Quando il datore di lavoro è estraneo al licenziamento del suo lavoratore

Il lavoratore, a seguito di recesso intimato in conseguenza dell’accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza come il rilascio del tesserino di accesso nell’area aeroportuale riservato all’Enac , non può chiedere al datore di lavoro la reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 l. n. 300/1970.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19613, depositata il 17 settembre 2014. Il caso. La Corte di Appello, con sentenza, rigettava l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale con la quale era stato rigettato il ricorso dello stesso, nei confronti della società Aeroporti di Roma, volto alla declaratoria di illegittimità della sospensione del rapporto di lavoro e del successivo recesso, con condanna della società Aeroporti alla reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 l. n. 300/1970. La Corte territoriale ricordava che il lavoratore era stato sospeso dal rapporto di lavoro e poi licenziato per impossibilità sopravvenuta della prestazione, in conseguenza del provvedimento di sospensione adottato dall’Enac della tessera di accesso all’area aeroportuale a seguito dell’avvio di procedimento penale per il reato di furto. Per la cassazione di tale decisione proponeva ricorso il lavoratore. Impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione. Il recesso di cui è causa risulta essere intimato per impossibilità sopravvenuta alla prestazione, dopo una sospensione del rapporto di lavoro di circa un anno in conseguenza del provvedimento adottato dall’Enac che aveva sospeso la validità delle tessere di accesso all’area aeroportuale in possesso del lavoratore, documento essenziale per lo svolgimento dell’attività lavorativa dello stesso. Non si tratta, pertanto, di un licenziamento disciplinare ma di un recesso intimato in conseguenza dell’accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza, come il rilascio del tesserino di accesso nell’area aeroportuale riservato, anche per ragioni di sicurezza pubblica, all’Enac. Il comportamento del datore di lavoro. Il provvedimento di sospensione del tesserino era del tutto estraneo alla potestà decisionale del datore di lavoro, che in nessun caso avrebbe potuto influire sull’iter di eventuale restituzione. La Corte territoriale ha anche valutato la correttezza del comportamento tenuto dal datore di lavoro che risulta aver atteso un anno prima di procedere al recesso, un periodo di tempo congruo e ragionevolmente lungo secondo una valutazione ex ante di esso e cioè sulla base delle circostanze conosciute, alla stregua di una consolidata giurisprudenza di legittimità Cass., n. 11753/11, n. 5718/09, n. 1591/04 . Per questi motivi la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 luglio– 17 settembre 2014, n. 19613 Presidente Macioce– Relatore Bronzini Svolgimento del processo La Corte di appello di Roma con sentenza del 24.1.2011 rigettava l'appello proposto da F.E. avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia con la quale era stato rigettato il ricorso del F., nei confronti della società Aeroporti di Roma, volto alla declaratoria di illegittimità della sospensione del rapporto di lavoro del 20.12.2002 e del successivo recesso del 12.1.2004 con condanna della società Aeroporti di Roma alla reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 L. n. 300/1970. La Corte territoriale ricordava che il F. era stato sospeso dal rapporto di lavoro e poi licenziato per impossibilità sopravvenuta della prestazione in conseguenza del provvedimento di sospensione adottato dall'Enac il 17.12.2002 della tessera di accesso all'area aeroportuale a seguito dell'avvio di procedimento penale per il reato di furto. La società aveva tempestivamente comunicato che il tesserino costituiva documento indispensabile per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La sopravvenuta impossibilità della prestazione era stata valutata ex ante in riferimento alle circostanze conosciute dal datore di lavoro il provvedimento di archiviazione nei confronti del F. non essendo emersa la prova della provenienza delittuosa della merce era del 27.12.2003 , ma il datore di lavoro si era determinato al recesso prima di essere venuto a conoscenza dell'archiviazione e sulla base di quanto effettivamente comunicato sino a quel momento in ordine al comportamento tenuto dal lavoratore, sicché nessuna censura poteva muoversi alla valutazione del datore di lavoro compiuta sulla base delle circostanze di fatto conosciute che aveva atteso oltre un anno prima di provvedere al recesso, informato solo dopo la risoluzione del contratto come detto del provvedimento giudiziario favorevole al lavoratore. II periodo di sospensione appariva peraltro congruo e ragionevole e non era emersa la possibilità di adìbizione dell'appell nte a mansioni che non implicassero il possesso del tesserino aeroportuale, come dichiarato dai testi nel settore pulizia e manutenzione non vi erano posti disponibili con la qualifica e l'inquadramento del F. . Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il F. con un motivo resiste con controricorso la società Aeroporti di Roma che ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 C.P.C. Motivi della decisione Con il motivo proposto si allega la violazione e/o falsa applicazione di legge e omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato in relazione agli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, 1464 c.c., 1 e 3 1. n. 604/66, 1175 e 1375 c.c. e art. 4 della Costituzione. II motivo appare inammissibile con conseguente inammissibilità del ricorso, Giova ricordare che il recesso di cui è causa risulta intimato ner impossibilità sopravvenuta della prestazione, dopo una sospensione del rapporto di lavordrcirca un anno in conseguenza del provvedimento adottato dall'Enac che aveva sospeso la validità delle tessera di accesso all'area aeroportuale in possesso del lavoratore in conseguenza di un accertamento penale ai danni del F. per il resto di furto , documento essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa come comunicato immediatamente al lavoratore dalla società Aeroporti di Roma. Non si tratta, pertanto, di un licenziamento disciplinare ma di un recesso intimato in conseguenza dell'accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza come il rilascio del tesserino di accesso nell'area aeroportuale riservato, anche per ragioni di sicurezza pubblica, all'Enac. Pertanto le deduzioni di cui al ricorso in ordine al merito della vicenda, oggetto di procedimento penale, sono del tutto estranee al thema decidendum, in quanto il provvedimento -come detto di sospensione del tesserino era estraneo alla potestà decisionale del datore di lavoro che in nessun caso avrebbe potuto influire sull'iter di eventuale restituzione. La Corte di appello ha anche valutato la correttezza del comportamento tenuto dal datore di lavoro che risulta aver atteso un anno prima di procedere al recesso, un periodo di tempo congruo e ragionevolmente lungo secondo una valutazione ex ante di esso e cioè sulla base delle circostanze conosciute, alla stregua di una consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr. in particolare cass. n. 11753/2011 cass. n. 5718/2009, n. 1591/2004 . La Corte territoriale ha già accertato che il provvedimento di archiviazione è stato comunicato alla società dopo il recesso, provvedimento intervenuto dopo un periodo di sospensione del tutto congruo, come già detto. Parte ricorrente sembra suggerire che il datore di lavoro avrebbe dovuto valutare la consistenza delle accuse, la mancata confessione ed altri elementi di merito ma si tratta di censure inammissibili perché il datore di lavoro di certo non poteva sostituirsi all'Enac ed all'autorità giudiziaria in ordine alla restituzione del tesserino. Inoltre sembra suggerirsi che, al momento del recesso, il datore di lavoro conoscesse almeno la richiesta di archiviazione del PM, ma di tale circostanza non viene, inammissibilmente, offerto alcun riscontro, anche a voler ammettere che dopo un anno di attesa il datore di lavoro fosse tenuto ad aspettare ulteriormente la conclusione di un procedimento penale, ancora nella fase delle richieste del PM. Per quanto riguarda la motivazione della sentenza impugnata la stessa appare congrua e logicamente coerente e conforme alla giurisprudenza di questa Corte che già nella decisione n. 01591/2004 in relazione a fattispecie simile a quella oggetto del presente procedimento ritiro del tesserino di accesso alla zona aeroportuale ha affermato il principio per cui non è ammissibile un obbligo del datore di lavoro di mantenere sine die il posto di lavoro al dipendente assente , per cui rilievo decisivo deve essere attribuito alla prevedibilità ex ante e valutata in base alle circostanze effettivamente conosciute dal datore di lavoro di una pronta restituzione del tesserino al dipendente peraltro conseguenza neppure certa in base al mero proscioglimento in sede penale e conseguentemente del venir meno, in tempi ragionevolmente brevi, della causa ostativa allo svolgimento della prestazione oggetto del contratto. Le censure appaiono, quindi, di merito, dirette ad una rivalutazione del fatto, inammissibile in questa sede, come l'allegazione di una conoscenza da parte del datore di lavoro della richiesta del PM o non pertinenti come le affermazioni circa il preteso accertamento in concreto dell'intollerabilità dal punto di vista organizzativo e produttivo dell'assenza, escluso dalla giurisprudenza di questa Corte per quanto già detto. Parte ricorrente non ricostruisce neppure come tale ultima difesa sia stata prospettata nei precedenti gradi dei giudizio, in violazione del principio di autosufficienza dei ricorso in cassazione. Si deve quindi dichiarare inammissibile il proposto ricorso. Le spese di lite dei giudizio di legittimità liquidate come al dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara l'inammissibilità del ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.000,00 per compensi oltre accessori e spese generali nella misura del 15% ed altre euro 100 per esborsi.