dalla società e che, in considerazione della gravità dei fatti stessi e delle circostanze oggettive e soggettive, sussisteva la giusta causa di licenziamento. Ricorreva per cassazione il lavoratore, denunciando violazione dell’art. 2119 c.c. recesso per giusta causa , avendo la Corte territoriale omesso di considerare determinate circostanze che avrebbero dovuto indurla a non ricondurre la fattispecie al licenziamento per giusta causa. Proporzionalità tra addebito e recesso. Nell’affrontare la questione in esame, la Cassazione ricorda che, come indicato nella sentenza n. 17514/2010, in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro . La gravità del fatto in senso oggettivo e soggettivo. Nel caso di specie, i Giudici di merito avevano considerato e valutato tutte le circostanze concrete e avevano ritenuto rilevante la gravità del fatto, sia dal punto di vista oggettivo, in quanto il comportamento tenuto dal lavoratore era del tutto illecito, sia dal punto di vista soggettivo, in ragione del ruolo dirigenziale ricoperto dallo stesso. Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 luglio – 21 ottobre 2014, n. 22292 Presidente Vidiri – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 7-10-2004 M.D. si rivolgeva al Giudice del lavoro del Tribunale di Pordenone esponendo di aver lavorato in omissis alle dipendenze di Euromembrane s.p.a. come dirigente e di essere stato licenziato con lettera del 17-3-2004 per avere aggredito un suo collega di lavoro F.G. . L'attore, sulla base di varie argomentazioni in fatto e in diritto, chiedeva in via principale la declaratoria di nullità del detto licenziamento perché ritorsivo con la condanna della convenuta al pagamento delle retribuzioni dal 18-3-2004 fino alla ripresa del servizio, con rivalutazione e interessi in via subordinata la declaratoria di invalidità del licenziamento perché viziato sul piano procedurale e/o carente di giusta causa e di giustificatezza, con la condanna della convenuta alla corresponsione dell'indennità sostitutiva de preavviso e dell'indennità supplementare, nelle misure indicate, con rivalutazione e interessi in via ulteriormente subordinata la declaratoria della inefficacia del licenziamento perché disposto in costanza di malattia con la corresponsione delle retribuzioni non corrisposte per il periodo 18/31-3-2004, dell'indennità sostitutiva del preavviso e dell'integrazione del t.f.r., nelle misure indicate, con rivalutazione ed interessi. La società si costituiva sostenendo la piena validità legittimità ed efficacia del licenziamento e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna di controparte a risarcire i danni provocati in costanza di rapporto ed a rendere gli anticipi a lui pagati a fronte delle spese per trasferte e per i costi dei carburanti. Il Giudice adito, con sentenza n. 112/2009, respingeva sia le domande avanzate dal M. sia quelle riconvenzionali della Euromembrane. Il M. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma ed in particolare lamentando la mancata considerazione da parte del primo giudice della mancata affissione del codice disciplinare nonché la mancata prova della sussistenza della giusta causa e della giustificatezza del licenziamento. La società appellata si costituiva e resisteva al gravame, proponendo altresì appello incidentale volto a far accogliere le sue pretese risarcitorie e restitutorie esperite in I grado. La Corte d'Appello di Trieste, con sentenza depositata il 20-7-2011, respingeva entrambi gli appelli, confermando la pronuncia di primo grado. In sintesi la Corte territoriale, ribadita la non necessità della affissione del codice disciplinare a fronte dei fatti contestati, consistenti in violazioni di norme penali e dei canoni del minimo etico , confermava che le prove assunte avevano avvalorato la dinamica dei fatti assunti dalla società e che, in considerazione della gravità dei fatti stessi e delle le circostanze oggettive e soggettive, sussisteva la giusta causa di licenziamento. La Corte, poi, sull'appello incidentale, confermava la mancata prova da parte della società degli elementi necessari posti alla base delle domande riconvenzionali. Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso con tre motivi. La Euromembrane s.p.a. