Il lavoratore non ha sempre diritto al compenso per l’attività di incasso

In materia di rapporto di agenzia, il diritto dell’agente all’indennità di incasso è escluso qualora non sussista un accordo scritto relativo all’attività di incasso, quando quest’ultima riguardi soltanto i crediti non onorati alla scadenza.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18461, depositata il 29 agosto 2014. Il caso. Con sentenza il Tribunale, in funzione di giudice di appello, condannava la società datrice di lavoro al pagamento delle provvigioni maturate in favore del proprio dipendente, rigettando la domanda del lavoratore relativa all’indennità di incasso, accolta dal giudice di primo grado. Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso per cassazione. Rapporto di agenzia. Il ricorrente deduce, in uno dei dieci motivi di ricorso, violazione e falsa applicazione dell’art. 3 dell’Accordo Economico Collettivo del 24/06/1981, come modificato dal rinnovo del 9/06/1988 per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore commercio, e violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. con riferimento alla mancata considerazione che l’incarico dell’incasso può essere conferito e provato anche per presunzioni e non necessariamente per iscritto. In tema di disciplina del rapporto di agenzia l’agente non ha facoltà di riscuotere per la ditta, salvo diverso accordo scritto, e l’obbligo di stabilire specifico compenso non sussiste per il caso in cui svolga la sola attività di recupero degli insoluti. L’attività di incasso. Ove l’attività di incasso svolta dall’agente riguardi soltanto i crediti non onorati alla scadenza, nulla è dovuto all’agente medesimo a titolo di incasso Cass., n. 21079/13 . Nel caso in esame risulta pacifico che non sussista un accordo scritto relativo all’attività di incasso, e ciò vale ad escludere il diritto vantato dal ricorrente. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 luglio – 29 agosto 2014, n. 18461 Presidente Macioce – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 13 giugno 2007 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'appello, in parziale riforma della sentenza del Pretore di Napoli del 30 aprile 1997, condannava la Micheletti s.n.c. al pagamento in favore di D.C. della somma di Euro 1.381,17 a titolo di provvigioni maturate per il periodo luglio-dicembre 1989 e gennaio 1990, rigettando, per quanto rileva in questa sede, la domanda del D. relativa all'indennità di incasso, accolta dal giudice di primo grado. Il Tribunale territoriale ha motivato tale pronuncia considerando valida la sentenza di primo grado benché la copia prodotta fosse priva di una pagina, ritenendo validamente rinunciata la domanda del D. relativa alle indennità di fine rapporto ed all'indennità di maneggio denaro, e ritenendo non provata l'attività di incasso svolta dal D. e la previsione contrattuale di tale indennità, stante lo smarrimento del fascicolo di parte dell'agente contenente la documentazione necessaria. Il D. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a dieci motivi. Resiste con controricorso la Micheletti & amp C. s.a.s Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione ed errata applicazione sfalsa applicazione degli artt. 416, 420, 115 e 116 cod. proc. civ. con riferimento al mancato riconoscimento della non contestazione da parte della Micheletti dell'incarico di incasso, riconoscimento determinato dalla mancata rituale costituzione nel giudizio di primo grado. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 3 dell'Accordo Economico Collettivo del 24 giugno 1981, come modificato dall'Accordo Economico collettivo di rinnovo del 9 giugno 1988 per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore commercio e violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata considerazione che l'incarico dell'incasso può essere conferito e provato anche per presunzioni e non necessariamente per iscritto. Con il terzo motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt. 421-437 e 115 e 116 cod. proc. civ. con riferimento al mancato utilizzo dei poteri istruttori d'ufficio del giudice del lavoro. Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 157, 244 e 245 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata utilizzabilità dei testi di parte resistente a seguito della dichiarazione della nullità della sua costituzione in giudizio. Con il quinto motivo si assume violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. con riferimento all'affermazione secondo cui l'attività di esazione sarebbe limitata ad insoluti e non sarebbe invece generale. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'Accordo Economico Collettivo del 24 giugno 1981, come modificato dall'Accordo Economico collettivo di rinnovo del 9 giugno 1988 per la disciplina del rapporto di agenzia e rappresentanza commerciale con riferimento alla mancata previsione della responsabilità contabile per l'attività di riscossione. Con il settimo motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 1156 cod. proc. civ. con riferimento all'incolpevolezza della parte nel mancato rinvenimento del proprio fascicolo di parte. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 306 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata rinuncia alla domanda relativa alle indennità di fine rapporto che non sarebbe mai stata validamente accettata dalla Micheletti & amp C Con il nono motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ. con riferimento alla natura di provvigioni e non indennitaria della somma riconosciuta dal giudice di primo grado a titolo di incassi. Con il decimo motivo si assume omessa motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla mancata ammissione di mezzi istruttori e, in particolare, di una consulenza tecnico contabile d'ufficio. Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha avuto modo di affermare più volte che l'esclusione dei fatti non contestati dal thema probandum non può ravvisarsi in caso di contumacia del convenuto, in quanto la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, non essendovi un onere in tal senso argomentarle dal sistema pertanto, al convenuto, costituitosi in appello, non è precluso contestare i fatti costitutivi e giustificativi allegati dall'attore a sostegno della domanda Cass. 23 giugno 2009 n. 14623 . Il secondo motivo è pure infondato. In tema di disciplina del rapporto di agenzia ed in base alla previsione dell'art. 3, terzo e quarto comma, del Rapporto Economico Collettivo del 9 giugno 1988, l'agente non ha facoltà di riscuotere per la ditta, salvo diverso accordo scritto, e l'obbligo di stabilire specifico compenso non sussiste per il caso in cui svolga la sola attività di recupero degli insoluti. Ne consegue che, ove l'attività di incasso svolta dall'agente riguardi soltanto i crediti non onorati alla scadenza, nulla è dovuto all'agente medesimo a titolo di incasso Cass. 16 settembre 2013 n. 21079 . Nel caso in esame è pacifico che non sussista un accordo scritto relativo all'attività di incasso, e ciò vale ad escludere il diritto vantato dal ricorrente. Parimente infondato è il terzo motivo. La scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all'apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge da ultimo Cass. 20 settembre 2013 n. 21603 , per cui il ricorrente non può lamentare in questa sede il mancato utilizzo dei poteri istruttori d'ufficio da parte del giudice del merito quale violazione di legge. Il quarto ed il quinto motivo relativi alla prova del conferimento dell'incarico di incasso, sono infondati. Il ricorrente afferma erroneamente che il Tribunale territoriale gli avrebbe addossato l'onere probatorio relativo a cui non avrebbe potuto assolvere a causa della dichiarazione di contumacia in primo grado. Il giudice dell'appello ha invece affermato l'insussistenza di elementi tali da far presumere” il compenso per gli incassi, precisando che la documentazione in atti prova solo l'incarico per l'esazione degli insoluti, incarico che, di per sé, come detto, non comporta un distinto compenso. Il sesto motivo è pure infondato. Valgano, a tale riguardo, le considerazioni svolte a proposito del secondo motivo di ricorso in relazione alla prova dell'attività di incasso. Infondato è anche il settimo motivo. Nell'ipotesi di perdita del fascicolo d'ufficio e dei fascicoli di parte in esso contenuti, la parte ha l'onere di richiedere al giudice il termine per ricostruire il proprio fascicolo. Dalla memoria del ricorrente risulta che tale termine per la ricostruzione del fascicolo era stato ritualmente concesso, per cui il ricorrente ha avuto la possibilità di depositare i documenti necessari alla propria difesa. L'ottavo motivo è pure infondato. La rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, per cui non necessita di mandato specifico come per la rinuncia all'intera azione Cass. 17 dicembre 2013, n. 28146 . Il nono motivo è inammissibile per il difetto del requisito dell'autosufficienza. Infatti il ricorrente, lamentando che sarebbe stata equivocata la qualificazione giuridica della somma riconosciuta dal giudice di primo grado, non espone né riproduce gli esatti termini della domanda introduttiva e del relativo riconoscimento da parte del giudice di primo grado. Il decimo motivo è infondato. In relazione alla scelta dei mezzi istruttori valga quanto esposto riguardo al terzo motivo di ricorso. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in complessive Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese generali del quindici per cento.