Nessun metodo “Dikul” se la terapia ordinaria è più adeguata

In tema di erogazione da parte del SSN di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, come il metodo Dikul” per persone colpite da lesioni midollari, il relativo diritto, quando siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi ed irreversibili, deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal d.lgs. n. 502/1992. La valutazione del giudice di merito deve tenere presente il principio di appropriatezza fissato dalla norma di legge, che richiede necessariamente un confronto tra i risultati positivi della cura e gli eventuali riflessi negativi della terapia stessa sulle condizioni di vita del paziente. Inoltre, il diritto alla predetta terapia verrà meno, se risultino più adeguate le terapie ordinarie.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18676, depositata il 4 settembre 2014. Il caso. Il Tribunale respingeva la domanda intesa ad ottenere la condanna dell’ASL ad erogare gratuitamente a favore di un uomo la terapia Dikul ”, ossia un metodo di rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata per soggetti colpiti da lesioni midollari. Anche la Corte d’appello rigettava il gravame proposto dal soccombente. Ricorreva in Cassazione l’uomo, cui resisteva con controricorso ASL. L’uomo lamentava vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva confermato il rigetto della domanda in base al fatto, accertato da ctu, della temporaneità degli effetti migliorativi della terapia in esame, fatto che, invece, avrebbe dovuto giustificare la decisione opposta. Inoltre, censurava l’impugnata sentenza nella parte in cui negava il diritto del ricorrente malgrado la maggior utilità in astratto della terapia Dikul ” rispetto alle altre terapie convenzionali. Il diritto va accertato secondo la normativa sanitaria. I motivi sono infondati. E’ pacifico in sede di legittimità Cass., n. 10692/2008 che, in tema di erogazione da parte del SSN di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, il relativo diritto, allorquando siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi ed irreversibili, deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal d.lgs. n. 502/1992. In altre parole, la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi chieda una prestazione al SSN, sia le proprie disponibilità finanziarie, viene meno quando l’assistito chieda, come nel caso di specie, il riconoscimento del diritto all’erogazione di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, facendo valere una pretesa correlata al diritto alla salute, per sua natura non suscettibile di affievolimento. L’erogazione di tali cure a carico del SSN non dipende dalla scelta dell’assistito, dal momento che, sulla base dei principi della normativa in esame, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere confrontati con l’incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare, insieme ai limiti di tempo del recupero della capacità funzionali, la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell’impegno terapeutico. Da considerare il principio di adeguatezza confronto tra risultati positivi e negativi della terapia. Sempre nella sentenza n. 10692/2008, la Cassazione aveva statuito che la valutazione del giudice di merito deve tenere presente il principio di appropriatezza fissato dalla norma di legge, in relazione al quale deve essere operato anche il giudizio di efficacia. Il principio suddetto richiede necessariamente un confronto tra i risultati positivi della cura e gli eventuali riflessi negativi della terapia stessa sulle condizioni di vita del paziente . Nel caso di specie, l’impugnata sentenza aveva esaminato il ricorso nel rispetto dei principi di appropriatezza e di efficacia, con motivazione logica. Sulla base degli accertamenti svolti dal ctu, i giudici territoriali avevano evidenziato che non vi erano evidenze scientifiche atte e comprovare la validità della terapia Dikul ”, e che non era emerso nessun risultato di miglioramento rispetto a quelli che si sarebbero ottenuti praticando gli ordinari cicli di terapia dispensati dal SSN, rispetto ai quali il metodo in esame si differenzia solo perché la rieducazione motoria è più intensa, continuativa e personalizzata. In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 maggio – 4 settembre 2014, n. 18676 Presidente Lamorgese – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 1.4.08 la Corte d'appello di Firenze rigettava il gravame interposto da C.M. contro la pronuncia del Tribunale della stessa sede che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere la condanna dell'ASL n. XX di Firenze ad erogargli gratuitamente la terapia nota come metodo Dikul, ossia un metodo di rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata - conosciuta anche con l'acronimo R.I.C. - per soggetti colpiti da lesioni midollari. Con la stessa sentenza di primo grado il Tribunale aveva revocato rectius dichiarato inefficace il provvedimento cautelare ante causam ex art. 700 c.p.c. emesso l'11.6.02 dalla stessa A.G. in favore di C.M. , provvedimento con cui era stata ordinata all'ASL la prestazione gratuita della terapia R.I.C. mediante sua esecuzione in via domiciliare e presso un centro specializzato il Centro Giusti di Firenze , con onere economico a carico del S.S.N. per tutto il tempo necessario alla cura. Con la propria sentenza la Corte toscana, oltre a rigettare l'appello dell'assistito, accoglieva la domanda dell'ASL, formulata nel giudizio d'appello, di restituzione della somma di Euro 82.033,92 oltre rivalutazione ed interessi erogata in conseguenza del suddetto provvedimento cautelare per fare fronte alle spese della terapia eseguita presso il suddetto Centro Giusti. Per la cassazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale ricorre C.M. affidandosi a sette motivi. L'ASL n. XX di Firenze resiste con controricorso e a sua volta spiega ricorso incidentale basato su tre motivi, cui il ricorrente principale resiste con,controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i ricorsi perché concernenti la stessa sentenza. Il ricorso principale. Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l'impugnata sentenza ha, in contraddizione con le premesse operate circa la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 1 co. 7 d.lgs. n. 502/92, confermato il rigetto della domanda in base al fatto, accertato dal CTU, della temporaneità degli effetti migliorativi della terapia R.I.C., fatto che - invece - avrebbe dovuto giustificare la decisione opposta. La stessa doglianza viene fatta valere, in sostanza, anche con il secondo motivo, sempre sotto forma di vizio di motivazione nella parte in cui l'impugnata sentenza ha negato il diritto del ricorrente malgrado la maggior utilità in astratto della terapia Dikul rispetto alle altre terapie convenzionali, come accertato dal CTU unitamente ad un, ancorché modesto, miglioramento funzionale in concreto dello stato di salute del ricorrente. Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 418 e 669 novies co. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale accolto la domanda di restituzione delle somme erogate dall'ASL n. XX di Firenze per l'esecuzione della terapia in oggetto presso il Centro Giusti, nonostante che, trattandosi in realtà di domanda riconvenzionale, dovesse essere avanzata a pena di decadenza in primo grado e nelle forme degli artt. 416 e 418 c.p.c. e non già con la memoria difensiva in appello. La stessa censura viene sostanzialmente fatta valere anche con il quarto motivo sotto forma di nullità del procedimento di primo grado e con il quinto sotto forma di violazione e falsa applicazione dell'art. 669 novies co. 3 c.p.c. . Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c. per avere la Corte territoriale ammesso in sede d'appello l'allegazione e la prova documentale dell'importo che, a dire dell'ASL, essa avrebbe erogato in adempimento dell'ordinanza emessa in sede cautelare, poi revocata dalla statuizione di prime cure. Con il settimo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 669 novies commi 2 e 3 c.p.c., degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., nonché dell'art. 1 commi 1, 2 e 7 d.lgs. n. 502/92, come modificato dall’art. 1 d.lgs. n. 229/99, nella parte in cui l'impugnata sentenza non ha considerato irripetibili le somme erogate dall'ASL per l'esecuzione di terapie in favore di un invalido civile al 100% come il ricorrente e in esecuzione d'un provvedimento cautelare emesso dall'A.G I primi due motivi del ricorso principale - da esaminarsi congiuntamente perché sostanzialmente coincidenti - sono infondati. Con sentenza n. 10692/08 questa Corte ha già avuto modo di enunciare il principio secondo cui, in tema di erogazione da parte del SSN di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, il relativo diritto, allorquando siano prospettati motivi di urgenza suscettibili di esporre la salute a pregiudizi gravi ed irreversibili, deve essere accertato in base ai presupposti richiesti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 1 nel testo modificato dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 1, applicabile ratione temporis . In altre parole, la discrezionalità della pubblica amministrazione nel valutare sia le esigenze sanitarie di chi chieda una prestazione del Servizio Sanitario Nazionale, sia le proprie disponibilità finanziarie, viene meno quando l'assistito chieda - come nel caso di specie - il riconoscimento del diritto all'erogazione di cure tempestive non ottenibili dal servizio pubblico, facendo valere una pretesa correlata al diritto alla salute, per sua natura non suscettibile di affievolimento. L'erogazione di tali cure a carico del SSN non dipende dalla mera scelta dell'assistito, atteso che, in virtù del principio di efficacia enunciato dalla normativa, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere posti a confronto con l'incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare in particolare - in relazione ai limiti temporali del recupero delle capacità funzionali - la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell'impegno terapeutico. La summenzionata sentenza n. 10692/08 ha altresì statuito che la valutazione espressa dal giudice di merito deve tenere presente il principio di appropriatezza fissato dalla norma di legge, in relazione al quale deve essere operato anche il giudizio di efficacia. Il principio suddetto richiede necessariamente un confronto tra i risultati positivi della cura e gli eventuali riflessi negativi della terapia stessa sulle condizioni di vita del paziente. Ciò premesso, l'impugnata sentenza ha esaminato il caso dell'odierno ricorrente nel rispetto di tali principi di appropriatezza e di efficacia, con motivazione immune da vizi logico-giuridici. Ha evidenziato - alla luce degli accertamenti svolti dal CTU - che non vi sono evidenze scientifiche atte a comprovare la validità della terapia Dikul o R.I.C. e che non è emerso che essa abbia in concreto apportato, sempre nel caso dell'odierno ricorrente, risultati apprezzabilmente migliori di quelli che si sarebbero ottenuti praticando gli ordinali cicli di terapia dispensati dal SSN, rispetto ai quali il metodo R.I.C. si differenzia solo perché la rieducazione motoria è più intensa, continuativa e personalizzata. Le contrarie argomentazioni svolte in ricorso scivolano sul piano della delibazione in punto di fatto, estranea a questa sede. I motivi terzo, quarto, quinto e sesto - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono infondati. Per costante insegnamento di questa S.C., i provvedimenti restitutori ex art. 669 novies c.p.c. vanno pronunciati d'ufficio dal Tribunale che all'esito del giudizio di merito abbia accertato l'insussistenza del diritto oggetto di cautela cfr. Cass. n. 8906/13 Cass. n. 17866/05 Cass. n. 9626/04 e, ove non vi abbia provveduto il primo giudice, deve farlo - sempre d'ufficio - la Corte d'appello, non trattandosi di domanda riconvenzionale né essendo neppure teoricamente configurabile a riguardo un giudicato di irripetibilità per il solo fatto dell'omissione del primo giudice prova ne sia che lo stesso art. 669 novies c.p.c., nell'ultimo periodo del co. 3, prevede che i provvedimenti restitutori o ripristinatori, se non sono stati emessi nella stessa sentenza che ha accertato l'inesistenza del diritto oggetto di cautela, possono essere disposti con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento. Anche il settimo motivo è infondato, vuoi perché nessuna delle norme invocate a tale proposito dal ricorrente prevede irripetibilità di sorta delle somme erogate dal SSN, vuoi perché, versandosi in tema di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., è irrilevante che il pagamento sia avvenuto in forza d'un ordine giudiziale poi perento per accertata insussistenza - all'esito del giudizio di merito - del diritto oggetto di provvedimento cautelare. Diversamente, si aggirerebbe il chiaro disposto dell'art. 669 c.p.c., nella parte in cui impone il ripristino della situazione quo ante in caso di accertata insussistenza del diritto. Il ricorso incidentale. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell'art. 152 disp. att. c.p.c. per avere la sentenza impugnata rigettato l'appello incidentale sulle spese ed escluso anche quelle del secondo grado sul presupposto dell'applicabilità dell'art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo anteriore alla novella di cui all'art. 42 co. 11 d.l. 30.9.03 n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24.11.03 n. 326 novella inapplicabile ratione temporis nel caso di specie, atteso che il ricorso introduttivo di lite è stato depositato il 21.6.02 sostiene la ricorrente incidentale che la doppia pronuncia conforme di rigetto, in primo e secondo grado, della domanda di C.M. ne dimostra implicitamente la manifesta infondatezza. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha posto le spese di CTU a carico dell'appellata. La stessa censura viene sostanzialmente fatta valere con il terzo motivo, sotto forma di violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell'art. 152 disp. att. c.p.c Il ricorso incidentale è infondato. Premesso che la valutazione della temerarietà dell'azione o della resistenza in giudizio è compito precipuo del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici v. Cass. n. 126/92 , si tenga presente che una doppia pronuncia conforme di rigetto in sede di merito di per sé non dimostra la temerarietà dell'azione, a fortiori in un caso come quello in oggetto, che ha richiesto apposito accertamento peritale in ordine a terapie non ancora munite di adeguate sperimentazioni. Per il resto, il ricorso incidentale si colloca all'esterno dell'area dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacché quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione v. art. 384 ult. co. c.p.c. , senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire. Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto se invece risulta erronea, nessuna motivazione per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione. In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi. La reciproca soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.