Anche per gli ultrasessantacinquenni l’indennità spetta solo se ricorrono le limitazioni previste dalla norma per godere del beneficio

Le condizioni previste dall'art. 1 l. n. 18/1980 come modificato dall'art. 1, comma 2, l. n. 508/1988 per l'attribuzione dell'indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza. Ai fini della valutazione non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilità. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiché l'art. 6 d.lgs. n. 509/1988 che ha aggiunto il comma 3 all'art. 2, l. n. 118/1971 , lungi dal configurare un'autonoma ipotesi di attribuzione dell'indennità, pone solo le condizioni perché detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi - in analogia a quanto disposto per i minori di anni 18 dall'art. 2, comma 2, l. n. 118/1971 nel testo originario - non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacità lavorativa.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20825, depositata il 2 ottobre 2014. La vicenda domanda di riconoscimento di indennità di accompagnamento in soggetto ultrasessantacinquenne, negata dall’Inps per mancanza dei requisiti di limitazione richiesti dalla normativa. Un soggetto ultrasessantacinquenne, con difficoltà permanenti a compiere atti ordinari della vita, in rapporto all’età, chiedeva la concessione dell’indennità di accompagnamento. Negata in via amministrativa, si rivolgeva al Tribunale del lavoro. Disposta ctu, veniva accertata una invalidità al 100% ma escluso che il richiedente fosse incapace di deambulare autonomamente senza il costante aiuto altrui e di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita. Su queste basi il primo giudice riconobbe il diritto azionato. Proposto appello l’Inps, la Corte d’Appello, accogliendo il gravame, rigettò la domanda, affermando che i requisiti richiesti dalla norma invocata dovevano sussistere anche per i soggetti ultrasessantacinquenni. Proponeva così ricorso in Cassazione il richiedente l’indennità. L’indennità di accompagnamento ex l. n. 18/1980. La vicenda trae origine dalla richiesta di un soggetto ultrasessantacinquenne, ritenuto invalido al 100%, di godere del beneficio dell’indennità di accompagnamento prevista dall’art. 1 l. n. 18/1980. La norma così prevede Ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 , nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste dall' art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di un'assistenza continua, è concessa un'indennità di accompagnamento, non reversibile, al solo titolo della minorazione, a totale carico dello Stato . Il requisito di dipendenza dall’altrui ausilio Il ricorrente censura la decisione del giudice d’appello, ritenendo che non siano richiesti i requisiti di incapacità a deambulare o attendere gli atti quotidiani della vita senza assistenza altrui, nei soggetti ultrasessantacinquenni. Invoca a tal proposito una pronuncia della Suprema Corte, la n. 4904/2001, che aveva affermato che ai fini dell'indennità di accompagnamento, si considerano mutilati e invalidi gli ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età . E di conseguenza, prosegue la massima citata, per gli stessi soggetti non è richiesto il presupposto della totale inabilità, essendo inutile richiedere la totale inabilità al lavoro a soggetti che, per l'avvenuto raggiungimento dell'età pensionabile, non hanno necessità di espletare un'attività lavorativa . necessario anche nei soggetti ultrasessantacinquenni. Secondo la Corte di Cassazione il motivo proposto è infondato. Correttamente la Corte d’Appello aveva escluso il diritto a godere del beneficio richiesto, ritenendo che l’art. 6 d.lgs. n. 509/1988 era intervenuto non sulla normativa in materia di indennità di accompagnamento, ma su quella di invalidità civile, apportando una modifica per i soggetti ultrasessantacinquenni, in considerazione del fatto che, rientrando essi nella sfera della pensione di vecchiaia, non poteva più parlarsi di capacità lavorativa, dovendo quindi considerarsi mutilati ed invalidi coloro che avessero difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età. E dunque il requisito sostituito dalla norma non era quello dell’incapacità a deambulare, che rimaneva inalterato, bensì quello della incapacità lavorativa. Pertanto, secondo i giudici di legittimità, affinché sorga il diritto all’indennità di accompagnamento sono richiesti il requisito delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età, alternativo all’incapacità lavorativa, per i soggetti di età inferiore a sessantacinque anni il requisito della impossibilità alla deambulazione o all’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita, richiesto per tutti i soggetti, indipendentemente dall’età.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 luglio – 2 ottobre 2014, n. 20825 Presidente Stile – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 10.7.2007, la Corte di appello di Bari accoglieva il gravame dell'INPS ed, in riforma dell'impugnata decisione, rigettava la domanda proposta da U.G. intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto di esso istante a percepire l'indennità di accompagnamento richiesta in sede amministrativa il 15 gennaio 2001 ed al pagamento dei corrispondenti ratei. Rilevava che il CTU aveva accertato, al pari della Commissione Medica, una invalidità del 100% in ultrasessantacinquenne con difficoltà persistenti a compiere gli atti e le funzioni della sua età e che tale condizione era presente sin dall'epoca della presentazione dell'istanza, ma aveva escluso che il periziato fosse incapace di deambulare autonomamente, senza il costante aiuto altrui, e di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita, sicché correttamente il primo giudice aveva escluso il riconoscimento del beneficio per il quale era richiesto, anche per gli ultrasessantacinquenni, a prescindere dall'età, che essi non fossero in grado di deambulare e di attendere autonomamente agli atti quotidiani di vita. Osservava la Corte che l'indennità di accompagnamento era disciplinata dalla legge n. 18/80, che prescriveva i due requisiti menzionati, e che l'art. 6 del d. lgs. 509/88 non era intervenuto su quella normativa, bensì sull'altra che regolava l'invalidità civile, apportando una modifica con riferimento ai soggetti ultrasessantacinquenni, in considerazione del fatto che chi aveva più di 65 anni rientrava nell'area della pensione di vecchiaia, per cui non poteva per esso parlarsi di capacità lavorativa, e dovendo, nell'ambito di tale categoria di assistiti, considerarsi mutilati ed invalidi coloro che avessero difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, analogamente che per i minori di 18 anni. Per tali soggetti il legislatore aveva sostituto il requisito della incapacità lavorativa con quello, più appropriato, della difficoltà suddetta e pertanto il requisito sostituito non era quello della incapacità di deambulare o di svolgere gli atti quotidiani, che rimaneva inalterato e necessario anche per la indicata categoria di assistiti. Per la cassazione di tale decisione, ricorre l'U. , affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resiste l'INPS, con controricorso. Il Ministero dell'Economia e Finanze e la Regione Puglia sono rimasti intimati. Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione dell'art. 360, n. 4, c.p.c. e degli artt. 101, 102, 331 e 332 c.p.c., sostenendo che l'appello non era stato proposto nei confronti della Regione Puglia, parte processuale nel giudizio assistenziale, e che il ricorso dovesse essere proposto nei confronti di tutte le parti che avevano partecipato al giudizio di primo grado, in caso negativo dovendo essere disposta l'integrazione del contraddittorio ai sensi del'art. 331 c.p.c., ovvero dell'art. 332 c.p.c Con il secondo motivo, l'U. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 360, nn. 4 e 5, e 100 c.p.c., osservando che non è stato gravato di appello il capo della decisione con il quale il giudice di primo grado aveva rilevato che l'azione era di mero accertamento delle condizioni sanitarie legittimanti la concessione dei benefici nei confronti del Ministero e di condanna nei confronti dell'INPS, sicché la concessione del beneficio assistenziale riguardava il solo Ministero, unico legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, non potendo agire l'INPS nella qualità di mero ente erogatore, con la conseguenza che il gravame proposto dall'istituto doveva essere dichiarato inammissibile. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., della legge 18/80, dell'art. 6 d. lgs. 509/88, dell'art. 2 l. 118/1971, richiamando Cass. n. 4904/2001 per sostenere che non sia richiesta per gli ultra 65nni la totale incapacità di attendere alle funzioni della loro età. Rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha affermato l’assistito non possedeva il requisito delle difficoltà persistenti a svolgere le funzioni della propria età, accertato, invece, dal C.t.u Il ricorso è infondato. Quanto al primo motivo, non è dato comprendere quale sia l'interesse dell'assistito a dolersi della mancata integrazione del contraddittorio, nel secondo grado di giudizio, nei confronti della Regione Puglia, dichiarata dal primo giudice carente di legittimazione passiva, posto che la parte che ha sollevato nella presente sede la relativa questione non ha specificato in che termini era stata proposta la domanda, ossia se la richiesta di condanna era cumulativa, ovvero alternativa nei confronti dei soggetti convenuti in giudizio. L'INPS, che ha proposto gravame per la questione relativa all'insussistenza dei requisiti per la concessione del beneficio assistenziale richiesto, ha omesso di formulare censure sulla specifica questione della legittimazione, risolta nel senso dell'esclusione della legittimazione della Regione era onere dell'assistito, pertanto, specificare il proprio interesse ad ottenere la condanna di quest'ultima. Peraltro, nel caso di domanda proposta alternativamente nei confronti di due diversi convenuti, che venga accolta nei confronti di uno solo di questi ultimi e rigettata nei confronti dell'altro, l'appello del soccombente non basta a devolvere al giudice dell'impugnazione anche la cognizione circa la pretesa dell'attore nei confronti del convenuto alternativo, posto che l'unicità del rapporto sostanziale, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate - pur nell'unità del petitum - dalla diversità dei soggetti convenuti personae e, in parte, dei fatti e degli argomenti di sostegno causae petendi in relazione alla suddetta pretesa, pertanto, l'attore-appellato ha l'onere di riproporre la domanda già formulata in primo grado, ai sensi dell'art. 346 cod. proc. civ. cfr. Cass. 23.12.2011, n. 28711, Cass. 7.1.2009, n. 65 . Non risulta nella specie specificato, in ottemperanza anche al principio di autosufficienza, oltre che ai fini della valutazione della connotazione di novità della questione, se tale riproposizione sia avvenuta nel giudizio di gravame. Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo alla legittimazione, questa Suprema Corte ha rilevato Cass. sez. lav., 9.7.2007 n. 15333 Cass. 7.1.2009 n. 65, Cass. 25.3.2009 n. 7205 che, con riferimento alla domanda giudiziale per il conseguimento di prestazione assistenziale nel caso esaminato, proposta prima del 1 gennaio 2005 - data di entrata in vigore del d.l. 269/03 - e successivamente al 13 settembre 1998, come nella presente controversia , la legittimazione passiva a stare in giudizio spetta in via esclusiva all'INPS quale ente erogatore della prestazione, dovendosi escludere la legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'ente regionale e dell'ente comunale. In particolare, ha di recente evidenziato questa Corte che, quanto ai Ministeri dell'Economia e Finanze e dell'Interno, la legittimazione passiva di quest'ultimo va ormai esclusa, mentre, quanto al primo, provvede la disposizione di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, convenuto nella L. 24 novembre 2003, n. 3262, non applicabile, tuttavia, nel caso di specie, ratione temporis. Si prevede, infatti, che gli atti, con i quali si da inizio ai procedimenti giurisdizionali concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati anche al Ministero dell'Economia e delle Finanze, il quale è litisconsorte necessario ai sensi dell'art. 102 c.p.c È già stato escluso dalla giurisprudenza di questa Corte che questa disposizione sia applicabile ai giudizi già in corso alla data di entrata in vigore della legge. La presenza del Ministero dell'Economia viene, quindi, prevista come necessaria, anche se nei suoi confronti non venga spiegata alcuna domanda, essendo stata ritenuta opportuna per l'accertamento dello stato invalidante. La presenza in giudizio del suddetto Ministero necessaria e resa più incisiva dal suo intervento in sede di accertamento peritale si giustifica altresì con il venir meno, a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, dei ricorsi amministrativi avverso i provvedimenti in materia di invalidità civile, come dispone il citato art. 42, comma 3, il quale introduce altresì, e per la prima volta, un termine di decadenza per proporre la domanda giudiziale. Va precisato che l'efficacia delle disposizioni di cui al comma 3, inizialmente fissata dal comma 3 alla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, e cioè al 2 ottobre 2003, è stata differita al 31 dicembre 2004 dal di 24 dicembre 2003 n. 355, art. 23, convenuto nella L. 27 febbraio 2004 n. 47 cfr. Cass. 3.4.2008, n. 8654 in senso conforme, Cass. 13.6.2008, n. 16047 . Pertanto, in relazione alla domanda di concessione dell'indennità di accompagnamento, va ritenuta la legittimazione passiva esclusiva dell'INPS, essendo stata la domanda giudiziale proposta nel suddetto intervallo temporale, ossia prima del 31.12.2004. Il terzo motivo è inconferente, in quanto, oltre al requisito delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età, alternativo all'incapacità al lavoro dei soggetto infrasessantacinquenni, è richiesta la sussistenza o di una impossibilità di deambulazione o l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita. Le condizioni previste dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 nel testo modificato dall'art. 1, comma secondo, della legge 21 novembre 1988, n. 508 per l'attribuzione dell'indennità di accompagnamento consistono, alternativamente, nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita senza continua assistenza ai fini della valutazione non rilevano episodici contesti, ma è richiesta la verifica della loro inerenza costante al soggetto, non in rapporto ad una soltanto delle possibili esplicazioni del vivere quotidiano, ovvero della necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, rilevando, quindi, requisiti diversi e più rigorosi della semplice difficoltà di deambulazione o di compimento degli atti della vita quotidiana e configuranti impossibilità. Tali requisiti sono richiesti anche per gli ultrasessantacinquenni, poiché l'art. 6 del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509 che ha aggiunto il terzo comma all'art. 2, della legge 30 marzo 1971, n. 118 , lungi dal configurare un'autonoma ipotesi di attribuzione dell'indennità, pone solo le condizioni perché detti soggetti siano considerati mutilati o invalidi - in analogia a quanto disposto per i minori di anni diciotto dall'art. 2, comma secondo, della legge n. 118 del 1971 nel testo originario - non potendosi, per entrambe le categorie, far riferimento alla riduzione della capacità lavorativa cfr. Cass. 28.5.2009 n. 12521 . Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate nei confronti dell'INPS, tenuto conto dell'orientamento giurisprudenziale difforme cui si era richiamato il giudice di primo grado quanto ai requisiti richiesti per il beneficio in favore di soggetti ultrasessantacinquenni e del difforme esito anche dei giudizi di merito di primo e secondo grado. Nulla va disposto nei confronti delle parti rimaste intimate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa nei confronti dell'INPS le spese del presente giudizio. Nulla nei confronti delle parti rimaste intimate.