Il giornalista fa troppi extra: diritto al compenso maggiorato per straordinari sì, ma solo con prova

Circa le peculiari modalità di determinazione delle ore di lavoro straordinario espletate dal personale giornalistico, data l’assenza di strumenti quali badge o cartellini marcatempo, incombe sul lavoratore l’onere probatorio relativo all’osservanza di un orario eccedente rispetto a quello rientrante nel forfait.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19299, depositata il 12 settembre 2014. Il caso. Il Tribunale dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato ad un giornalista, ordinando la reintegra nel posto di lavoro, e condannava la società datrice di lavoro alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal recesso sino alla effettiva reintegra. La Corte d’Appello, con sentenza, condannava la società al pagamento di un importo ulteriore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto al riposo giornaliero. In particolare, la Corte territoriale confermava la statuizione del giudice di prima istanza in ordine alla non contestazione delle ore di lavoro straordinario prestate dal lavoratore nel corso del rapporto, sulla scorta di dati presuntivi desumibili dalla significativa entità giornaliera e settimanale delle ore lavorate e del lunghissimo periodo in cui le prestazioni erano state rese. Avverso la sentenza della Corte d’Appello ricorreva in Cassazione la società datrice di lavoro. L’orario di lavoro contestato. Con uno dei motivi di ricorso, la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 2108 c.c. e dell’art. 7 c.n.l.g. nonché all’art. 2077 c.c Deduce la ricorrente di aver puntualmente e tempestivamente contestato sin dalla memoria difensiva di primo grado, la prospettazione dell’orario di lavoro contenuta in atto introduttivo, rimarcando innanzitutto la contraddittorietà della ricostruzione offerta dal lavoratore il quale, da un lato, lamentava di aver sopportato un eccessivo carico di lavoro, dall’altro di aver subito danni da dequalificazione. La società datrice aveva, già nel ricorso introduttivo del giudizio, rimarcato le peculiari modalità di articolazione della prestazione di lavoro giornalistico, che non prevedeva l’utilizzazione di badge o cartellini marcatempo, da cui discendeva l’impossibilità di determinare con esattezza l’orario lavorativo osservato, la cui definizione era sostanzialmente rimessa alla serietà e buona fede del lavoratore. Aveva, quindi, contestato la congruità dei conteggi elaborati dal dipendente, in quanto comprensivi anche di tutti i periodi di assenze verificatesi nell’ampio periodo lavorativo considerato. L’onere probatorio. In tema di liquidazione forfettaria del lavoro straordinario, il lavoratore che abbia prestato attività lavorativa per un numero di ore superiore a quello corrispondente alla prestabilita forfetizzazione, ha diritto, per l’eccedenza, a che gli sia riconosciuto il compenso maggiorato per il lavoro straordinario. Tuttavia, in tal caso, l’onere probatorio relativo all’osservanza di un orario eccedente rispetto a quello rientrante nel forfait, incombe sul lavoratore Cass., n. 16157/04 . Questi è, infatti, tenuto a provare rigorosamente la relativa prestazione ed in modo sufficientemente preciso e realistico, i suoi termini quantitativi Cass., n. 1389/03 Cass., n. 6623/01 . La valutazione dell’attendibilità e congruenza dei dati probatori forniti è rimessa al prudente apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Di siffatti principi non risulta sia stata disposta corretta applicazione, non avendo i giudici del gravame emesso pronuncia coerente con i principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio sanciti dal dettato normativo di cui all’art. 2697 c.c Per questi motivi la Corte accoglie questo motivo di ricorso e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 giugno– 12 settembre 2014, numero 19299 Presidente Stile– Relatore Lorito Svolgimento del processo Con sentenza numero 5685/08 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto da P.L. nei confronti del Messaggero s.p.a., dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimatogli con decorrenza 31/8/05, ne ordinava la reintegra nel posto di lavoro e condannava la società resistente alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal recesso fino alla effettiva reintegra o al raggiungimento dell'età pensionabile, nella misura di Euro 16.300,40 mensili oltre accessori, ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale, oltre al pagamento della somma di Euro 194.153,30 a titolo di compenso per lavoro straordinario da computare nel calcolo del tfr. Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Roma che, con sentenza 12/4/12, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dal P. , condannava il Messaggero al pagamento dell'ulteriore importo di Euro 67.762,09 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto al riposo giornaliero oltre accessori di legge. La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, poneva a fondamento della decisione il rilievo che la società non aveva specificamente impugnato il punto della decisione con la quale il Tribunale adito, nell'interpretare l'articolo 33 CCNL di settore, aveva acclarato l’illegittimità del recesso per essere stato intimato ad una data in cui il giornalista non aveva maturato alcun diritto pensionistico, non avendo conseguito la contribuzione necessaria rappresentata dal versamento di 30 anni di contributi Inpgi. Confermava, inoltre, la statuizione del giudice di prima istanza in ordine alla non contestazione delle ore di lavoro straordinario prestate da P. nel corso del rapporto ed accoglieva l'appello incidentale da quest'ultimo spiegato nei termini innanzi descritti, sulla scorta di dati presuntivi desumibili dalla significativa entità giornaliera e settimanale delle ore lavorate e del lunghissimo periodo in cui le prestazioni erano state rese. Avverso tale sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di sei censure, resistite con controricorso dal P. . Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 434 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto non specificamente impugnato il punto della decisione di prime cure con la quale era stata acclarata l'illegittimità del recesso, perché intimato allorquando il giornalista non aveva maturato alcun diritto pensionistico. Deduce in proposito di avere puntualmente indicato nell'atto di gravame, le circostanze da cui derivava la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata, muovendo specifiche censure alle argomentazioni addotte dal giudice di prima istanza, a sostegno della adottata esegesi dell'articolo 33 c.numero l.g. sull'essenziale rilievo che il requisito contributivo ivi previsto, dovesse essere complessivamente considerato e valutato. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. per avere i giudici del gravame erroneamente ritenuto che la statuizione della pronuncia di primo grado concernente l'esegesi dell'articolo 33 c.numero l.g. fosse passata in giudicato, attesa la specificità delle censure formulate con l'atto di appello. Con il terzo mezzo di impugnazione, si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 33 c.numero l.g. e degli artt. 1362 e seguenti del codice civile, anche alla luce dell'articolo 3 L. 1122/55 in relazione agli artt. 360 numero 3 e numero 5 c.p.c. Lamenta la società l'erronea interpretazione da parte della Corte di merito, del disposto di cui all'articolo 33 c.numero l.g. perché in contrasto con il dato letterale della disposizione, con i canoni interpretativi sanciti dall'articolo 1362 e seguenti del codice civile, con i dettami della legge numero 1122/55 e con l’interpretazione autentica dello stesso articolo 33 resa dalla Corte di legittimità secondo cui, diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, la pensione erogata ai sensi dell'articolo 3 L. 1122/55, acquisibile attraverso il cumulo dei periodi di iscrizione e delle contribuzioni effettuate all'INPGI ed all’INPS, ripartita fra gli istituti in proporzione all'importo dei contributi versati, ha carattere unitario. Il quarto motivo di censura verte sulla violazione dell'articolo 1 L. 243/04. La ricorrente stigmatizza la pronuncia impugnata per aver ritenuto tempestivamente formulata la richiesta del giornalista di essere mantenuto in servizio sino al compimento del 65 anno di età ex articolo 1 L. 243/04, sul presupposto della irrogazione del recesso in epoca anteriore alla data di maturazione del requisito contributivo di accesso alla pensione di vecchiaia, circostanza da ritenersi errata, in quanto non correttamente valutato il mancato cumulo dei contributi INPS-INPGI. I motivi sono privi di pregio. In particolare, con riferimento al primo mezzo di impugnazione, si impone l'evidenza della violazione del principio di autosufficienza che governa il ricorso per Cassazione alla cui stregua è onere della parte ricorrente di indicare lo specifico atto del giudizio precedente cui si riferisce onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione. Il ricorso per cassazione - in ragione del ricordato principio - deve infatti contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni di cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito vedi in tali sensi, fra le tante, Cass. 18 ottobre 2013 numero 23675, Cass. 22 gennaio 2013 numero 1435, Cass. 9 settembre 2011 numero 18523 . Il ricorrente in sede di legittimità, ha infatti l'onere di