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Preliminarmente va rilevato che il ricorso risulta formulato in gran parte con la tecnica dell'assemblaggio e che in sostanza soltanto nelle pagine da 48 a 54 vengono, poi, sviluppati direttamente i motivi dell'impugnazione, i quali, al loro interno, contengono, in qualche modo, anche una sintetica esposizione dei relativi fatti. Una tale formulazione, in effetti, non sembra soddisfare il requisito richiesto dall'art. 366 n. 3 c.p.c. cfr. Cass. S.U. 11-4-2012 n. 5698 . A parte ciò, va comunque rilevato che tutti e tre i motivi non meritano accoglimento. Co il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 52 lettera j del ccnl per le aziende chimiche farmaceutiche, il ricorrente, premesso che nella specie non è stata contestata l'applicazione del detto ceni, lamenta che la Corte territoriale ha omesso di considerare che nel caso in esame non risultava provato che quanto accaduto avesse recato grave perturbamento alla vita aziendale , circostanza, questa, necessaria unitamente alla collocazione dell'evento nel recinto dello stabilimento ai fini dell'idoneità del diverbio litigioso a giustificare un provvedimento espulsivo con efficacia immediata. Tale motivo risulta inammissibile e comunque infondato. Innanzitutto si tratta di questione nuova, che postula nuovi accertamenti di fatto, della quale non vi è traccia nell'impugnata sentenza e sulla quale manca in ricorso qualsiasi indicazione specifica in ordine all'avvenuta deduzione davanti ai giudici di merito v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336 . Peraltro, come si evince dalla stessa lettura del ricorso, nella specie, né nella lettera di contestazione, né nella lettera di licenziamento irrogato semplicemente per giusta causa senza preavviso e con decorrenza immediata vi era stato alcun richiamo specifico all'ipotesi prevista dal contratto collettivo, invocata dal ricorrente. In ogni caso, il motivo risulta altresì infondato, in quanto, nell'ambito della valutazione della sussistenza della giusta causa e della proporzionalità della sanzione espulsiva immediata, la Corte di merito, tra l'altro, ai fini della rilevante gravità del fatto, ha anche evidenziato le ripercussioni negative nell'ambito aziendale in particolare con riferimento all' esempio e alla valutazione che potevano trarre e fare i dipendenti con riguardo all'occorso , che aveva visto protagonisti due dirigenti, verosimilmente agli apici dell'impresa . Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 2119 c.c., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha omesso di considerare una pluralità di circostanze che avrebbero dovuto indurla a ritenere non riconducibile la fattispecie nell'alveo della giusta causa di licenziamento circostanze genericamente indicate, quali, comportamenti antecedente e successivo del dipendente, assenza di dolo e mancanza di conseguenze patrimoniali per la società . Con il terzo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente lamenta la mancata considerazione di ulteriori circostanze che, se considerate, avrebbero portato a conclusioni ben diverse in specie bozza di lettera di dimissioni approntata dalla società, invio di prospetto di competenze comprensivo di una parte dell'indennità sostitutiva del preavviso, alcune dichiarazioni del sig. F. e del teste Mo. . Anche tali motivi, strettamente connessi, non meritano accoglimento. Come è stato più volte affermato da questa Corte v., fra le altre, Cass. 26-7-2010 n. 17514, Cass. 13-2-2012 n. 2013 , in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro . Nella specie la Corte di merito, valutate le circostanze concrete, ha ritenuto la rilevante gravità del fatto, non solo sotto il profilo oggettivo dell'illiceità del comportamento , bensì anche sotto il profilo soggettivo in specie in ragione del ruolo dirigenziale ricoperto e delle conseguenze nell'ambiente di lavoro. Tale accertamento risulta congruamente motivato e resiste alle censure del ricorrente, che in effetti si risolvono nella riproposizione di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie ed in una inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio v., fra le altre, Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766 . Del resto, come pure è stato più volte affermato, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata v. Cass. 9-4-2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412 . Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore della controricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla società controricorrente le spese, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.