Licenziamento illegittimo: sì alle 5 mensilità, no all’indennità risarcitoria

In tema di conseguenze patrimoniali del licenziamento illegittimo, l’importo pari a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto, previsto dall’art. 18 Statuto lav., rappresenta una parte irriducibile della obbligazione risarcitoria complessiva, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione detto importo minimo è dovuto anche quando la reintegra intervenga a meno di 5 mesi dal licenziamento invalido, dovendosi escludere, in ogni caso, che la stessa sia cumulabile all’indennità risarcitoria.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 22050, depositata il 17 ottobre 2014. Il caso. Accertata l’illegittimità del licenziamento, il Tribunale ordinava la reintegrazione del lavoratore alle dipendenze della società per cui aveva lavorato, disponendo altresì il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra, in misura comunque non inferiore alle 5 mensilità. Il lavoratore, dopo essere stato reintegrato, promuoveva azione esecutiva per le retribuzioni che gli spettavano. Il datore di lavoro si opponeva al decreto ingiuntivo e con domanda riconvenzionale chiedeva la restituzione delle somme percepite dal lavoratore in sede esecutiva in quanto indebite. Il Tribunale rigettava l’opposizione e accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale condannando il lavoratore al pagamento di una somma a favore del datore. La Corte d’appello confermava la decisione di primo grado. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che al lavoratore, licenziato illegittimamente e reintegrato dopo 3 mesi, competevano 5 mensilità retributive, essendo queste irriducibili tuttavia, non gli competevano anche le retribuzioni dal licenziamento alla reintegra né quelle dall’ordinanza cautelare alla reintegra. Per tali motivi i Giudici di seconde cure avevano revocato il decreto. Ricorreva allora in Cassazione il lavoratore, che denunciava l’impugnata sentenza per aver omesso pronuncia su un fatto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Statuto lav., per aver escluso la cumulabilità delle 5 mensilità retributive alle retribuzioni comunque spettanti per il periodo dal licenziamento alla reintegra effettiva, nonostante la natura risarcitoria delle prime e retributive delle seconde. Da distinguere le mensilità irriducibili per licenziamento illegittimo e l’indennità risarcitoria. Il motivo è infondato. Difatti, spiega la Cassazione che la decisione impugnata è del tutto in linea con il principio affermatosi in sede di legittimità in base al quale in tema di conseguenza patrimoniali del licenziamento illegittimo, l’importo pari a 5 mensilità della retribuzione globale di fatto previsto dal comma quinto dell’art. 18 della legge numero 300 del 1970 rappresenta una parte irriducibile della obbligazione risarcitoria complessiva conseguente all’illegittimo licenziamento, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione ne consegue che detto importo minimo è dovuto anche ove la reintegra intervenga a meno di 5 mesi dal licenziamento invalido, dovendosi escludere, in ogni caso, che la stessa sia cumulabile all’indennità risarcitoria Cass., numero 19770/2009 . Sulla base di tali argomenti la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 luglio – 17 ottobre 2014, n. 22050 Presidente Vidiri – Relatore Buffa Svolgimento del processo 1. Con ordinanza cautelare del 22.7.08, poi confermata con ordinanza collegiale del 19.8.08, il tribunale di Pinerolo, accertava l'illegittimità del licenziamento di G.R. e ne ordinava l'immediata reintegrazione alle dipendenze della Arcese trasporti, disponendo altresì il pagamento di tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra, in misura comunque non inferiore alle cinque mensilità. 2. Il lavoratore veniva reintegrato con decorrenza dal 5.9.08 e riceveva — con bonifico della società datrice di lavoro - pagamento delle cinque mensilità per importo - portato da busta paga del settembre 2008 - pari ad Euro 3579,36 netti nelle more, promuoveva azione esecutiva presso terzi all'esito della quale, innanzi al tribunale di Rovereto, veniva assegnato in suo favore l'importo lordo di Euro 10.563,84, parte delle quali a titolo delle cinque mensilità otteneva quindi successivamente dal suddetto tribunale decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 2.075,41, a titolo di retribuzioni da luglio al 4 settembre. 3. Avverso tale decreto ingiuntivo il datore di lavoro proponeva opposizione, con domanda riconvenzionale per la restituzione delle somme percepite in sede esecutiva in quanto indebite o, in subordine, con compensazione del relativo credito con l'importo del decreto ingiuntivo. 4. Con sentenza 30.6.09, il tribunale rigettava l'opposizione a decreto ingiuntivo e, in parziale accoglimento della riconvenzionale, condannava il lavoratore al pagamento della somma di Euro 3.579,36, oltre interessi legali dalla domanda compensava per metà le spese di lite, ponendo la metà restante a carico dell'opponente. 5. Con sentenza dell'8.6.11, la Corte d'appello di Torino revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava il lavoratore a restituire all'appellante Euro 3.614,02 pari all'importo precettato , oltre interessi dalla data del pagamento, nonché condannava lo stesso a pagare gli interessi sulla somma di Euro 3.579,36 dalla data del pagamento indebito e a rimborsare al datore gli oneri fiscali su detta somma condannava infine il lavoratore a rimborsare all'appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio. 6. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che al lavoratore - licenziato illegittimamente e reintegrato dopo tre mesi - competevano cinque mensilità retributive, essendo queste irriducibili, ma non anche le retribuzioni dal licenziamento alla reintegra né quelle dall'ordinanza cautelare alla reintegra, sicché il decreto ingiuntivo andava revocato la sentenza rilevava che il debito per le cinque mensilità era stato pagato due volte, dapprima con bonifico e quindi all'esito della procedura esecutiva, sicché al datore competeva la restituzione delle somme relative, per complessivi Euro 3.579,36 aggiungeva che tali somme andavano maggiorate degli interessi legali dalla data del pagamento e non dalla data della domanda, come ritenuto dal giudice di primo grado , attesa la mala fede del percipiente le somme indebite, nonché degli oneri fiscali su detta somma. 7. Ricorre avverso tale sentenza il lavoratore, per tre motivi. Resiste il datore di lavoro con controricorso, illustrato da memoria. Motivi della decisione 8. Con il primo motivo di ricorso, si deduce omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 18 co. 4 Stat. lav., per avere la sentenza escluso la cumulabilità delle 5 mensilità retributive alle retribuzioni comunque spettanti per il periodo dal licenziamento o quantomeno dalla data dell'ordinanza reintegratoria, che dispone la reintegra immediata alla reintegra effettiva, nonostante la natura risarcitoria di penale delle prime e retributive delle seconde. 9. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., per avere la sentenza ridefinito l'impugnazione della parte, colmandone le lacune, e condannando il lavoratore al pagamento degli oneri fiscali sulle somme restituende, senza che sia stato specificato quale importo sia stato versato all'erario e su quali somme. 10. Con il terzo motivo, si deduce omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2041, 2042 cod. civ., e 487, 615,617, 618 bis cod. proc. civ., per avere la sentenza disposto la ripetizione di somme oggetto di assegnazione definitiva da parte del giudice dell'esecuzione, pur essendo irrevocabile il relativo provvedimento, per avere la sentenza condannato il ricorrente a pagare gli interessi dalla data di pagamento delle somme indebitamene ricevute e, infine, per avere accertato l'obbligo del ricorrente di rimborsare le somme corrispondenti agli oneri fiscali ritenuti dal datore sulla busta paga sebbene tali somme attengano a rapporti del datore con l'erario . 11. Il primo motivo di ricorso è infondato. La decisione impugnata è infatti in linea con il principio affermato ripetutamente da questa Corte Sez. L, Sentenza n. 19770 del 14/09/2009 Sez. L, Sentenza n. 1950 del 27/01/2011 Sez. L, Sentenza n. 12163 del 01/12/1997 Sez. L, Sentenza n. 11152 del 11/06/2004 , cui va data continuità, secondo il quale, in tema di conseguenze patrimoniali del licenziamento illegittimo, l'importo pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto previsto dal comma quinto dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 rappresenta una parte irriducibile della obbligazione risarcitoria complessiva conseguente all'illegittimo licenziamento, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione ne consegue che detto importo minimo è dovuto anche ove la reintegra intervenga a meno di cinque mesi dal licenziamento invalido, dovendosi escludere, in ogni caso, che la stessa sia cumulabile all'indennità risarcitoria. 12. Il secondo motivo è inammissibile. La censura relativa all'ultrapetizione è inammissibile per difetto di autosufficienza, atteso che il ricorrente non riproduce nel ricorso il contenuto dell'atto dell'appello principale del quale lamenta la contraddittorietà, e l'esame del quale è essenziale per verificare se lo stesso sia stato accolto parzialmente dalla corte territoriale, senza riformulare arbitrariamente l'oggetto della domanda dell'appellante, come asserito dal ricorrente. In ogni caso, la questione è inammissibile in quanto non prospettata ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., e non consente pertanto a questa Corte di accedere agli atti processuali per verificarne la fondatezza infatti, l'ultrapetizione, quale vizio della sentenza, deve essere fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. solo la deduzione di un vizio ai sensi dell'art. 360, n. 4, cod. proc. civ., invero, consentirebbe al collegio di prendere in esame gli atti del processo di merito e verificare la sussistenza o meno del denunciato vizio tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 19484 del 23/09/2011 Sez. 3, Sentenza n. 3190 del 14/02/2006 . 13. Il terzo motivo, articolato in una pluralità di censure eterogenee, è infondato nella parte in cui pretende di derivare dall'irrevocabilità del provvedimento di assegnazione delle somme in fase esecutiva l'inammissibilità di un'eventuale successiva azione di ripetizione dell'indebito. Invero, questa Corte ha già affermato Sez. L, Sentenza n. 6788 del 19/03/2013 Sez. L, Sentenza n. 11404 del 18/05/2009 che l'ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell'art. 553 cod. proc. civ., e non opposta, non è idonea ad acquisire valore di cosa giudicata, in quanto il giudice dell'esecuzione non risolve una controversia nei modi della cognizione, ma il suo accertamento si esaurisce nell'ambito del processo esecutivo. 14. Il motivo è poi inammissibile nella parte in cui pretenderebbe di escludere la mala fede dell’ acapiens con riferimento alle somme indebitamente corrispostegli in particolare, si tratta di somme corrisposte due volte allo stesso titolo ed il lavoratore, che già aveva ricevuto il bonifico dal datore il 2.10.08, non ha fatto constare la circostanza in sede di assegnazione delle somme avanti al giudice dell'esecuzione all'udienza del 22.10.08 , in quanto il ricorrente sostanzialmente chiede una rivisitazione delle risultanze processuali e del merito della questione che è preclusa in sede di legittimità. 15. Il motivo è, infine, infondato nella parte in cui si lamenta che la sentenza abbia accertato l'obbligo del ricorrente di rimborsare le somme corrispondenti agli oneri fiscali sulle somme indebitamente corrisposte. Dalla stessa sentenza impugnata, infatti, risulta che mentre le somme relative alla cinque mensilità contenute in busta paga sono state corrisposte al netto, previe ritenute da parte del datore, non così è avvenuto per le somme corrisposte - allo stesso titolo, come si è visto - all'esito della procedura esecutiva, che sono state versate al lordo. L'obbligo restitutorio del lavoratore non può che riguardare le somme indebitamente ricevute nel medesimo importo ricevuto, e dunque comprensivo del carico fiscale, come correttamente affermato nella sentenza di appello. 16. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per spese, ed oltre accessori come per legge.