indicare in maniera specifica e perspicua tutte le ragioni che, in fatto e in diritto, sostenevano la pretesa e che, asseritamente, sarebbero state oggetto di erronea sussunzione nello schema normativo da parte del giudice di merito ciò al fine di permettere al giudice di legittimità la valutazione della fondatezza della doglianza solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, senza la necessità di far rinvio o accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, sarebbe stato onere del ricorrente specificamente riportare il tenore dell'atto di appello, recante le censure avverso la statuizione del primo giudice sulla illegittimità del recesso, per essere stato intimato ad una data in cui il P. non aveva maturato alcun diritto pensionistico, onde verificare la puntualità e coerenza dell'atto, con i dettami di cui all'articolo 434 c.p.c Nell'ottica descritta, deve ritenersi ineccepibile l'impugnata sentenza, laddove ha ritenuto che l'appellante non fosse abilitato a proporre una diversa interpretazione della disposizione contrattuale, non avendo mosso alcuna specifica contestazione all'opzione interpretativa adottata nella pronuncia di primo grado secondo cui il giornalista all'atto del licenziamento non potesse accedere secondo il regolamento Inpgi, alla pensione di vecchiaia anticipata. Le denunciate carenze appaiono riscontrabili anche in relazione al secondo, terzo e quarto mezzo di impugnazione, con i quali si insiste nella proposizione di ulteriore diversa interpretazione dell'articolo 33 c.numero l.g. applicabile ratione temporis, da ritenersi ormai preclusa per effetto dell'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in ragione della genericità delle censure dispiegate dalla società. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all'articolo 2108 c.c. ed all'articolo 7 c.numero l.g. nonché all'articolo 2077 c.c Deduce la società di avere puntualmente e tempestivamente contestato sin dalla memoria difensiva di primo grado, la prospettazione dell'orario di lavoro contenuta in atto introduttivo, rimarcando innanzitutto la contraddittorietà della ricostruzione offerta dal P. il quale da un canto, lamentava di aver sopportato un eccessivo carico di lavoro, dall'altro di aver subito danni da dequalificazione. Rileva, altresì, di aver puntualmente contestato la attribuzione in favore del P. , di ben cinque ore di straordinario al giorno per 22 giorni in relazione a tutti i mesi degli anni 1985-2005 senza tener conto dei periodi di assenza per malattia, delle ferie, dei riposi goduti. Stigmatizza, inoltre, la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 c.numero l.g. laddove da atto che l'esercizio dell'attività giornalistica rende difficile l'esatta determinazione del numero delle ore di lavoro e della loro distribuzione precisando che l'orario contrattuale di massima è di 36 ore settimanali e che i giornalisti che hanno scelto la corresponsione a forfait del lavoro straordinario, possono conservarla , nonché per avere disconosciuto valore alla contrattazione aziendale disciplinante il riconoscimento del compenso forfettario del lavoro straordinario. Il motivo è fondato. Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che il P. nel ricorso introduttivo del giudizio, per quanto è dato rilevare dal contenuto della pronuncia impugnata, aveva indicato gli orari di lavoro osservati nel corso della propria ventennale vicenda lavorativa, deducendo di aver percepito a titolo di compenso per il lavoro straordinario prestate, somme forfettarie mensili indicate nel loro ammontare. Dal canto suo, la parte datoriale aveva rimarcato le peculiari modalità di articolazione della prestazione di lavoro giornalistico, che non prevedeva l'utilizzazione di badge o cartellini marcatempo, da cui discendeva l'impossibilità di determinare con esattezza l'orario lavorativo osservato, la cui definizione era sostanzialmente rimessa alla serietà e buona fede del lavoratore. Aveva, quindi, come in precedenza riferito, contestato la congruità dei conteggi ex adverso elaborati, in quanto comprensivi anche di tutti i periodi di assenze verificatesi nell'ampio periodo lavorativo considerato. Tale assetto difensivo è stato ritenuto dalla Corte territoriale privo dei requisiti di specificità della contestazione in ordine alle specifiche allegazioni di fatto contenute in ricorso in punto di orario di lavoro , con non condivisibile approccio ermeneutico. Sulla questione dibattuta, non può, infatti, sottacersi che l'onere di contestazione tempestiva, non è desumibile soltanto dagli artt. 166 e 416 c.p.c., ma è principio che informa di sé tutto il sistema processuale, posto che, per un verso, il carattere dispositivo del processo ne comporta una ineludibile struttura dialettica a catena e che, per altro verso, l'incalzante organizzazione di preclusioni tende ad attribuire alle parti l'onere di collaborare fin dalle prime battute processuali a circoscrivere l'ambito controverso. Peraltro, un onere di contestazione è ricavabile anche dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti, ma, soprattutto, dal generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto in relazione al fattore tempo , avendo riguardo al novellato articolo 111 Cost La leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, è, dunque, funzionale all'operatività del principio di economia processuale e si traduce nella non necessarietà dell'ulteriore prova dei fatti allegati da una parte a sostegno di una domanda, di una eccezione o di una difesa, che non siano stati adeguatamente e tempestivamente contestati dalla controparte, secondo le regole della scansione delle attività difensive dettate per i vari modelli processuali disciplinati dal codice di rito cfr. Cass. 8 aprile 2010 numero 8335, Cass. 2 novembre 2009 numero 23142 . Ancora, è stato affermato che in materia di prova civile, una circostanza può ritenersi incontroversa quando esplicitamente ammessa o quando la difesa sia modulata su circostanze o argomentazioni incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi cfr. Cass. 24 novembre 2010 numero 23816 . Di siffatti principi non risulta sia stata disposta corretta applicazione nella fattispecie qui considerata, non avendo i giudici del gravame emesso pronuncia coerente con i dettami di cui all'articolo 416 c.p.c. e con i principi in tema di ripartizione dell'onere probatorio sanciti dal dettato normativo di cui all'articolo 2697 c.c Invero, il tenore delle difese articolate dalla società nel primo grado di giudizio, puntualmente riportato nel contesto motivazionale della impugnata sentenza, reca in sé, requisiti di sufficiente specificità in rapporto alle deduzioni attoree poste a fondamento del diritto azionato, tenuto conto delle peculiari modalità di determinazione delle ore di lavoro straordinario espletate dal personale giornalistico, non affidato a strumenti meccanici di rilevazione del tempo di lavoro, e compensato in misura forfettaria in coerenza con le incontroverse disposizioni contenute nella contrattazione collettiva aziendale. Diversamente da quanto argomentato dai giudici del gravame, si tratta di argomentazioni che, lungi dall'essere incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi o da costituire ammissione degli stessi, integrano una forma di contestazione adeguata alle deduzioni attoree, in coerenza con i principi di lealtà e probità posti a carico delle parti, che informano la dinamica processuale. Al riguardo significativo è il richiamo ai principi enunciati da questa Corte in tema di liquidazione forfettaria del lavoro straordinario, che è stata ritenuta ammissibile laddove per le modalità di svolgimento del lavoro, risulti difficile contenere la prestazione lavorativa entro precisi limiti di orario e d'altra parte, vi sia una difficoltà per la parte datoriale, di controllare gli effettivi tempi di lavoro rispettati dal dipendente cfr. Cass. 18 agosto 2004 numero 16157 . Nella descritta prospettiva, il lavoratore che abbia prestato attività lavorativa per un numero di ore superiore a quello corrispondente alla prestabilita forfetizzazione, ha diritto per l'eccedenza, a che gli sia riconosciuto il compenso maggiorato per il lavoro straordinario. Tuttavia, in tal caso, l'onere probatorio relativo all'osservanza di un orario eccedente rispetto a quello rientrante nel forfait, incombe sul lavoratore vedi Cass. cit. numero 16157/04 il quale è tenuto a provare rigorosamente la relativa prestazione ed in termini sufficientemente realistici, i suoi termini quantitativi vedi fra le tante, Cass. 29 gennaio 2003 numero 1389, Cass. 12 maggio 2001 numero 6623 , essendo poi rimessa la valutazione dell'attendibilità e congruenza dei dati probatori forniti, al prudente apprezzamento discrezionale del giudice di merito. In tal senso, respinti come sopra il primi quattro motivi, va quindi accolto il quinto, restando assorbito il sesto concernente la violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. per l'accoglimento della domanda risarcitoria azionata dal P. in relazione al danno da mancato riposo che si assume risentito. L'impugnata sentenza va, pertanto cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Roma la quale, statuendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione, provvedere, attenendosi al principio sopra richiamato. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto motivo, dichiara assorbito il sesto e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione.