Cessione ramo d’azienda inefficace: rigettato il diritto di credito azionato dai lavoratori

In tema di dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda, l’obbligazione della società datrice di lavoro cedente, che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro, deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’ aliunde perceptum , non come diritto alle retribuzioni maturate dai lavoratori dalla data di cessione del contratto di lavoro.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19490, depositata il 16 settembre 2014. Il caso. Il Tribunale, con sentenza, dichiarava l’inefficacia della cessione, da Telecom S.p.a. ad un’altra società, del ramo d’azienda cui erano addetti due lavoratori e condannava la cedente a ripristinare i rapporti di lavoro, con mansioni e retribuzioni equivalenti a quelle anteriori alla cessione stessa. Telecom non ottemperava all’ordine di ripristinare i rapporti di lavoro ed i lavoratori, che continuavano a lavorare per la società cessionaria, chiedevano ed ottenevano dal Tribunale decreti ingiuntivi con i quali si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni da loro maturate dalla data di cessione del contratto di lavoro sino alla domanda. Ad avviso della Corte d’Appello, i rapporti di lavoro connessi alla cessione d’azienda dovevano intendersi ricostituiti ex tunc alle dipendenze del cedente, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza medesima, senza possibilità di detrazione dell’ aliunde perceptum , che rilevava solo ai fini della quantificazione del danno risarcibile. Avverso la sentenza della Corte territoriale Telecom proponeva ricorso per cassazione. Il diritto alla retribuzione. Il ricorso proposto da Telecom verte principalmente attorno alla sussistenza del diritto di credito azionato dai lavoratori con i decreti ingiuntivi opposti. La società ricorrente ribadisce che il diritto alla retribuzione è collegato allo svolgimento della prestazione, mentre qualora questa non venga richiesta e resa il lavoratore ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell’ aliunde perceptum . In tema di dichiarazione di nullità della cessione di ramo d’azienda, l’obbligazione del cedente che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’ aliunde perceptum . Proprio perché si tratta di un risarcimento del danno soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev’essere detratto l’ aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa. Il risarcimento a carico del datore di lavoro. La qualificazione in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell’obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta influenzata in maniera decisiva dalle modifiche introdotte dall’art. 1 della l. n. 108/1990 all’art. 18 della l. n. 300/1970, che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell’obbligo risarcitorio, con la conseguente detraibilità dell’ aliunde perceptum Cass., Sez. Lav., n. 4943/03 . Nel caso di specie, essendo pacifico che i lavoratori hanno continuato a prestare l’attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendo retribuiti, a loro incombeva l’onere di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l’inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente. Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 maggio– 16 settembre 2014, n. 19490 Presidente Roselli– Relatore Ghinoy Svolgimento del processo Con sentenza del 31.1.2007 il Tribunale di Roma dichiarava l'inefficacia della cessione da Telecom Italia S.p.A. a HPV DCS Srl del ramo d'azienda cui erano addetti Z.A. e S.S. e condannava la cedente a ripristinarne i rapporti di lavoro, con mansioni e retribuzione equivalenti a quelle anteriori alla cessione stessa. Telecom Italia S.p.A. non ottemperava all'ordine di ripristinare i rapporti di lavoro malgrado la formale offerta delle prestazioni ed i lavoratori, che continuavano a lavorare per la società cessionaria, chiedevano ed ottenevano dal Tribunale di Roma decreti ingiuntivi con i quali si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni da loro maturate dalla data di cessione del contratto di lavoro sino alla domanda. L'opposizione proposta avverso tali decreti ingiuntivi veniva accolta dal Tribunale di Roma, ma la sentenza veniva riformata dalla Corte d'appello di Roma con la sentenza n. 5979/2012. Ad avviso della Corte a seguito della sentenza con cui viene dichiarata l'illegittimità del trasferimento d'azienda con i connessi rapporti di lavoro, questi devono intendersi ricostituiti ex tunc alle dipendenze del cedente, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza medesima, senza possibilità di detrazione dell' aliunde perceptum , che rileva solo ai fini della quantificazione del danno risarcibile. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi. Z.A. e S.S. hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Come primo motivo parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell'articolo 112 c.p.c. , e lamenta che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sull'eccezione sollevata da Telecom Italia S.p.A. secondo cui la decisione del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l'illegittimità della cessione del ramo d'azienda non poteva costituire, prima del suo passaggio in giudicato, un idoneo titolo sulla cui base emettere un decreto ingiuntivo di pagamento delle retribuzioni, né una prova scritta di un diritto quello alla ricostruzione del rapporto che sorgeva soltanto con il definitivo passaggio in giudicato della sentenza. Sino al passaggio in giudicato di tale sentenza, infatti, nulla poteva essere chiesto dai lavoratori in quanto la decisione non ha l'efficacia esecutiva provvisoria delle sentenze rientranti nell'articolo 431 c.p.c 1.2. Come secondo motivo deduce Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1206, 1208 e 1217 c.p.c. ed addebita alla Corte d'appello di avere ritenuto valida la messa in mora di Telecom da parte dei lavoratori, nonostante che essi non potessero validamente adempiere continuando a lavorare presso la cessionaria del ramo d'azienda, percependone la regolare retribuzione. 1.3. Come terzo motivo deduce Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.p.c. e ribadisce che il diritto alla retribuzione è collegato allo svolgimento della prestazione, mentre qualora questa non venga richiesta e resa il lavoratore ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, con detrazione dell' aliunde perceptum . 2. Il terzo motivo dev'essere esaminato per primo, in quanto ha ad oggetto la sussistenza del diritto di credito azionato dai lavoratori con i decreti ingiuntivi opposti. 2.1. Il motivo è fondato. La questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l'obbligazione del cedente che non provveda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell'elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l’erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di un' espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale art. 2108 cod.civ. e delle ferie annuali art. 2109 cod.civ. . In difetto di un'espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa da luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto e sinallagma funzionale che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte che esclude il diritto alla retribuzione-corrispettivo e determina a carico del datore di lavoro che ne è responsabile l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni. Proprio perché si tratta di un risarcimento del danno - ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare - soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev'essere detratto l’ aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l’apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009 , la dichiarazione di nullità del licenziamento orale Cass. Sez. U, n. 508 del 27/07/1999 , la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009 , l’accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l'automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758 del 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 del 2000 . La qualificazioni in termini risarcitori delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell'obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata in maniera decisiva dalle modifiche introdotte dall'art. 1 della L. 108/1990 all'articolo 18 della legge 300 del 1970, che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio così Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 16037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006 , con la conseguente detraibilità dell' aliunde perceptum . 2.2. A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l'attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l'onere che non risulta essere stato assolto di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l'inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente. 3. La fondatezza del terzo motivo di ricorso ne determina l'accoglimento, con assorbimento degli ulteriori motivi, risultando infondate le pretese azionate con i decreti ingiuntivi opposti. La sentenza gravata dev'essere quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 II comma c.p.c. con il rigetto delle domande dei lavoratori. 4. I contrastanti orientamenti che si sono formati sulla questione nella giurisprudenza di merito determinano la compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda dei lavoratori. Compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio.