Il ritardo della contestazione non rende illegittimo il procedimento disciplinare

Il mancato rispetto del termine entro il quale deve essere effettuata la contestazione degli addebiti da parte del datore di lavoro non è perentorio. Di conseguenza, la sua inosservanza non vizia il procedimento disciplinare.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19216, depositata l’11 settembre 2014. Il caso. Un architetto, alle dipendenze dell’INPS, era stato licenziato per giusta causa per aver svolto attività libero professionale retribuita senza autorizzazione dell’Istituto e per aver omesso di comunicare a questi la sentenza che lo dichiarava colpevole del reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico. Il lavoratore, ricorrendo in Cassazione, si duole delle motivazioni della Corte d’Appello nel ritenere non violato il termine di 20 giorni per emettere la contestazione disciplinare intervenuta il 16 febbraio 2009 , posto che la comunicazione effettuata dalla direzione regionale dell’INPS e integrante conoscenza del fatto da parte del datore di lavoro era datata 16 gennaio 2009, ma era giunta alla direzione generale dell’Istituto il 2 febbraio 2009 per posta raccomandata e non per via telematica lo stesso 16 gennaio. Il ricorrente espone che, essendo il documento in questione assoggettato al protocollo informatico unificato, non poteva che essere trasmesso per via telematica. Termine perentorio o ordinatorio? La Cassazione evidenzia come il presupposto logico giuridico della doglianza dell’architetto è il ritenere il termine per effettuare la contestazione un termine perentorio la cui inosservanza, quindi, vizia il procedimento disciplinare rendendolo illegittimo. Tale presupposto, però, contraddice la giurisprudenza della Corte, essendosi gli Ermellini già espressi in merito a fattispecie analoghe a quella in esame, statuendo che in tema di sanzioni disciplinari, qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest’ultimo è perentorio, mentre i termini interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della sanzione solo nel caso in cui l’incolpato denunci l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della difesa. Il termine entro il quale deve essere effettuata la contestazione disciplinare dal parte del datore di lavoro viene, quindi, ritenuto dalla Cassazione ordinatorio ed il ricorso, non avendo il ricorrente prospettato violazione del diritto di difesa o del termine finale del procedimento disciplinare, viene rigettato. fonte www.lavoropiu.info

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 aprile – 11 settembre 2014, n. 19216 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza n. 677 del 2012, pronunciando sull'impugnazione principale proposta dall'INPS nei confronti di C.A., e su quella incidentale proposta da quest'ultimo, entrambe avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Torino il 7 marzo 2011, accoglieva l'appello principale, attinente al merito del licenziamento irrogato per giusta causa dall'INPS al C., e rigettava quello incidentale, relativo alla tardività della contestazione, e, pertanto, respingeva le domande proposte con il ricorso introduttivo. 2. L'architetto A.C., con ricorso al Tribunale di Torino, conveniva in giudizio l'INPS esponendo di aver lavorato alle dipendenze dell'Istituto dal 1988 presso l'Ufficio regionale, e di essere stato licenziato per asserita giusta causa con lettera del 24 aprile 2009, previa contestazione disciplinare dei 16 febbraio 2009, per aver svolto attività libero professionale retribuita senza autorizzazione dell'Istituto, e per aver omesso di comunicare all'Istituto la sentenza del Tribunale di Torino dei 29 marzo 2008, con la quale era stato dichiarato colpevole del reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico. 3. Il Tribunale accoglieva il ricorso. 4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre C.A. prospettando un motivo di ricorso. 5. Resiste l'INPS con controricorso. 6. In prossimità dell'udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con l'unico articolato motivo di ricorso, che di seguito si riporta in sintesi, C.A. deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento al fatto controverso e decisivo della mancata prova, a carico del datore di lavoro, che la lettera, integrante conoscenza del fatto, datata 16 gennaio 2009 non fosse stata assoggettata a protocollo informatico di entrata e fosse pervenuta alla sede centrale dell'ente per posta raccomandata solo in data 2 febbraio 2009 ovvero 3 febbraio 2009 , con riferimento all'obbligo di formulazione della contestazione disciplinare entro e non oltre venti giorni dalla data di ricezione della segnalazione inoltrata dal dirigente responsabile alla direzione centrale dell'INPS. Conseguente violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell'art. 3, comma 3, della raccolta coordinata delle norme in materia disciplinare in atti. 1.1. Il ricorrente si duole delle motivazioni addotte dalla Corte d'Appello nel ritenere non violato il termine di 20 giorni come previsto dall'art. 3, comma 3, della raccolta coordinata delle norme in materia disciplinare per emettere la contestazione degli addebiti disciplinari intervenuta il 16 febbraio 2009 , ritenendo che la comunicazione, integrante conoscenza del fatto da parte del datore di lavoro, effettuata dalla direzione regionale dell'INPS, datata 16 gennaio 2009, era giunta per posta raccomandata alla direzione centrale del medesimo istituto il 2 febbraio 2009, e non lo stesso 16 gennaio, per via telematica, come da esso ricorrente prospettato. 1.2. Espone il C. che il documento in questione, assoggettato al protocollo informatico unificato, non poteva essere stato trasmesso che per via telematica, per essere quindi protocollato in entrata presso la sede centrale col sistema di protocollo informatico in uso presso l'INPS. Quest'ultimo, infatti si era dotato di protocollo informatico, come previsto dagli artt. 50 e 51 del d.P.R. n. 445 del 2000, ma aveva anche adottato un sistema di trasmissione telematica delle comunicazioni interne che consentiva la trasmissione dei documenti interni praticamente in tempo reale, come si evinceva dalle direttive impartite dal direttore generale facente funzioni dell'Istituto, in esecuzione al disposto del d.P.R. richiamato . Sarebbe errata, quindi sul piano logico la motivazione della Corte d'Appello, secondo la quale sarebbe stato frutto di equivoco l'ordinanza di produzione in giudizio della copia autentica delle registrazioni informatiche in entrata ed in uscita, della lettera 16 gennaio 2009, essendo, al contrario, corretta l'impostazione originaria finalizzata ad accertare l'esito della trasmissione del documento protocollato in uscita a Torino il 16 gennaio, che l'INPS dichiarava essere stato spedito per posta, e non per via telematica, quasi dieci giorni dopo, ossia in data 23 gennaio. Tale ricostruzione sarebbe avallata, altresì, dalle disposizioni del codice dell'Amministrazione digitale e dalla normativa di settore, da cui emergerebbe un forte impulso a superare il protocollo informatico come semplice automazione dell'operazione elementare di registrazione dei documenti, per arrivare ad una sua integrazione all'interno di un sistema complessivo di gestione dei processi e dei procedimenti amministrativi. La sentenza della Corte d'Appello erroneamente attribuisce rilevanza alla sola prova documentale acquisita agli atti di causa, consistente nella copia dell'elenco delle lettere raccomandate spedite dalla sede INPS di Torino e da un avviso di ricevimento peraltro illeggibile . Ed infatti, solo l'acquisizione del registro di protocollo informatico della sede centrale, non prodotto in giudizio, avrebbe consentito la prova certa ed inconfutabile della data di ricevimento della lettera partita dalla sede INPS di Torino in data 16 gennaio 2009 e, quindi, della tempestività della contestazione disciplinare in data 16 febbraio 2009. La documentazione prodotta in atti avvalorerebbe che le comunicazioni interne dell'Istituto non solo sono protocollate con il sistema informatico sia in entrata che in uscita, ma sono trasmesse per via telematica, poiché altrimenti non si spiegherebbe il fatto che la partenza dalla sede mittente e l'arrivo a quella di destinazione avvenga nello stesso giorno o entro 48 ore. La Corte d'Appello, quindi, trascurando gli elementi istruttori, aveva concluso apoditticamente per l'irrilevanza del sistema di protocollo informatico ai fini della valutazione di inosservanza del termine di venti giorni previsto dal codice disciplinare aziendale ai fini della contestazione di addebito, a far data dal ricevimento della segnalazione dei fatti a tal fine rilevanti, da parte del dirigente responsabile, in quanto la produzione in giudizio da parte dell'INPS degli estratti autentici dei registri giornalieri di protocollo informatico della sede piemontese e di quella centrale avrebbe consentito di accertare se la lettera protocollata in uscita il 16 gennaio 2009 fosse pervenuta a Roma solo il 2 febbraio 2009. 2. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. Il ricorrente, senza prospettare violazione del diritto di difesa o del termine finale del procedimento disciplinare, si duole dell'asserito mancato rispetto del termine di 20 giorni, dalla conoscenza, del fatto per effettuare la contestazione. Presupposto logico giuridico di tale doglianza è il ritenere che detto termine è perentorio e che, quindi, la sua inosservanza vizia il procedimento disciplinare rendendolo illegittimo. Sull'interpretazione di disposizioni contrattuali che prevedono un analogo termine di venti giorni, entro il quale, dalla conoscenza del fatto, deve essere effettuata la contestazione da parte del datore di lavoro, questa Corte si è già pronunciata con statuizione alla quale si intende dare continuità, secondo la quale la natura dei termini contrattualmente previsti per lo svolgimento dei procedimento disciplinare deve essere definita con riguardo allo scopo che essi perseguono nel procedimento, nella prospettiva di un'inderogabile garanzia della necessaria legittimità di tutto il relativo procedimento, con la conseguenza che il carattere della perentorietà non è generalmente rinvenibile in tutti i termini volti a cadenzarne l'andamento quali quello per la segnalazione d'ufficio, per la contestazione degli addebiti e la relativa comunicazione al l'interessato , ma deve essere riconosciuto solo a quello stabilito per la sua conclusione Cass., n. 7601 del 2005, relativa all'art. 27, comma 2, del CCNL, enti pubblici economici, che richiama Cons. Stato, sez. IV, 26 settembre 2001, n. 5049 . In tal senso anche Cass., n. 6091 del 2010, in riferimento all' art. 24, comma 3, della procedura disciplinare prevista nel CCNL per i dipendenti delle regioni e delle autonomie locali Cass., n. 5637 del 2009 e n. 20654 del 2007, in relazione all'art. 24 del CCNL, comparto ministeri, del 16 maggio 1995. Tali pronunce hanno confermato che in tema di sanzioni disciplinari, qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale procedimento, solo quest'ultimo é perentorio, con conseguente nullità della sanzione in caso di inosservanza, mentre i termini interni sono ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della sanzione solo nel caso in cui l'incolpato denunci, con concreto fondamento, l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà della sua difesa. 3. In ragione dei principi sopra richiamati, le doglianze del ricorrente devono essere disattese, atteso che il presupposto logico giuridico delle stesse contraddice la giurisprudenza sopra richiamata alla quale si intende dare continuità. 4. Il ricorso deve essere rigettato. 5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro tremilacinquecento per compensi professionali, oltre euro cento per esborsi e accessori di legge.