Diamo al reggente ciò che è del reggente

Nel regime di indennità di buonuscita spettante, ex artt. 3 e 38 d.P.R. n. 1032/1973, al dipendente pubblico, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni superiori in ragione dell’affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza, lo stipendio da considerare come base di calcolo per l’indennità di buonuscita è quello relativo alla qualifica di appartenenza e non quello rapportato all’esercizio temporaneo delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente.

Questa l’indicazione contenuta nella sentenza Cass., n. 22156, depositata il 20 ottobre 2014, in tema di calcolo dell’indennità di buonuscita spettante ai reggenti funzione di dirigente. Reggente dirigente oneri e onori, forse. Il ricorrente aveva per anni ricoperto la posizione di reggente funzione di dirigente in un’azienda pubblica privatizzata. In sostanza, senza aver superato il concorso per dirigenti, svolgeva di fatto la mansione direzionale in qualità di reggente. La reggenza è per sua natura temporanea poiché è finalizzata a coprire - momentaneamente - un posto di lavoro la cui assegnazione richiede tempo. Nel caso di specie, però, il ricorrente aveva lavorato come reggente per molti anni, mediante una continua successione di contratti. La sua posizione di reggente era talmente stabile che il concorso per dirigente non è mai stato bandito! Addirittura, il reggente è sempre stato retribuito con le stesse modalità del personale dirigente e su tale trattamento retributivo - non su quello dell’originaria qualifica di appartenenza - erano state calcolate le indennità previdenziali. Alla cessazione del rapporto di lavoro per pensionamento, diversamente da quanto accaduto fino ad allora, il reggente si vedeva corrisposta un’indennità di buonuscita inferiore alle aspettative, poiché questa era stata calcolata sulla base della retribuzione della sua categoria di appartenenza e non su quella di dirigente. È quindi necessario chiarire su quale base si calcoli la buonuscita dei reggenti, posto che essi, fintanto che sono in servizio, percepiscono retribuzione e, soprattutto, versano contributi pari a quelli dei dirigenti. Dal punto di vista giuridico, ai sensi del d.lgs. n. 165/2001, la reggenza comporta una vera e propria titolarità dell’ufficio ed esclude la diversità di trattamento rispetto agli incarichi dirigenziali. Nel caso di specie, tale aspetto è accentuato dal fatto che la reggenza si sia protratta per molto tempo, al punto che non è mai stata avviata alcuna procedura concorsuale per la selezione del dirigente definitivo”. Qual è il confine tra reggenza e dirigenza? La questione di cui si occupa la Suprema Corte con la sentenza in commento riguarda, quindi, il trattamento economico del reggente, con particolare riferimento al calcolo dell’indennità di buonuscita essa è da quantificare sulla base della retribuzione da dirigente mansione di fatto espletata e per la quale sono stati versati i contributi o sulla base della retribuzione della categoria di appartenenza originaria mansione formale ?. Raramente in campo giuslavoristico il dato formale prevale su quello sostanziale, ma così avviene nel caso in commento. In realtà, l’orientamento della Corte di Cassazione sul tema è da sempre altalenante, ma con quest’ultima sentenza la Cassazione aderisce all’orientamento delle Sezioni Unite, mettendo un punto fermo. Secondo le Sezioni Unite sent. n. 10413/2014 l’esercizio di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore. Ne consegue che, la base retributiva dell’indennità di buonuscita - che , di solito, è costituita dalla retribuzione corrispondente alla qualifica rivestita al momento della cessazione del rapporto di lavoro - non è da riferire alla retribuzione della mansione sostanziale ed ultima, ma a quella formale, della categoria di appartenenza. Liquidando la buonuscita sulla base della retribuzione da dirigente, anziché su quella della categoria di appartenenza, consentirebbe di aggirare il disposto dell’art. 52, d.lgs. n. 165/2001, realizzando lo stesso effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito il superiore inquadramento, nelle forme previste ex lege concorsi . Al di là di quanto espresso con queste ultime pronunce, è opportuno dare atto dell’orientamento di segno opposto, comunque recente e ben aderente al caso di specie, secondo cui l’indennità di buonuscita sarebbe da quantificare sulla base dell’ultima retribuzione, nel caso in cui la reggenza si sia protratta per un periodo eccessivamente lungo non più temporaneo e, nel frattempo, il reggente abbia maturato i requisiti per il pensionamento. Il dibattito giurisprudenziale può, oggi, considerarsi concluso in favore del