Tutto è relativo! Anche la tempestività della contestazione disciplinare

Il concetto di tempestività della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario per un adeguato accertamento ed una precisa valutazione dei fatti, in relazione al caso concreto ed alla complessità dell’organizzazione aziendale.

Con la sentenza 19215/2014, depositata l’11 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha voluto dare continuità al proprio orientamento sulla tempestività delle contestazioni disciplinari Cass., nn. 29480/2008, 22066/2007 e 14113/2006 . Quando è l’INPS ad essere truffato” da un proprio dirigente. Un dirigente INPS veniva licenziato per aver giustificato la propria assenza per malattia con certificati medici falsificati. Per tale scorrettezza veniva altresì condannato ad otto mesi di reclusione, oltre multa. Il dirigente impugnava il licenziamento senza contestare l’addebito della falsa certificazione, ma limitandosi ad addurre la tardività della contestazione disciplinare, avvenuta al trentesimo giorno anziché al ventesimo, a partire dall’avvenimento dei fatti contestati, così come previsto ex art. 27 CCNL applicabile. L’INPS contestava quanto dedotto e richiesto dal dirigente, sostenendo la legittimità della sanzione disciplinare espulsiva, posta in essere nel termine perentorio di 90 giorni dalla condanna penale art. 9. l. n. 19/1990 e comunque, l’ente adduceva come la complessità della verifica della falsità dei certificati e l’estesa struttura dell’ente stesso avevano necessariamente allungato i tempi per la contestazione. Contestazione disciplinare e procedimento penalebinari diversi, stessa destinazione. La prima questione su cui si sofferma la Corte di Cassazione è il rapporto tra contestazione disciplinare ed il procedimento penale, quando i fatti costitutivi di entrambi sono i medesimi. Viene in rilievo l’art. 17 CCNL applicabile che prevede la sospensione del procedimento disciplinare quando gli stessi fatti sono oggetto di un procedimento penale. La sospensione perdura sino alla sentenza definitiva. Il procedimento disciplinare può essere riattivato entro 180 giorni da quando il datore di lavoro l’ente ha avuto notizia della sentenza definitiva e deve concludersi entro 120 giorni dalla sua riattivazione. Nel caso di specie, tali termini sono stati rispettati. Tuttavia, l’art. 17 CCNL non delinea specificamente l’ipotesi ricorrente nel caso di specie, ove il procedimento disciplinare ha avuto avvio prima dell’inizio dell’azione penale. In tal caso, ed in assenza di una precisa disposizione legislativa o contrattuale, la Corte ritiene che si debba comunque rispettare il termine di 20 giorni per la contestazione, previsto in via generale dall’art. 27 CCNL. Immediatezza e tempestività della contestazione sono principi relativi, ma irrinunciabili per il nostro ordinamento Posto che il termine per la contestazione disciplinare è di 20 giorni dalla conoscenza dell’illecito, è necessario valutare la tempestività della contestazione. Nel caso di specie è pacifico che la contestazione sia stata comunicata al trentesimo giorno anziché al ventesimo. Algebricamente la contestazione sarebbe tardiva e, quindi, inidonea a legittimare la sanzione espulsivatuttavia, la Corte di Cassazione considera la tempestività della contestazione un concetto relativo, slegato dalla perentorietà del termine previsto ex lege o dai contratti collettivi e legato al caso concreto, alla complessità dell’organizzazione aziendale che, certamente, incide sui tempi per l’accertamento dell’illecito. Dire che la tempestività sia un concetto relativo, non significa svuotarlo di contenuto. Il principio della tempestività resta comunque necessario per la tutela del diritto di difesa del lavoratore è più facile giustificarsi per fatti accaduti in un breve intervallo di tempo e per dare certezza al rapporto di lavoro, non serve né al datore di lavoro né al dipendente stare appesi ad un filo, senza conoscere quale sarà il destino del rapporto che li lega. In altri termini, tempestività relativa significa che l’immediatezza della contestazione deve essere valutata con riferimento al tempo in cui i fatti sono conosciuti dal datore di lavoro e non a quello in cui sono avvenuti. Inoltre, la conoscenza, non deve essere un mero sentito dire”, ma deve corrispondere alla ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell’inadempimento, inteso anche nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravità e nella sua addebitabilità al lavoratore. Ciò considerato la contestazione disciplinare dell’INPS, benché tardiva rispetto al termine di 20 giorni è comunque legittima ed immediata, di conseguenza, il licenziamento del dirigente finto malato è legittimo. Pugno duro dell’INPS anche nei confronti dei propri dipendenti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 aprile – 11 settembre 2014, n. 19215 Presidente Stile – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo C.A. , dipendente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale addetto alla sede di Pesaro, veniva licenziato senza preavviso con determinazione dirigenziale numero 236 del 13 agosto 2010. Tale determinazione, preso atto della sentenza del Tribunale di Pesaro del 18-29 marzo 2010 che applicava nei confronti del C. ai sensi dell'art. 444 c.p.p. la pena concordata di otto mesi di reclusione ed Euro 600 di multa, comminava la sanzione espulsiva per avere il dipendente inviato, a mezzo fax, falsa certificazione medica ottenuta mediante un fotomontaggio al fine di giustificare la propria assenza per malattia, in relazione a brevi periodi lavorativi . L'impugnativa del licenziamento proposta dal C. veniva accolta dal Tribunale di Pesaro. La sentenza veniva tuttavia riformata dalla Corte d'appello di Ancona con la sentenza n. 1164/2012, che accoglieva il gravame proposto dall'Inps e dichiarava la legittimità del licenziamento. La Corte in motivazione dava atto che l'articolo 27 del CCNL per il comparto degli Enti Pubblici non economici pone il termine perentorio di 20 giorni per procedere alla contestazione dopo l'accertamento dei fatti, mentre nel caso la contestazione era avvenuta dopo 30 giorni osservava tuttavia che il ritardo non appariva direttamente addebitabile all'amministrazione, ma piuttosto alla condotta di singoli dipendenti, e che esso non aveva arrecato alcun danno ma addirittura un vantaggio al C. . Inoltre, occorreva tenere conto delle giustificazioni rese dall'amministrazione con riferimento alla complessità degli accertamenti ed alla gravita delle conseguenze, che ben potevano condurre ad una particolare attenzione e a specifici e rigorosi approfondimenti. La clausola contrattuale in questione doveva essere considerata peraltro parzialmente nulla ai sensi e per gli effetti previsti dall'articolo 1419 c.c., in quanto posta in pregiudizio di un diritto di rango costituzionale, qual è quello al corretto svolgimento dell'attività della pubblica amministrazione, ponendo un termine irragionevolmente breve, senza che ad esso corrisponda un'effettiva esigenza del dipendente. Quanto alla gravita della condotta addebitata, essa risultava sussistente in considerazione delle mansioni svolte dal C. , impiegato amministrativo. Egli peraltro non aveva contestato l'addebito, limitandosi ad affermare che la condanna per patteggiamento non vale come riconoscimento della responsabilità. Per la cassazione di tale sentenza C.A. ha proposto ricorso affidato ad un unico articolato motivo, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l'Inps che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato, cui ha resistito a sua volta il C. con controricorso. Motivi della decisione Preliminarmente i ricorsi, principale ed incidentale, devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c 1. Il ricorrente principale deduce Violazione e falsa applicazione degli articoli 27 e comma 9 bis del C.C.N.L. degli Enti pubblici non economici recepito dall'alt. 3 del Regolamento di disciplina Inps del 2007, in relazione agli articoli 1418, 1419, 2965 e 2966 c.c. . Argomenta che le motivazioni della Corte d'appello si pongono in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità - secondo la quale la contrattazione collettiva in materia di lavoro pubblico privatizzato ben può dettare una disciplina integrativa di dettaglio del procedimento disciplinare - e che per questo le parti hanno legittimamente introdotto una decadenza che può essere impedita solo dal compimento dell'atto previsto dal contratto e che non ammette equipollenti. Aggiunge che il termine perentorio di 20 giorni per la contestazione decorre dal momento in cui gli accertamenti sono compiuti e che nel caso la piena conoscenza dei fatti è intervenuta il 15/10/2007, mentre la contestazione è stata consegnata il 15/11/2007. Richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 197 del 28 maggio 1999 che, nello scrutinare la conformità all'articolo 97 della Costituzione dell'articolo 9 della L. n. 19 del 1990 - che prevedeva il termine perentorio di 90 giorni per la destituzione del pubblico dipendente a seguito di condanna penale - ha ritenuto che tale previsione non realizza un vulnus a tale norma costituzionale, giacché non è dalla norma di per sé considerata che discendono gli inconvenienti messi in luce nell'ordinanza di rimessione, ma da comportamenti omissivi delle singole amministrazioni, e quindi dalle abnormi modalità di applicazione del meccanismo normativo. Aggiunge che la fonte collettiva ha anticipato la regola, oggi recepita dall'articolo 55 bis del D.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dal D.lgs. n. 150 del 2009, della perentorietà del termine di 20 giorni per la contestazione dell'addebito. Precisa che l'Inps non ha dedotto alcuna situazione tale da rendere eccessivamente difficile il rispetto del termine di contestazione, ma ha sostenuto di avere rispettato tale termine sul presupposto che la nota di contestazione è stata esitata il 26.10.2007. 2. Il ricorso incidentale dell'Inps è basato sulla censura di Violazione e falsa applicazione dell'art. 17 del C.C.N.L. relativo al personale del comparto Enti pubblici non economici per il quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003 sottoscritto il 9/10/2003, in relazione all'art. 63 comma 5 del D.lgs. 165/2001 violazione e falsa applicazione dell'art. 27 del C.C.N.L. del personale degli Enti pubblici non economici quadriennio normativo 1994-1997 e biennio economico 1994-1995, sottoscritto il 6 luglio 1995, in relazione all'art. 63 comma 5 del D.lgs. 165/2001 violazione e falsa applicazione dell'art. 15 del C.C.N.L. relativo al personale del comparto Enti pubblici non economici per il quadriennio normativo 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 9/10/2003, in relazione all'art. 63 comma 5 del D.lgs. 165/ 2001 violazione e falsa applicazione degli articolo 3 e 6 del Regolamento di disciplina Inps approvato con determinazione del Commissario straordinario di istituto n. 1318 del 25/11/2003, in relazione agli articolo 1362 ss. c.c. . L'istituto previdenziale sostiene che nella fattispecie non si sarebbe di fronte ad un procedimento disciplinare regolato dall'articolo 27 del C.C.N.L. 6/7/95 così come integrato dall'articolo 15 del C.C.N.L. 2002-2005, ma alla diversa ipotesi della cosiddetta pregiudiziale penale regolata dall'articolo 17 del C.C.N.L. 2002-2005, che prevede i soli termini per la riattivazione del procedimento disciplinare 180 giorni dalla sentenza e la sua successiva conclusione 120 giorni dalla riattivazione , ma non prevede alcun termine per la contestazione. 3. Le deduzioni dell'Inps richiedono un esame preliminare in quanto pongono il problema dell' applicabilità alla fattispecie delle norme della contrattazione collettiva poste a fondamento del ricorso principale, e quindi attengono alla conferenza e decisività delle censure proposte dal C. . Tale compito di qualificazione della fattispecie rientra nelle funzioni demandate a questa Corte che riguardano, a seguito della riforma dell'art. 360 del codice di procedura civile e della riformulazione del relativo numero 3 ad opera del D.lgs. n. 40 del 2006, anche l'individuazione del significato e della portata delle previsioni dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in tal senso v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 6335 del 19/03/2014 . La questione peraltro attiene all'oggetto del contendere così come ritualmente introdotto in causa dalle parti, dovendo valutarsi se nella specie fosse o meno operante la decadenza invocata dal ricorrente principale, sicché non possono ritenersi deduzioni inammissibili quelle che eventualmente per la prima volta in cassazione siano finalizzate a prospettare l'estraneità della fattispecie così come emersa all'esito del giudizio di merito rispetto alla norma contrattual-collettiva che tale decadenza ha introdotto. 3.1. In fatto, è accaduto che il Direttore provinciale della sede Inps di Pesaro con propria nota del 26 settembre 2007 segnalava alla Procura della Repubblica del Tribunale di Pesaro la condotta all'origine del procedimento penale avente ad oggetto la trasmissione via fax di una pluralità di certificati di malattia di cui era ipotizzata la contraffazione tale segnalazione veniva comunicata dal Direttore di Pesaro al Dirigente dell'Area responsabilità disciplinare dell'Inps con fax del 15 ottobre 2007. La nota di contestazione di addebito e contestuale sospensione del procedimento disciplinare per la pendenza di procedimento penale veniva inviata dall'Area responsabilità disciplinare alla sede di appartenenza del C. Pesaro il 26/10/2007 e veniva consegnata a mani al destinatario in data 15/11/2007. Intervenuta la sentenza del 18/3/2010 del Tribunale di Pesaro di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., con lettera del 3/5/2010 il procedimento disciplinare veniva riassunto in considerazione della gravità degli addebiti e ritenutane l'effettiva rilevanza anche in ambito disciplinare nonché l'idoneità a compromettere irreparabilmente il rapporto fiduciario, con determinazione del 13 agosto 2010 veniva irrogata al C. la sanzione disciplinare di licenziamento senza preavviso. 3.2. Risultando pacifico che i fatti posti alla base della sanzione disciplinare sono stati i medesimi oggetto del procedimento penale conclusosi con la sentenza di patteggiamento, alla fattispecie è effettivamente applicabile l'articolo 17 del C.C.N.L. 9/10/2003, normativo 2002 - 2005 economico 2002 - 2003, che sotto la rubrica Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale ai primi quattro commi che qui rilevano prevedeva 1. Nel caso di commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale l'ente inizia il procedimento disciplinare ed inoltra la denuncia penale. Il procedimento disciplinare rimane tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. Analoga sospensione è disposta anche nel caso in cui l'obbligo della denuncia penale emerga nel corso del procedimento disciplinare già avviato. 2. Al di fuori dei casi previsti nel comma precedente, quando l'ente venga a conoscenza dell'esistenza di un procedimento penale a carico del dipendente, per i medesimi fatti oggetto di procedimento disciplinare, questo è sospeso fino alla sentenza definitiva. 3. Fatto salvo quanto previsto dall'art. 5, comma 2 della legge n. 97 del 2001, in linea generale, il procedimento disciplinare, sospeso ai sensi del presente articolo, è riattivato entro 180 giorni da quando l'ente ha avuto notizia della sentenza definitiva e si conclude entro 120 giorni dalla sua riattivazione. 4. Per i casi previsti all'art. 5, comma 4, della legge n. 97 del 2001, il procedimento disciplinare precedentemente sospeso è riattivato entro 90 giorni da quando l'ente ha avuto notizia della sentenza definitiva e deve concludersi entro i successivi 120 giorni dalla sua riattivazione omissis . Tali disposizioni non sono state modificate dal CCNL 01/10/2007, normativo 2006 - 2009 economico 2006 - 2007. I termini posti dalla norma del contratto collettivo, coerenti con la disciplina introdotta con la legge n. 97 del 2001, sono stati rispettati, come riferisce la sentenza impugnata, considerato che la sentenza penale era datata 18/3/2010, il procedimento disciplinare è stato riassunto il 3/5/2010 e il licenziamento è stato comminato 13/8/2010. 4. La specificazione posta dall'Inps non esonera tuttavia dalla necessità di definire le modalità di armonizzazione dei termini previsti dall'art. 17 sopra richiamato per la riattivazione e definizione del procedimento disciplinare dopo la sentenza penale con quello previsto dalla contrattazione collettiva per la contestazione disciplinare, che nel caso in esame, a mente dell'art. 27 del CCNL per il comparto degli enti pubblici non economici del 6/7/1995 normativo 1994 - 1997 economico 1994 - 1995 era di 20 giorni da quando l'ufficio istruttore individuato secondo l'ordinamento dell'amministrazione è venuto a conoscenza del fatto ed al quale l'art. 15 del CCNL sottoscritto il 9/10/2003 operante ratione temporis ha attribuito natura perentoria introducendo il comma 9 bis che prevede che sono da intendersi perentori il termine iniziale e quello finale del procedimento disciplinare in tal senso v. Cass. n. 5806 del 2010, in motivazione . Questa Corte affrontando la questione ha avuto modo di precisare che i diversi termini previsti per le due fasi convivono e sono alternativi Cass. Sez. L, Sentenza n. 11506 del 24/07/2003, Sez. L, Sentenza n. 5806 del 2010 . Intendendosi dare continuità a tale orientamento, occorre rilevare che le parti collettive, laddove con l'art. 17 sopra richiamato hanno delineato i termini per la riattivazione e la definizione del procedimento penale successivi alla sospensione del procedimento disciplinare nella pendenza di quello penale, nulla hanno disposto per l'ipotesi, che ricorre nel caso, in cui la conoscenza del fatto sia anteriore all’inizio dell'azione penale. Solo da tale momento difatti si verificava all'epoca la preclusione per l'inizio dell'azione disciplinare disposta dall'art. 117 del DPR n. 3 del 1957, 117 del DPR 3/1957, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, secondo il quale Qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso . Su tale disciplina ha successivamente inciso il D.lgs. 150/2009, che, innovando i rapporti tra procedimento penale e disciplinare, ha introdotto gli articolo 55 bis e ter nel D.lgs. 165/2001, che impongono l'attivazione del procedimento disciplinare entro termini perentori e la prosecuzione e conclusione dello stesso anche in pendenza di procedimento penale per gli stessi fatti, salva la possibilità della sospensione mantenuta dall'art. 55-bis, comma 1, secondo periodo, per le infrazioni di maggiore gravita previste dall'art. 55-bis, comma 1, secondo periodo, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando l'ufficio competente all'esito dell'istruttoria non disponga di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione . 4.1. Nel silenzio di una specifica diversa previsione della contrattazione collettiva, deve ritenersi quindi che il termine di venti giorni per la contestazione disciplinare previsto in via generale dall'articolo 27 del C.C.N.L. 6/7/95, come modificato dall' 15 del C.C.N.L. 2002-2005 operante ratione temporis non sia derogato e debba operare anche nell'ipotesi in cui la conoscenza da parte dell'amministrazione del fatto del dipendente rilevante ai fini disciplinari sia anteriore all'inizio dell'azione penale. Tale soluzione muove dal principio per cui anche nel settore pubblico vige il principio della tempestività della contestazione dell'addebito disciplinare, ribadito dall'art. 55 comma 5 del D.lgs. n. 165 del 2001 nel testo originario, del quale l'art. 27 costituisce un'applicazione. La finalità di tale principio, che è stata descritta come pluridirezionale nel senso che accanto alla fondamentale funzione di garantire il diritto di difesa del lavoratore, agevolato nell'addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall'infrazione, vi è quella di non perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, non può infatti essere pregiudicata neppure nel caso di fatti aventi rilievo penale v. in particolare anche per il pubblico impiego Cass. n. Sez. L, Sentenza n. 7951 del 2011 e Cass. n. 4932 del 02/03/2007 . 5. Il motivo tuttavia non può essere accolto. 5.1. Occorre premettere che costituisce principio condiviso e consolidato di questa Corte quello secondo il quale il concetto di tempestività della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti cfr. ex multis Cass. 29480/2008, Cass. 22066/2007, Cass. 1101/2007, Cass. 14113/2006, Cass. 4435/2004 . È pacifico poi che l'immediatezza debba essere valutata con riferimento al tempo in cui i fatti sono conosciuti dal datore di lavoro, e non a quello in cui essi sono avvenuti e che la conoscenza debba tradursi nella ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell'inadempimento, inteso nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravita e nella sua addebitabilità al lavoratore da ultimo in proposito v. Sez. L, Sentenza n. 4724 del 27/02/2014, Cass. 26 marzo 2010, n. 7410 , ammettendosi anche che il datore di lavoro possa allo scopo procedere alle preliminari necessarie verifiche Cass. Sez. L, Sentenza n. 5546 del 08/03/2010, Sez. L, Sentenza n. 29480 del 17/12/2008 . 5.2. La sentenza della Corte d'Appello, pur dicendo che la contestazione è avvenuta dopo trenta giorni dall'accertamento dei fatti pg.2 così assumendo come dies a quo la data 15/10/2007 in cui il Direttore della sede di Pesaro ha comunicato a mezzo fax al Dirigente dell'Area Responsabilità disciplinare la segnalazione alla Procura della Repubblica, nella pagina successiva come riferito anche dal C. a p. 6 punto c del ricorso valorizza però le giustificazioni del ritardo fornite dall'amministrazione con riferimento alla complessità degli accertamenti ed alla gravita delle conseguenze, che potevano ben indurre ad una particolare attenzione e a specifici rigorosi approfondimenti così in sostanza negando che quello fosse il momento in cui l'amministrazione aveva avuto l'effettiva conoscenza nei termini sopra precisati dei fatti. 5.3. Il passaggio motivazionale sopra riportato è idoneo a configurare la sussistenza nella sentenza gravata di due argomentazioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggere la motivazione, della quali l'una ritiene l’illegittimità della previsione ad opera del CCNL del breve termine decadenziale e l'altra afferma che comunque la decorrenza di tale termine sarebbe stata impedita dalla necessità di specifici approfondimenti. Il ricorso tuttavia ha ad oggetto solo la prima argomentazione, sicché incorre nella sanzione di inammissibilità ritenuta sussistente dalle Sezioni Unite di questa Corte nei casi in cui il ricorso non formuli specifiche doglianze avverso una delle rationes decidendi che sorreggono la sentenza di merito, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione S.U. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013 . 5.4. Il motivo così come proposto difetta anche di decisività. La verificazione della decadenza per la contestazione disciplinare secondo la tesi patrocinata dal ricorrente avrebbe infatti richiesto che alla data del 15/11/2007 in cui è stata consegnata la contestazione di addebito l'amministrazione avesse già da più di 20 giorni la conoscenza della condotta nei termini sopra prospettati. Ciò tuttavia non risulta nel caso ed anzi è confutato dal passaggio motivazionale della Corte d'appello sopra riportato. Il ricorrente peraltro non riporta nel ricorso il contenuto della contestazione di addebito, del fax del 15/10/2007 e della segnalazione alla Procura della Repubblica atti peraltro neppure allegati al ricorso, in violazione del principio di autosufficienza sul quale v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013, Sez. 5, Sentenza n. 8312 del 04/04/2013, Sez. 5, Sentenza n. 20028 del 30/09/2011 , né lo valorizza ai fini della dimostrazione che il Dirigente dell'Area Responsabilità disciplinare avesse sin da quella data tutti gli elementi per la valutazione dei fatti. Tutto ciò impedisce a questa Corte di ritenere che le censure mosse dal ricorrente alla sentenza della Corte d'Appello in merito all'interpretazione da questi data all'art. 27 del CCNL, qualora anche fondate, possano effettivamente portare a conclusioni diverse da quelle cui è pervenuto il Giudice di merito. La data di consegna della contestazione disciplinare al C. peraltro, il 15/11/2007, è successiva di meno di tre mesi all'ultimo certificato medico che nel capo d'imputazione della sentenza penale risulta essere stato alterato, termine di per sé inidoneo a violare la ratio posta a base del principio di tempestività. 6. Il ricorso principale in definitiva dev'essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale. La complessità della fattispecie determina la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità. 7. Il ricorso è stato notificato all'Inps il 30/1/2013, dunque in data anteriore a quella 31/1/2013 di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, per cui non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.