Interpretazione della transazione: bisogna considerare l’atto nel suo complesso

Ove il giudice di merito, nell’interpretare una transazione, abbia svolto un’analisi adeguata e compiutamente motivata della comune intenzione delle parti come risultante dal complesso dell’atto, il processo ermeneutico è conforme ai canoni legislativi e non presenta vizi di motivazione.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19118, depositata il 10 settembre 2014. Come interpretare il verbale di conciliazione quando una clausola non è chiara? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal dipendente di un’azienda assicurativa per ottenere l’accertamento di un superiore inquadramento, le differenze retributive, il risarcimento dei danni da dequalificazione e la reintegrazione nel posto di lavoro. Nel corso della controversia, le parti hanno sottoscritto davanti al giudice del lavoro un verbale di conciliazione con il quale hanno convenuto di definire e transigere ogni pretesa derivante dall’intercorso rapporto di lavoro tra le diverse condizioni pattuite, è stato previsto l’obbligo per il datore di riconoscere al dipendente, per le polizze assicurative riguardanti lo stesso ed il suo nucleo familiare, le condizioni migliorative praticate agli altri dipendenti con qualifica di funzionario. Nel dare attuazione all’accordo transattivo, le parti hanno interpretato diversamente il contenuto di tale ultima previsione, in particolare in relazione alla stipula della c.d. polizza salute il dipendente rivendicava una copertura al 100% per sé e per i propri familiari, in ossequio a quanto previsto dalle disposizioni dell’accordo integrativo aziendale la società, invece, sosteneva che la polizza salute avrebbe dovuto avere una copertura al 50% per i familiari del dipendente, secondo quanto previsto dall’allegato all’accordo integrativo aziendale, atteso che il verbale di conciliazione aveva espressamente richiamato solo l’allegato e non già anche le disposizioni dell’accordo integrativo. All’esito del giudizio di merito, le domande del lavoratore sono state accolte, avendo la Corte territoriale ritenuto rispondente alla comune volontà delle parti, considerato il carattere migliorativo” della transazione, riconoscere al dipendente un corrispettivo” ulteriore per la rinuncia al posto di lavoro, correlato alla qualifica di funzionario, che potesse permanere nonostante la cessazione del rapporto. Avverso a tale pronuncia, ha presentato ricorso per cassazione la società datrice, adducendo la violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. ed un vizio di motivazione. Il giudice sceglie tra più interpretazioni possibili? Non è un buon motivo per ricorrere in Cassazione. La pronuncia in commento ribadisce che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso – con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione, invece, deve essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra cfr., ad es., Cass., n. 4178/2007 . L’interpretazione della transazione non può prescindere da un’analisi complessiva dell’atto. Ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato cfr., ex plurimis , Cass., n. 9755/2011 . In altre parole il giudice non può arrestarsi ad una considerazione atomistica” delle singole clausole perché nell’interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell’accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare” e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti. Pertanto, poiché l’art. 1362 c.c. impone all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, ove il giudice di merito, nell’interpretare una transazione, abbia risolto i dubbi posti dal senso letterale delle parole mediante un’analisi adeguata e compiutamente motivata della comune intenzione delle parti come risultante dal complesso dell’atto, il processo ermeneutico è conforme ai canoni legislativi e non presenta vizi di motivazione cfr. Cass., n. 13083/2009 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 giugno – 10 settembre 2014, n. 19118 Presidente Roselli – Relatore Nobile Svolgimento del processo Nell'ambito di un corposo contenzioso instauratosi tra G.R. e la Compagnia Italiana di Previdenza Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. Italiana Assicurazioni concernente la rivendicazione di un superiore inquadramento, la richiesta di differenze retributive, di risarcimento dei danni da dequalificazione e di reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di licenziamento, in data 13-12-2004 le parti sottoscrivevano dinanzi al Giudice del lavoro di Milano un verbale di conciliazione, con il quale convenivano di definire e transigere ogni e qualsiasi ragione, diritto, pretesa e/o domanda derivante dall'intercorso rapporto di lavoro e, tra le diverse condizioni pattuite, prevedevano l'obbligo della Italiana Assicurazioni di riconoscere al sig. G. , per le polizze assicurative riguardanti lo stesso ed il suo nucleo familiare, le condizioni migliorative praticate agli altri dipendenti con qualifica di funzionario, per anni dieci, con costo a carico del G. , con libertà dello stesso di sottoscrivere o meno le predette polizze e con la previsione che la richiesta di istituzione delle polizze Salute fra quelle menzionate nella conciliazione dovesse avvenire entro 60 gg. dalla data di sottoscrizione del verbale di conciliazione. Il G. notificava quindi atto di precetto premettendo che in data 5-1-2006 aveva sollecitato la stipulazione della polizza Salute intimando alla Italiana Assicurazioni s.p.a. di concludere entro 10 giorni il contratto di assicurazione denominato polizza Salute , o similare, alle condizioni praticate ai dipendenti. La società proponeva quindi opposizione eccependo in fatto che in data 18-1-2005 prima dei 60 gg. convenuti in transazione aveva inviato al G. i preventivi relativi”, richiamando le condizioni di cui al contratto Integrativo Aziendale 31-1-2002, nonché l'Allegato 5, con particolare riferimento alla copertura per i familiari e per le malattie biologie pregresse il G. aveva risposto solo un anno dopo con lettera del 5-1-2006 che la società non aveva potuto che confermare quanto previsto dal contratto collettivo aziendale ed attuato per tutti i dipendenti che, invece di dare il proprio consenso all'emissione della polizza, il G. aveva prima notificato l'atto di transazione munito di formula esecutiva e poi, in data 4-8-2006, l'atto di precetto. La società opponente eccepiva, dunque, l'inesistenza del diritto del G. a procedere ad esecuzione forzata, in quanto essa aveva posto in essere gli adempimenti previsti a suo carico dal verbale di conciliazione 13-12-2004 mentre l'opposto si era rifiutato di sottoscrivere la polizza. La società eccepiva inoltre che l'atto di transazione non prevedeva quanto preteso dal G. ossia che le patologie pregresse venissero riconosciute al 100% anche per il suo nucleo familiare e confermava l'offerta di cui alla lettera 17-1-2005 invitando il G. a presentarsi per la sottoscrizione della polizza in conformità a quanto convenuto nella clausola n. 5 punto d del verbale di conciliazione. Argomentando in diritto, la Italiana Assicurazioni chiedeva quindi al giudice di dare atto della conferma dell'adempimento di cui alla lettera 17-1-2005, di ritenere e dichiarare l'inesistenza dei presupposti di cui all'art. 612 c.p.c. e di dichiarare la nullità o di annullare l'atto di precetto. L'opposto si costituiva, eccependo che in base alla conciliazione egli poteva stipulare con la società ogni tipo di polizza, godendo delle condizioni migliorative praticate ai dipendenti con la qualifica di funzionario ed elencate nel contratto integrativo aziendale condizioni che per la polizza sanitaria erano quelle previste dagli artt. 29 e 30, ben diverse da quelle previste nella polizza proposta dalla società, che copriva soltanto le grandi patologie . Concludeva, quindi, per l'inammissibilità o il rigetto dell'opposizione e, in via riconvenzionale, accertato il contenuto del punto d dell'accordo giudiziale del 13-12-2004, per la condanna dell'opponente alla stipula del contratto di assicurazione come individuato. Con provvedimento del 29-8-2006 il giudice sospendeva l'efficacia del titolo esecutivo. Con sentenza n. 1651/2008 il Tribunale di Milano dichiarava l'inammissibilità dell'azione esecutiva ex art. 612 c.p.c. e la conseguente nullità del precetto e, in assenza di specifica domanda ex art. 2932 c.c., dichiarava che l'impegno assunto dalla società opponente con la transazione 13-12-2004 sub art. 5 lett. d deve intendersi nel senso che la polizza Salute deve corrispondere alla tipologia di quella già stipulata con il G. in corso di rapporto lavorativo, alle condizioni migliorative praticate ai dipendenti con qualifica di funzionario riportate nel combinato disposto degli artt. 29 e 30 del contratto integrativo aziendale del 31-1-2002 dovendosi intendere il richiamo all'allegato 5 limitato alle tariffe di favore applicabili ai dipendenti e non alle limitazioni del rischio assicurato. La società proponeva appello avverso tale decisione lamentando la erroneità della interpretazione dell'atto transattivo giudiziale, nel quale non erano richiamati gli artt. 29 e 30 del contratto integrativo aziendale bensì solo ed esclusivamente l'allegato 5 e la sua appendice. L'appellante, rilevato inoltre che in primo grado era stata prodotta copia del contratto stipulato tra le parti nel 2002 ed in tale polizza era prevista la copertura delle grandi patologie senza limiti per il dipendente e con copertura al 50% per i familiari, concludeva perché fosse dichiarato che con la detta clausola dovesse intendersi che la polizza Salute deve corrispondere a quella già stipulata nel corso del rapporto di lavoro con le condizioni specifiche di cui all'art. 5 dell'accordo integrativo aziendale citato e sua appendice. L'appellato si costituiva e resisteva al gravame. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza depositata il 14-7-2011, rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese. In sintesi la Corte territoriale, evidenziata la mancanza di chiarezza del dato testuale ed esaminati gli argomenti di parte appellante, valutando il contesto nel quale la transazione era avvenuta a definizione di un contenzioso relativo, tra l'altro, al riconoscimento della qualifica di funzionario con decorrenza dal 1996 , confermava l’interpretazione del primo giudice che aveva fatto riferimento al combinato disposto degli art. 29 e 30 del contratto integrativo aziendale , il primo relativo a tutti i dipendenti, il secondo solo ai funzionari, per evidenziare la condizione migliorativa della estensione integrale della copertura assicurativa per le malattie anche ai familiari del funzionario. Al riguardo, infatti, ex art. 1362 e ss. c.c., appariva del tutto ragionevole e rispondente alla comune volontà delle parti, considerato anche il carattere migliorativo delle condizioni pattuite, riconoscere un corrispettivo ulteriore per la rinuncia al posto di lavoro, correlato alla qualifica di funzionario, che potesse permanere in vita nonostante la cessazione del rapporto . Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con un unico complesso motivo. Il G. è rimasto intimato. Motivi della decisione Con l'unico motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. e vizio di motivazione, dopo aver riportato il contenuto della clausola in contestazione art. 5 punto d del verbale di conciliazione del 13-12-2004, doc. n. 1 fasc. di parte , deduce che, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento dell'attività interpretativa del giudice è costituito dalle parole ed espressioni adottate dalle parti, mentre il richiamo al comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, può avvenire solo ed in quanto si sia trattato di un comportamento convergente, la qual cosa non sarebbe avvenuta nel caso in esame. In base a tale premessa la ricorrente rileva che il testo letterale del citato verbale di conciliazione, evidenziava chiaramente che la società si era obbligata a riconoscere il diritto del G. a vedersi riconosciute per le polizze assicurative riguardanti lo stesso ed il suo nucleo familiare, le condizioni migliorative che sono praticate per i dipendenti con la qualifica di funzionario , e ciò indipendentemente dal fatto che egli lo fosse o non lo fosse, di guisa che ogni ulteriore considerazione svolta dalla Corte territoriale appariva ultronea ed irrilevante. Del resto nella stessa clausola si leggeva che le condizioni migliorative ed esemplificate nell'allegato 5 e sua appendice, del contratto integrativo aziendale del 31-1-2002 , riguardanti appunto i funzionari, erano pienamente conosciute dalle parti. In tal senso la lettera della clausola, secondo la ricorrente, era assolutamente chiara, per cui ingiustificato risultava il richiamo agli articoli 29 e 30 del detto c.i.a. che le parti non indicarono, né richiamarono . Peraltro, secondo la ricorrente, la qualità delle parti operatori della materia era tale da escludere assolutamente che quanto da loro espresso fosse non preciso dal punto di vista tecnico e giuridico, e la chiarezza della clausola escludeva qualsiasi interpretazione ulteriore fondata su elementi extratestuali. La ricorrente lamenta infine anche una insufficiente e illogica motivazione al riguardo, considerato che l'incentivo all'esodo era stato ingente e che le parti avevano ritenuto di definire ogni questione, per cui non rimane alcunché da concedere o mantenere se non solo ed esclusivamente quello che è espressamente riconosciuto e dichiarato nel testo . Il motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato. Innanzitutto, come questa Corte ha più volte affermato l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce una attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev'essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l'interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra v. Cass. sez. I 22-2-2007 n. 4178, Cass. sez. I 7-3-2007 n. 5273, Cass. sez. III 12-7-2007 n. 15604 . Nel contempo è stato altresì precisato che in tema di interpretazione del contratto - che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione - ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo dev'essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell'art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per senso letterale delle parole tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato v., fra le altre, Cass. 26-2-2009 n. 4670, Cass. 17-2-2010 n. 3685, Cass. 4-5-2011 n. 9755 . In altre parole il giudice non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole v. Cass. 14-4-2006 n. 8876 perché nell'interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti v. Cass. 11-1-2006 n. 261 . Pertanto, poiché l'art. 1362 cod. civ. impone all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, ove il giudice di merito, nell'interpretare una transazione, abbia risolto i dubbi posti dal senso letterale delle parole mediante un'analisi adeguata e compiutamente motivata della comune intenzione delle parti come risultante dal complesso dell'atto, il processo ermeneutico è conforme ai canoni legislativi e non presenta vizi di motivazione v. in tal senso Cass. 5-6-2009 n. 13083 . Orbene nel caso in esame in primo luogo la denuncia di entrambi i vizi denunciati è incentrata soltanto sul senso letterale delle parole della singola clausola e non dell'intero verbale di conciliazione, inteso complessivamente quale espressione della comune volontà delle parti, alla luce dell'intero contesto degli elementi di fatto relativi alla transazione de qua. Tale premessa, in base ai principi sopra richiamati, risulta errata in diritto. La censura, poi, si risolve, in definitiva, nella riproposizione di una lettura interpretativa diversa, come tale inammissibile in questa sede. Peraltro la motivazione della Corte di merito, fondata sulla ricostruzione della comune volontà delle parti sulla base di tutti gli elementi rilevanti risulta sufficiente e priva di vizi logici. Al riguardo, infatti, la Corte territoriale, legittimamente e senza cadere in alcuna contraddizione, ha affermato che si deve allora valutare il contesto nel quale la transazione è stata sottoscritta e ricordare che la stipulazione della stessa è avvenuta a definizione di un contenzioso relativo a numerosi diritti riconosciuti giudizialmente, sia pure con pronunce di merito non definitive o con ordinanza cautelare, tra i quali, per ciò che rileva ai fini di causa, quello alla qualifica di funzionario con decorrenza dal 1996, accertata con la sentenza non definitiva del 30-9-2003 . Tanto premesso, la Corte, dopo aver esaminato le singole pattuizioni, ha affermato che il G. aveva rinunciato a tutta una serie di diritti, primo fra tutti il posto di lavoro, ma con i connessi diritti spettanti al funzionario, qualifica già riconosciuta giudizialmente al momento della sottoscrizione della transazione, e del tutto ragionevolmente la Italiana Assicurazioni, oltre a riconoscere un corrispettivo per la rinuncia al posto di lavoro, ha accordato uno dei diritti connessi alla qualifica di funzionario, che potesse permanere in vita nonostante la cessazione del rapporto . Tale accertamento di fatto, conforme a diritto, risulta congruamente motivato e resiste alle censure della ricorrente. Il ricorso va pertanto respinto. Infine non deve provvedersi sulle spese, non avendo l'intimato svolto alcuna attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.