principio della certezza del diritto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 luglio – 20 ottobre 2014, n. 22156 Presidente Stile – Relatore Venuti Svolgimento del processo Il Dott. M.C. , dipendente dell'Agenzia delle Entrate ed inquadrato nell'area C, livello C3 super, premesso che aveva svolto dal 24 novembre 1998 le funzioni di reggente del Reparto II, area controllo, del I Ufficio delle Entrate di Verona, e tale incarico gli era stato rinnovato costantemente sino alla data di collocamento a riposo gennaio 2003 , con ricorso al Tribunale di Verona proposto nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e dell’INPDAP, chiedeva la rideterminazione dell'indennità di buonuscita, da calcolarsi sul trattamento retributivo di dirigente di seconda fascia, F compresa l'indennità di posizione, percepito al momento della cessazione dal servizio. Il Tribunale adito accoglieva la domanda, ma la Corte d'appello di Venezia, su impugnazione dei soccombenti, la rigettava, riformando la decisione di primo grado. Ha osservato la Corte di merito, per quanto ancora rileva in questa sede, che il M. non aveva mai rivestito la qualifica dirigenziale, ma aveva svolto funzioni di reggenza in attesa dell'avvio della procedura concorsuale per la copertura del posto dirigenziale che la reggenza del pubblico ufficio, pur comportando lo svolgimento, di fatto, di mansioni dirigenziali, non determina il diritto al corrispondente trattamento retributivo che, a norma dell'art. 3 D.P.R. n. 1032/73, la base contributiva è costituita dall'ultimo stipendio percepito che con tale locuzione il legislatore ha voluto indicare il trattamento economico fondamentale e non il trattamento economico provvisoriamente corrisposto che la retribuzione di posizione non è prevista tra le voci tassativamente indicate dall'art. 38 D.P.R. cit. ai fini della determinazione della base contributiva. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Dott. M. , illustrato da successiva memoria. L'Agenzia delle Entrate e l’INPDAP hanno resistito con distinti controricorsi. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. Con l'unico motivo del ricorso, articolato in più censure, è denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 38 D.P.R. n. 1032 del 1973. Si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, l'indennità di buonuscita nel regime attuale del pubblico impiego privatizzato, ha natura di retribuzione differita e quindi segue il principio della corrispondenza della retribuzione alle mansioni effettivamente svolte enunciato dall'art. 52 D. Lgs. n. 165/01. Si soggiunge che erroneamente è stato attribuito il carattere di provvisorietà al trattamento economico stipendiale corrisposto al ricorrente per effetto dell'incarico di reggenza, con conseguente erronea esclusione dello stipendio effettivamente percepito in costanza di servizio dalla base di calcolo dell'indennità di buonuscita. L'istituto della reggenza comporta infatti una vera e propria titolarità dell'ufficio ed esclude quindi, con riguardo all'indennità di buonuscita, la diversità di trattamento rispetto agli incarichi dirigenziali. Inoltre, la protrazione nel tempo della reggenza comporta l'ascrivibilità delle prestazioni lavorative alle mansioni dirigenziali, tenuto conto peraltro dell'assenza del procedimento di copertura del posto dirigenziale. Tanto più che, nella specie, l'attribuzione dell'incarico dirigenziale è stata confermata con l'ultimo contratto individuale, che prevedeva la cessazione del predetto incarico al momento del collocamento in quiescenza del ricorrente. Questi veniva retribuito con le stesse modalità del personale dirigente e su tale trattamento retributivo - e non già su quello dell'originaria qualifica di appartenenza - sono state calcolate le ritenute previdenziali. Si rileva ancora che erroneamente è stata esclusa la retribuzione di posizione dal trattamento retributivo stipendiale considerato dagli artt. 3 e 38 D.P.R. n. 1032/73. Tale emolumento costituisce infatti parte integrante della retribuzione del dirigente e riveste natura stipendiale, assumendo, come il trattamento economico fondamentale, i connotati di un compenso fisso, continuativo, costante e generale. Conseguentemente esso, in quanto percepito dal dipendente al momento del collocamento a riposo, non può non essere calcolato nell'indennità di buonuscita. 2. Il ricorso non è fondato. La questione per cui è controversia è stata decisa in senso difforme dalla Sezione lavoro di questa Corte, sicché essa, con ordinanza interlocutoria n. 10979/13, è stata rimessa alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto. Aveva infatti affermato Cass., sez. lav., 11 giugno 2008, n. 15498, con riferimento alla fattispecie di un funzionario della IX qualifica funzionale che aveva svolto mansioni vicarie di dirigente, che nel rapporto di lavoro c.d. privatizzato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, poiché l'esercizio di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica, la base retributiva dell'indennità di buonuscita, che è normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima qualifica legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione del servizio, non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore qualifica, bensì a quella corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza. Questo principio non è stato condiviso da Cass., sez. lav., 13 giugno 2012, n. 9646, che ha invece ritenuto che ai fini della buonuscita si debba considerare il trattamento economico corrisposto per l'incarico svolto a titolo di reggenza, affermando in particolare che nell'ipotesi di reggenza conferita per un posto vacante di dirigente per il periodo necessario all'espletamento delle procedure di selezione per la copertura del posto stesso con attribuzione del relativo trattamento economico, se la reggenza prosegue per un periodo eccessivamente lungo e nel frattempo il dipendente matura i requisiti per il collocamento a riposo, nel computo dell'indennità di buonuscita non si può non tenere conto, come ultimo trattamento economico percepito, di quello corrisposto per il suddetto incarico dirigenziale, anche se a titolo di reggenza. L'orientamento precedente è stato ulteriormente ribadito da Cass., sez. lav., 2 luglio 2013, n. 16506, che, ponendosi in critico confronto ed in consapevole contrasto con Cass. n. 9646 del 2012, ha in particolare evidenziato che il rapportare la liquidazione dell'indennità di buonuscita alla retribuzione da ultimo percepita in forza delle mansioni dirigenziali espletate in via di reggenza temporanea, anziché alla retribuzione dell'ultima qualifica rivestita, è una soluzione che si traduce in un sostanziale aggiramento del disposto dell'art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, di fatto realizzando lo stesso effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito il superiore inquadramento nelle forme previste dalla citata normativa. 3. Le Sezioni unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 10413 del 14 maggio 2014 hanno aderito a quest'ultimo, prevalente orientamento. Richiamando le pronunce della Corte Costituzionale che hanno affermato la legittimità della tassatività degli emolumenti computabili ai fini dell'indennità di buonuscita C. Cost. n. 243/93 e n. 278/95 nonché le pronunce di legittimità e del Consiglio di Stato che si sono espresse in piena sintonia con la giurisprudenza costituzionale con riguardo a settori diversi Cass. Sez. Un. n. 3673/97 Cass. n. 16596/04 Cass. n. 22125/11 Cass. n. 2259/12 Cass. n. 709/12 Cons. St., Sez. VI, n. 6736/11 n. 2075/11 n. 3717/09 n. 482/09 , le Sezioni Unite hanno affermato che gli stessi principi trovano applicazione nella fattispecie della reggenza, la quale è connotata dalla temporaneità e presuppone che per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro, nel caso di vacanza di posto in organico, sia temporaneamente adibito a mansioni proprie di una qualifica superiore. Anche in tali ipotesi l'intrinseca temporaneità dell'incarico dirigenziale come reggente, affidato al dipendente sprovvisto della qualifica di dirigente, comporta che l'incremento di trattamento economico rispetto a quello corrispondente alla qualifica di appartenenza sia concettualmente isolabile e non appartenga alla nozione di stipendio che è invece il trattamento economico tabellarmente riferibile alla qualifica di appartenenza. D'altra parte, aggiungono le Sezioni Unite, rapportare la liquidazione dell'indennità di buonuscita alla retribuzione da ultimo percepita in forza delle mansioni dirigenziali espletate in via di reggenza temporanea, anziché alla retribuzione dell'ultima qualifica rivestita, significa realizzare di fatto lo stesso effetto che si sarebbe verificato se il dipendente avesse regolarmente conseguito il superiore inquadramento, effetto questo che il legislatore con la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego ha sempre inteso evitare, disponendo che l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non rileva ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi dirigenziali. Ne consegue, hanno rilevato Sezioni Unite, che nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita del dipendente che da ultimo abbia svolto le superiori mansioni di dirigente in situazione di reggenza, non possono comprendersi emolumenti diversi da quelli previsti dal combinato disposto degli artt. 