Indennità a forfait anche per la somministrazione nulla

L’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, l. n. 183/10 trova applicazione ogniqualvolta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la conversione in contratto a tempo indeterminato e, quindi, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito ex art. 27 d.lgs. n. 276/03, in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17540/2014, depositata il 1° agosto 2014 e riguardante un contratto di somministrazione lavoro, a tempo determinato, privo di specifica causale. Causale della somministrazione generica? Non resta che la nullità. Il d.lgs. n. 276/03 è chiaro in caso di omessa o generica causale di un contratto di somministrazione di lavoro, il contratto è nullo con conseguente conversione dello stesso in contratto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, tra lavoratore ed utilizzatore, oltre al risarcimento del danno in favore del lavoratore illegittimamente somministrato. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione non si limita certo a riformulare un precetto legislativo, ma si spinge sino a giustificare la sanzione della nullità nell’ambito del sistema giuslavoristico. Innanzitutto, la sanzione della nullità è l’unica che può avere l’effetto di convertire un rapporto di lavoro a tempo determinato, per somministrazione, tra lavoratore e somministratore, in un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, ab origine , tra lavoratore ed utilizzatore. Pertanto, se si vogliono fare salvi gli effetti della sanzione, l’unica ipotesi possibile è quella della nullità. In secondo luogo, considerando l’intero impianto del d.lgs. n. 276/03, il contratto di somministrazione, viziato da una generica causale, sarebbe indice inequivocabile di frode alla legge o, quantomeno, di deviazione causale del contratto, entrambe sanzionate in via di nullità. Pertanto, comunque si guardi alla somministrazione con causale generica, l’unica pena giuridicamente razionale è la nullità. Il trend è il risarcimento a forfait. Sgombrato il campo dai dubbi sulla nullità, la Suprema Corte si sofferma sulla determinazione del risarcimento del danno. All’esito del secondo grado di giudizio, la Corte territoriale aveva dichiarato la nullità del contratto di somministrazione per genericità della causa, con conseguente risarcimento del danno pari a tutte le mensilità globali di fatto maturate dalla data della cessazione del rapporto di lavoro. Diversamente, la Corte di Cassazione ritiene che il risarcimento vada quantificato a forfait nella misura da 2,5 mensilità a 12 mensilità, così come indicato dall’art. 32, comma 5, del c.d. Collegato Lavoro e pertanto, cassa con rinvio la sentenza impugnata, onde rideterminare l’ammontare del risarcimento. La decisione della Corte conferma l’ultimo orientamento Cass., n. 1148/2013 e Cass., n. 13404/2013 e si pone in linea con la tendenza normativa degli ultimi anni. Per giungere ad una simile decisione, la Suprema Corte considera le numerose analogie tra la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, di cui alla l. n. 196/97, e quella sulla somministrazione di lavoro, di cui al d.lgs. n. 276/2003, art. 20 e ss. la nullità ha come effetto la conversione del rapporto. Infatti, si pensi che, i rapporti tra lavoratore e somministratore e tra quest’ultimo e l’utilizzatore sono negozi giuridici collegati la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche il rapporto tra lavoratore e somministratore, con il risultato finale di una duplice conversione. Da un lato, il lavoratore viene considerato subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore art. 27, ultimo comma, d.lgs. n. 276/2003 dall’altro lato, il contratto che, con il somministratore era sorto a tempo determinato, diviene a tempo indeterminato con l’utilizzatore. Tuttavia, fintanto che non vi è una sentenza che disponga la predetta conversione, il rapporto tra utilizzatore e lavoratore ha avuto le caratteristiche del rapporto di lavoro a tempo determinato, pertanto, risulta razionale l’applicazione della sanzione indennitaria prevista dall’art. 32, comma 5, Collegato lavoro da 2,5 a 12 mensilità , tanto più che essa si applica – per espressa previsione di legge - ai casi di conversione del contratto a tempo determinato . Basta coi megarisarcimenti. Composti dalle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data di cessazione del rapporto del lavoro a quella dell’effettivo pagamento o dell’effettiva reintegrazione. L’attuale tendenza normativa e giurisprudenziale è quella di liquidare il danno a forfait , individuando un quantum compreso entro una forbice di valori basti pensare all’intricata novella dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, ad opera della Legge Fornero. I lavoratori gioveranno meno dalle lungaggini dei Tribunali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 maggio – 1 agosto 2014, numero 17540 Presidente Lamorgese – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza del 2.10.12, depositata il 19.11.12, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della pronuncia numero 376/2010 del Tribunale di Treviso, dichiarava l’esistenza dal 24.3.06 d'un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra SN e la S.r.l. GR e condannava quest’ultima a ripristinare detto rapporto con il lavoratore e a pagargli le retribuzioni maturate dal 23.2.09 fino al ripristino del rapporto medesimo. Tale statuizione era adottata in base alla ritenuta nullità per genericità della causale del contratto di somministrazione lavoro stipulato da U S.p.A. - impresa di somministrazione lavoro - e GR S.r.l. a seguito. del quale SN aveva svolto la propria prestazione lavorativa per conto della seconda società, che ricorre per la cassazione della sentenza della Corte territoriale affidandosi a quattro motivi SN è rimasto intimato. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 414 c.p.c. e vizio di motivazione per avere l’impugnata sentenza negato che il ricorso introduttivo di lite proposto da SN fosse nullo per carente allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda. Il motivo è improcedibile. È pur vero, come statuito da Cass. S.U. 22.5.12 numero 8077, che il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione della adeguatezza delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio, essendo investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, ma ciò è possibile solo a condizione che la censura sia stata proposta conformemente alle prescrizioni dettate dagli arti. 366 co. 1° numero 6 e 369 co. 2° numero 4 c.p.c. Nel caso in esame non risulta rispettata la prescrizione dell’articolo 369 co. 2° numero 4 c.p.c., non avendo la società ricorrente depositato gli atti i ricorsi introduttivi poi riuniti su cui si basava la propria eccezione. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’ articolo 27 d.lgs.numero 276/03, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto sanzionata con la nullità l’asserita genericità della causale del contratto di somministrazione, nonostante che tale sanzione sia prevista - in realtà - solo per il difetto di forma scritta inoltre — prosegue il ricorso - nel caso di spècie la causale, lungi dall’essere generica, conteneva un espresso riferimento alle esigenze di somministrazione di forza lavoro connesse a punte di più intensa attività, la cui sussistenza non è stata provata sol perché i giudici d’appello non hanno consentito attività istruttoria a riguardo. Il motivo è infondato perché, anche a voler supporre l’astratta validità della causale, comunque essa non è stata provata, come notato dall’impugnata sentenza. E in tema di somministrazione di manodopera, la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti cfr. Cass. 9.9.13 numero 20598 . Sostiene parte ricorrente che la mancata dimostrazione dell’effettività della causale sarebbe dipesa dalla Corte territoriale, che non avrebbe consentito attività istruttoria a riguardo. Ma in tal caso il vizio da denunciare sarebbe dovuto essere un altro, ossia un error in procedendo per violazione del diritto alla prova, con specifica indicazione del quando e del come la prova stessa sia stata chiesta e coltivata, il che non è avvenuto, rivelandosi il ricorso non autosufficiente a riguardo. Il motivo è altresì infondato anche nella parte in cui suppone che la sanzione della nullità del contratto di somministrazione sia estranea all’ipotesi di indicazione generica od omessa della relativa causale. Già questa S.C. ha avuto modo di affermare - riguardo all’omologa figura del lavoro temporaneo di cui alla legge numero 196/97 - che il contratto di fornitura non può omettere di indicare la relativa causale, né può indicarla in maniera generica limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa ha altresì statuito che in tal caso la sanzione è l’illegittimità del contratto e la conseguente instaurazione del rapporto, a tutti gli effetti, con l’utilizzatore v. Cass. 7.1.13 numero 1148 . Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in ordine alla somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e ss. del d.lg.s numero 276/03. E pur vero che l’articolo 21 ult. co. d.lg.s numero 276/03 prevede espressamente la sanzione della nullità in caso di difetto di forma scritta del contratto di somministrazione e che il successivo articolo 27 co. 1° stabilisce che, quando la somministrazione di lavoro sia avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui ai precedenti artt. 20 e 21 co. 1° lettere a , b , c , d ed e , il lavoratore può chiedere in via giudiziaria la costituzione d’un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione. Nondimeno, la sanzione della nullità anche per indicazione omessa o generica della causale della somministrazione è nella logica del sistema, oltre che nel rilievo che la lett. c del co. 1° dell’articolo 21 si riferisce, appunto, all’indicazione della causale. D’altro canto, se non si versasse in ipotesi di nullità, non avrebbe senso il consentire al lavoratore l’azione per ottenere la costituzione del rapporto, ab origine, alle dipendenze dell’utilizzatore. Né tragga in inganno la terminologia adottata dal legislatore che nel parlare di costituzione del rapporto anziché di suo mero accertamento sembrerebbe evocare un’azione costitutiva e, quindi, un’ipotesi di mera annullabilità in realtà il prevedere espressamente che tale azione può essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore come si legge nel cit. articolo 27 co. 1° esclude in radice che quella prevista sia un’ipotesi di annullabilità anziché di nullità, non potendo la prima essere pronunciata se non in contraddittorio di tutte le parti del contratto da annullare. Ma, ancor prima di tali considerazioni, v’è un ulteriore argomento preliminare ed assorbente per ritenere prescritti a pena di nullità anche gli elementi di cui alle lettere a , b , c , d ed e dell’articolo 21 co. 1° d.lgs. numero 276/03 ammessa la categoria degli elementi naturali del negozio anche se autorevole dottrina ritiene debba parlarsi solo di effetti naturali , è innegabile che essi siano tali solo se derogabili dalle parti. Ora, nessuno dei citati elementi è derogabile dalla volontà delle parti, nel senso che esse non potrebbero mai, ad esempio, escludere che il lavoratore debba eseguire la propria prestazione presso una data impresa utilizzatrice o lasciarne libera la scelta da parte dell’impresa fornitrice, perché ciò produrrebbe una palese alterazione causale del negozio. Né, infine, può ammettersi che il contratto di somministrazione taccia, puramente e semplicemente, le ragioni della somministrazione medesima riservandosi di enunciarle solo a posteriori in ragione della convenienza del momento, perché ciò vanificherebbe in toto l’impianto della legge e siffatta omissione darebbe indice inequivocabile di frode alla legge e/o di deviazione causale del contratto entrambe sanzionate in via di nullità . Dunque, oltre alla forma scritta, devono ritenersi prescritti ad supstantiam, per loro natura e/o per coerenza sistematica con altre disposizioni di legge, anche gli elementi di cui alle lettere a , b , c , d ed e dell’articolo 21 co. 1° d.lgs. numero 276/03. Con il terzo motivo ci si duole di vizio di motivazione e di violazione dell’articolo 1372 c.c. per avere la gravata pronuncia negato la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo dissenso, nonostante l’inerzia del lavoratore protrattasi per tre anni nell’agire in giudizio per far valere il proprio diritto, la contestuale sua iniziativa tesa a far valere la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con altro imprenditore e l’ingiustificata mancata comparizione del lavoratore in prima udienza. Il motivo è infondato. Invero, la più recente giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - è ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. Peraltro, si deve tenere presente che l’azione diretta a far valere l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato si configura come azione di nullità parziale del contratto per contralto con norme imperative ex artt. 1418 e 1419 cpv. c.c., azione per sua stessa natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto a tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine Cass. 15.11.2010 numero 23057 conf. Cass. 1°.2.2010 numero 2279 v., ancora più di, recente, Cass. numero 9583/2011 . In senso conforme si vedano, altresì, le meno recenti Cass. 10.11.2008 numero 26935 Cass. 28.9.2007 numero 20390 Cass. 17.12.2004 numero 23554 Cass. 11.12.2001 numero 15621 ed innumerevoli altre. Aggiunge, ancora la cit. sentenza numero 9583/2011 che grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. ancora, in senso conforme, Cass. 2.12.2002 numero 17070 . Ebbene, tutte le sentenze citate hanno, nel caso concreto sottoposto all’esame di questa S.C., ritenuto giuridicamente corretta oltre che immune da vizi logici l’affermazione dei giudici di merito secondo cui la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o più, non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, ¡a ravvisare i presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso. Aggiunge icasticamente Cass. numero 23501/2010, cit. D'altra parte come è noto, l'azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto Il contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex articolo 1418 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell'articolo 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sè solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle partì intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso v. Cass., 15/12/97 numero 12665 Cass., 25/3/93 numero 824 . Comunque, consentendo l'ordinamento di esercitare il diritto entro i limiti di tempo predeterminati, o l'azione di nullità senza limiti, il tempo i tesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sè, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l'estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell'imprescrittibilità dell'azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contro legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. anche Cass., 2/12/2000 numero 15403 Cass., 20/4/98 numero 4003 . È, inoltre, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze v. Cass. sez.1 lav. numero 2279 dell'1/2/2010, numero 16303 del 12/7/2010, numero 15624 del 6/7/2007 v., altresì, Cass. numero 23499/2010 cit. ed altre ancora . Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo Ira la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cip allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce up tacito mutuo consenso . La sentenza impugnata ha correttamente escluso un mutuo consenso alla risoluzione dal mero decorso del tempo fra la scadenza del rapporto a termine e l’esercizio dell’azione in giudizio da parte del lavoratore e dalla incontestata accettazione del TFR da parte sua a tale ultimo riguardo, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio né l’accettazione del TFR né la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine cfr., Cass., numero 15628/2001, in motivazione . Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni cfr. Cass, numero 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., numero 15900/2005, sempre in motivazione . Da ultimo, quanto alla dedotta ingiustificata mancata comparizione del lavoratore in prima udienza, si tratta di mero argomento di prova di cui, ex articolo 116 cpv. c.p.c., il giudice può discrezionalmente avvalersi ai fini della decisione, non già di elemento di per sé significativo e/o da utilizzarsi necessariamente. Pertanto, il suo mancato uso non è censurabile in sede di legittimità neppure sotto il profilo del difetto di motivazione cfr. Cass. 5.12.11 numero 26088 Cass. 10.8.06 numero 18128 Cass. 26.2.83 numero 1503 . Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’articolo 32 legge numero 183/2010, per avere la Corte territoriale condannato la società a pagare al lavoratore tutte le retribuzioni maturate dal 23.2.09 fino al ripristini del rapporto anziché una mera indennità da quantificare nel range previsto dalla norma citata, come statuito dalla giurisprudenza di questa S.C. Cass. numero 1148/13 anche riguardo alla conversione del contratto di somministrazione. Il motivo è fondato, dovendosi dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale manifestatosi con le sentenze numero 1148/13 e numero 13404/13 di questa S.C., che hanno ritenuto applicabile l’indennità prevista dall’articolo 32 co. 5° legge numero 183/10 nel significato chiarito dal comma 13° dell’articolo 1 legge numero 92/12 a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a del co. Io dell’articolo 3 legge numero 196/97, contratto convertito in uno a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. A tal fine valga, in primo luogo, l’evidente analogia tra il lavoro temporaneo di cui alla legge numero 196/97 e la somministrazione di lavoro ex artt. 20 e ps. del d.Lgs numero 276/03. In secondo, si tenga presente che, trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l’effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo ex articolo 21 ult. co. d.lgs. numero 276/03 il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore e non più del somministratore e su quello oggettivo atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempoj indeterminato con l’utilizzatore . Ma fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finché si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle d’un rapporto a termine, di guisa che nulla preclude il ricorso alla sanzione meramente indennitaria prevista dall’articolo 32 co. 5° cit., anch4 perché essa è destinata - grazie all’ampia formula adoperata dal legislatore - ai casi di conversione del contratto a tempo determinato D’altronde, la tendenza normativa è - in linea di massima - quella di liquidare con un’indennità determinata a forfait o con un risarcimento previsto entro un tetto massimo il mancato guadagno sofferto dal lavoratore nell’arco di tempo trascorso fra l’illegittima cessazione d’un rapporto lavorativo a cagione della nullità del termine o dell’illegittimità del licenziamento intimatogli e il suo ripristino grazie alla sentenza del giudice si pensi, ad esempio, all’articolo 8 legge numero 604/66, all’articolo 18 Stat. nuovo testo come modificato ex lege numero 92/12 che riserva solo a pochi casi la tutela reintegratoria piena con attribuzione di tutte le retribuzioni naturate medio tempore , e, appunto, all’articolo 32 co. 5° legge numero 183/10. Restano due ultime precisazioni la prima è che non osta alla soluzione accolta la sentenza della CGUE 11.4.13, D, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UN ICE c CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Invero, dall’esame della motivazione emerge che tale inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo quadro c dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione la direttiva 2008/104 per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice contratto a tempo determinato d’altronde, quand’anche la CGUE avesse asserito il contrario, ciò non avrebbe vincolato il giudice dello Stato membro, non conseguendo all’inapplicabilità della direttiva 1999/70/CE - quasi fosse un naturale precipitato - ima sorta di rivisitazione dei concetti propri d’un dato ordinamento, compito estraneo a quelli della Corte di Lussemburgo, cui spetta l'interpretazione del diritto dell’Unione e non di quello nazionale. La seconda puntualizzazione è che, per ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’articolo 32 co. 5° legge numero 183/10 si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo di decisione non si sia già formato il giudicato cfr., e pluribus, Cass. 3.1.11 numero 65 Cass. 4.1.11 numero 80 Cass. 2.2.11 numero 2452 . in conclusione, vanno rigettati i primi tre motivi di ricorso mentre va accolto il quarto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione. Il giudice di rinvio dovrà limitarsi a liquidare - ai sensi del cit. articolo 32 co. 5° legge numero 183/10, come autenticamente interpretato dall’articolo 1 co. 13° legge numero 92/12 - per il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la sentenza 2.10.12 della Corte d’appello di Venezia, un’indennità onnicomprensiva in misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati ndl’articolo 8 legge numero 604/66, in tal modo attenendosi al seguente principio di diritto L'indennità prevista dall’articolo 32 legge numero 183/10 trova applicazione ogni qual volta vi sia un contratto di lavoro a tempo determinato per il quale operi la Conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, anche in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l'accertamento della nullità di un contratto di somministrazione lavoro, convertito - ai sensi dell'ult. co. dell'alt. 27 d.lgs. numero 276/03 - in un contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione.’’ Quanto all’esplicita ripetizione - invocata da parte ricorrente - delle somme versate in esecuzione della sentenza impugnata, basti notare che si tratta di richiesta da avanzare ex articolo 389 c.p.c. al giudice di rinvio. P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.