3 e 38 d.P.R. n. 1032 del 1973 non potendo in particolare interpretarsi le locuzioni stipendio , paga o retribuzione , nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal dipendente in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione, ma dovendo esse essere riferite al trattamento retributivo relativo alla qualifica di appartenenza. Ed hanno affermato, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., il seguente principio di diritto Nel regime dell'indennità di buonuscita spettante ai sensi degli artt. 3 e 38 d.P.R. 1032 del 1973 al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell'esercizio di mansioni superiori in ragione dell'affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, lo stipendio da considerare come base di calcolo dell'indennità medesima è quello relativo alla qualifica di appartenenza e non già quello rapportato all'esercizio temporaneo delle mansioni relative alla superiore qualifica di dirigente. A questo principio questo Collegio intende dare continuità, non essendovi ragioni per discostarsene. 4. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la parte ricorrente, nel dare atto dell'intervento, nelle more, della sentenza delle Sezioni Unite sopra menzionata, rileva che quella fattispecie era diversa da quella in esame. Qui infatti le funzioni dirigenziali sono state svolte dal dipendente in forza di provvedimenti formali dell'Amministrazione e per circa cinque anni, in mancanza quindi dei caratteri della straordinarietà e della temporaneità, mentre nella fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite l'incarico aveva avuto una durata inferiore a tre anni. Richiama il ricorrente l'art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148/11 - il quale, modificando l'art. 19, comma 2, D. Lgs. n. 165/01, ha disposto che nell'ipotesi in cui la durata dell'incarico dirigenziale sia inferiore a tre anni perché coincidente con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell'interessato, l'ultimo stipendio, ai fini dell'indennità di buonuscita, va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni - e deduce che tale disposizione costituisce un chiaro punto di riferimento per ritenere, a contrario, che incarichi di durata pari o superiore - come nella specie - a tre anni giustificano un trattamento di buonuscita ragguagliato all'ultima retribuzione percepita. Un'interpretazione diversa, che poggia sulla prevalenza della qualificazione della fattispecie astratta della reggenza, connotata dai requisiti di provvisorietà e precarietà, rispetto al contenuto concreto del rapporto giuridico, non farebbe altro, ad avviso del ricorrente, che condurre a esiti pesantemente discriminatori nel trattamento di situazioni simili, in palese violazione del principio costituzionale di uguaglianza in senso sostanziale. 5. Non ritiene questa Corte che le superiori deduzioni possano condurre ad una soluzione diversa da quella adottata dalle Sezioni Unite cfr. art. 374, comma 3, cod. proc. civ. . 5.1. È innanzitutto irrilevante che lo svolgimento delle superiori mansioni nella specie è avvenuto in base ad un formale provvedimento di incarico. Si tratta, infatti, pur sempre, di un incarico di reggenza affidato ad un funzionario che non riveste la qualifica dirigenziale e che è nettamente distinto dall'incarico di dirigente vero e proprio il primo cessa alla scadenza del periodo di reggenza, che può essere più o meno lungo il dirigente mantiene definitivamente la qualifica una volta superato il concorso. Ed è tale distinzione che giustifica il diverso trattamento ai fini della liquidazione dell'indennità in questione. Il dipendente che svolge mansioni superiori conserva la qualifica di appartenenza, con la conseguenza che l'indennità di buonuscita non può che essere commisurata al trattamento retributivo previsto per tale qualifica. Ed è per questo che l'art. 3 del D.P.R. citato fa riferimento all'ultimo stipendio percepito e non già al trattamento economico da ultimo provvisoriamente corrisposto, posto che, diversamente, il sistema si presterebbe a speculazioni ed a calcoli opportunistici si pensi all'ipotesi in cui l'incarico di reggenza venga conferito poco prima che il dipendente venga collocato a riposo, con la conseguenza che la buonuscita dovrebbe essere calcolata sulla base dell'ultima retribuzione percepita . 5.2. Quanto alla modifica, richiamata dal ricorrente a sostegno della propria pretesa, dell'art. 19 D. Lgs. n. 165/01 introdotta dall'art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148/11, va osservato quanto segue. L'art. 40 D.Lgs. n. 150/09 c.d. riforma Brunetta ha modificato l'art. 19 D.Lgs. n. 165/01 Incarichi di funzioni dirigenziali , inserendo al comma 2 di tale articolo, dopo il secondo periodo, il seguente La durata dell'incarico può essere inferiore a tre anni se coincide con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell'interessato . Alla fine dello stesso comma, ha poi inserito il seguente periodo In caso di primo conferimento ad un dirigente della seconda fascia di incarichi di uffici dirigenziali generali o di funzioni equiparate, la durata sell'incarico è pari a tre anni. Resta fermo che per i dipendenti statali titolari di incarichi di funzioni dirigenziali ai sensi del presente articolo, ai fini dell'applicazione dell'art. 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e successive modificazioni, l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita in relazione all'incarico svolto . Il suddetto art. 19, comma 2, è stato altresì modificato dall'art. 1, comma 32, D.L. n. 138/11, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148/11, nei seguenti termini All'art. 19, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in fine, è aggiunto il seguente periodo Nell'ipotesi prevista dal terzo periodo del presente comma, ai fini della liquidazione del trattamento di fine servizio, comunque denominato, nonché dell'applicazione dell'art. 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e successive modificazioni, l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni . Come si evince dal tenore di dette disposizioni, il legislatore, con riguardo ai dipendenti statali titolari di incarichi dirigenziali, ha disposto che, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza ex art. 43 cit., l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita in relazione all'incarico svolto, mentre, nell'ipotesi di incarico inferiore a tre anni perché coincidente con il conseguimento del limite di età per il collocamento a riposo dell'interessato terzo periodo del secondo comma , il legislatore ha stabilito che l'ultimo stipendio va individuato nell'ultima retribuzione percepita prima del conferimento dell'incarico avente durata inferiore a tre anni, norma questa palesemente diretta ad evitare ogni forma di speculazione. Orbene, la disposizione di cui al D. Lgs. n. 150/09, art. 40 - che qui rileva - non è applicabile nella fattispecie in esame, essendo stato il M. collocato in quiescenza a decorrere dal 1 gennaio 2003. Né dalla introduzione di tale norma possono trarsi elementi per ritenere che le disposizioni in tema di indennità di buonuscita dei dipendenti che svolgono funzioni di reggenza debbano essere interpretate nel senso auspicato dal ricorrente. L'art. 43 D.P.R. n. 1092/73, richiamato dalla novella di cui al D.Lgs. n. 150/09, nell'indicare le voci retributive costituenti la base pensionabile le stesse di cui all'art. 38 D.P.R. n. 1032/73, aumentate del 18 per cento ai fini della determinazione del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili dello Stato, ha disposto, nell'ultimo comma, che ai fini anzidetti, nessun altro assegno o indennità, anche se pensionabile, possono essere considerati se la relativa disposizione di legge non ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile . In coerenza con la norma anzidetta, il legislatore, con la disposizione innovativa di cui al D. Lgs. n. 150/09, art. 40, sopra indicata, ha individuato, ai fini della base di calcolo del trattamento di quiescenza dei dipendenti statali titolari di incarichi dirigenziali, l’” ultimo stipendio nell’” ultima retribuzione percepita in relazione all'incarico svolto . Ma, come già evidenziato, tale disposizione è qui inapplicabile ratione temporis . Ne consegue che anche i rilievi posti dal ricorrente con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. sono privi di fondamento. 6. Manifestamente infondata è la questione di costituzionalità che il ricorrente ha posto con riferimento all'art. 3 Cost., nell'ipotesi in cui l'interpretazione delle disposizioni in esame, prospettata dal medesimo, fosse stata disattesa. La lesione del principio di uguaglianza presuppone infatti sperequazioni e/o disparità di trattamento in presenza di situazioni uguali, evenienza questa non ricorrente nella specie posto che la posizione di chi svolge un incarico dirigenziale per effetto della reggenza e quella di chi riveste una qualifica dirigenziale è, ai fini per cui è controversia, diversa per le ragioni sopra evidenziate. 7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. 8. Il contrasto giurisprudenziale sopra richiamato giustifica la compensazione delle spese tra le parti costituite. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, rimasto intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti costituite. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze.