La Suprema Corte in difesa dei pensionati della cassa ragionieri e del pro rata temporis

La Suprema Corte, dopo aver richiamato la propria copiosa giurisprudenza in materia, ha ritenuto che il principio del pro rata temporis , attenuato solo con l’art. 763 legge n. 296/2006 norma non retroattiva, andava applicato alla fattispecie de quo perché nemmeno la legge n. 147/2013 aveva i connotati della norma di interpretazione autentica e quindi valeva solo per lo avvenire.

Il caso. La fattispecie affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 17892/2014, è uguale a tante altre pendenti, anche avanti il Tribunale di Trento. Un ragioniere il 25 giugno 2004 presenta alla CNPR domanda di pensione di vecchiaia che viene accolta con una decurtazione di euro 14.350,49 annui per via delle modifiche regolamentari medio tempore introdotte. Su ricorso dello interessato che chiedeva la applicazione del pro rata temporis il Tribunale di Padova prima e la Corte di Appello di Venezia dopo condannava la Cassa a riliquidare la pensione ivi comprendendo anche la somma di euro 14.350,49 in applicazione del principio del pro rata . Ricorre la Cassa con 4 motivi esaminati congiuntamente dalla Corte e rigettati. Il ragionamento della Corte di Cassazione rinvenibile nella sentenza allegata a me pare corretto in molte affermazioni ma in una no. Vediamole. Bisogna premettere che la Cassa dei Ragionieri e periti commerciali per prima nel panorama delle casse private dei professionisti ha optato per il sistema di calcolo contributivo con delibera del 22 giugno 2002 regolando la fase transitoria di passaggio dal regime retributivo a quello contributivo mediante la erogazione di due quote di pensione, la quota A retributiva e la quota B contributiva applicando alla quota A la media di tutti i redditi professionali annui cosi innovando rispetto alla previgente media dei migliori 15 anni degli ultimi 20. Mancato rispetto del principio del pro rata temporis? Il pensionato ha sostenuto che la Cassa non aveva rispettato il principio del pro rata temporis nel transitare dai 15 degli ultimi anni 20 anni alla media di tutti i redditi professionali dichiarati nella liquidazione della quota A. La Cassa ha sostenuto che il principio del pro rata deve necessariamente coesistere con il livello di autonomia della previdenza privatizzata che per la ipotesi di passaggio al sistema contributivo e quindi di riforma strutturale del sistema pensionistico, il principio del pro rata non poteva trovare applicazione che il comma 763 della legge numero 296/2006 aveva disposto la salvezza degli atti e delle deliberazioni adottate dagli enti ed approvate dai Ministeri Vigilanti che la legge numero 147/2013 aveva interpretato autenticamente il comma 763 teste citato nel senso che andavano ritenute legittime le deliberazioni assunte prima di tale legge se finalizzate ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine. La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso compensando le spese solo perché l’iscritto non aveva partecipato alla discussione per nullità dichiarata della procura. Come ho già detto quasi tutte le affermazioni della Suprema Corte sono condivisibili ad eccezione di una. Ed infatti di fronte alla eccezione della Cassa che si era di fronte, nel 2002, ad una riforma strutturale importante quale certamente è stato il passaggio dal criterio di calcolo retributivo della pensione a quello contributivo con la necessità di regolamentare la transizione sino alla compiuta entrata in vigore appunto del criterio contributivo,la Suprema Corte ha affermato che un tanto è subordinato allo accertamento, l’essere gli atti e delibere degli enti finalizzati ad assicurare lo equilibrio finanziario di lungo termine, non consentito nel giudizio di legittimità. Come se non fosse notorio anche in Cassazione che il passaggio dal criterio di calcolo retributivo a quello contributivo è avvenuto proprio per assicurare l’equilibrio di bilancio di lungo termine senza necessità di alcun accertamento fattuale sul punto. Ma come dico sempre io chi ha la penna in mano scrive e noi possiamo solo commentare! Condivisibili invece tutte le altre affermazioni della Suprema Corte largamente utilizzabili anche per il preciso richiamo alla normativa della CEDU. La Suprema Corte, dopo aver richiamato la propria copiosa giurisprudenza in materia, ha ritenuto che il principio del pro rata temporis , attenuato solo con l’art. 763 della legge numero 296/2006 norma non retroattiva, andava applicato alla fattispecie de quo perché nemmeno la legge numero 147/2013 aveva i connotati della norma di interpretazione autentica e quindi valeva solo per lo avvenire. Ma ci sono alcuni passaggi della Suprema Corte che vanno riportata per intero stante il suo carattere didattico” proprio per il richiamo alla CEDU in relazione a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati, nel caso di specie i già pensionati, ma che, mutatis mutandis , potrà essere utilizzata anche dai 56mila avvocati interessati al regolamento di cui allo art. 21, commi 8 e 9, della legge numero 247/2012 che sarà presumibilmente impugnato al Tar del Lazio anche per violazione del generale principio di ragionevolezza che si riflette nel divieto di introdurre, allo interno della medesima categoria, ingiustificate disparità di trattamento in materia pensionistica a danno di una coorte di iscritti, oggi i pensionati domani i giovani, magari le vedove e via discorrendo. Deve inoltre considerarsi che li giudice delle leggi C. Cost. numero 78\2012 , ha in più occasioni chiarito i limiti che il legislatore incontra nell'emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, individuandolo, in generale, nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costltuzionale,che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale”, ai sensi della Convenzione europea del diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali CEDU . Ha quindi stabilito che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica può dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario ex plurimis , sentenze numero 271 e numero 257 del 2011, numero 209 del 2010 e numero 24 del 2009 . In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo”, in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto” sentenza numero 311 del 2009 , o di ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” ancora sentenza numero 311 del 2009 , a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza del cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Ipotesi queste che non possono ravvisarsi nella specie, ove è riconosciuta legittimità ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati già pensionati , in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa li rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario sentenza numero 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto . Nella specie non può ritenersi che sussistano detti requisiti, in primo luogo difettando una situazione di oggettiva Incertezza del dato normativo, sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimità, in senso peraltro opposto a quello della novella in esame, che si pone così in contrasto con gli ultimi dei limiti indicati. La soluzione fatta propria dal legislatore con la norma in questione, inoltre, non può essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d'interpretazione, quanto piuttosto una norma innovativa, diretta esclusivamente a rendere retroattivamente legittimi gli atti e delibere emanati dalla Cassa in contrasto con le norme vigenti in materia, come evincibili dal consolidato orientamento di legittimità In argomento. Pertanto, la norma della finanziaria 2014, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 1, comma 763, L. numero 296\06, ad esso nettamente deroga, Innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione, in contrasto col divieto di introdurre Ingiustificate disparità di trattamento e della tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti assicurati e già pensionati, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti C. Cost. numero 170\2013, numero 103\2013, numero 271 \2011 . La norma in questione, inoltre, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza C.Cost. numero 209/2010 . Né può venire in considerazione, nel contesto riferito, il principio della discrezionalità del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative C.Cost. ordinanze numero 137 e 346 del 2008 . È peraltro noto che, a partire dalle sentenze numero 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza della Corte costituzionale è costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea del diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali norme interposte”, il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazlone interna al vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex plurimis , sentenze numero 1 del 2011 numero 196, numero 187 e numero 138 del 2010 sulla perdurante validità dl tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza numero 80 del 2011 . La Corte europea del diritti dell'uomo ha più volte affermato che se, in linea dl principio, nulla vieta al potere legislativo dl regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, li principio della preminenza del diritto e Il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per Imperative ragioni dl Interesse generale, all'Ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine di Influenzare l'esito giudiziario di una controversia ex plurimls , Corte europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesl e altri contro Italia . Pertanto, secondo li giudice delle leggi, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva fermi I limiti dl cui all'art. 25 Cost. , se giustificato da motivi imperativi d'interesse generale”. Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni sopra svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d'interesse generale, idonei ad attribuire effetto retroattivo alla norma in questione. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, incidendo sull'esito giudiziario di controversie in corso .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 aprile – 12 agosto 2014, n. 17892 Presidente Lamorgese – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Padova, G.D. ha dedotto - di avere presentato il 25.6.2004 domanda di pensione di vecchiaia alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali CNPR - che con lettera del 26.12.04, la Cassa gli aveva comunicato di avere erogato in suo favore la pensione provvisoria dell'importo annuo di Euro 52.124, 22 - che l'importo della pensione era stato calcolato sulla base dei parametri stabiliti dall'articolo 50 del regolamento di esecuzione della Cassa con riferimento alla media degli ultimi 24 redditi professionali e non invece degli ultimi 16, come stabilito dal decreto interministeriale del 29.1.01 - che il ricorso amministrativo era stato respinto - che con successiva deliberazione, la Cassa aveva liquidato la pensione annua definitiva pari ad Euro 58.191,25, includendo il reddito del 2003 -che per effetto della utilizzazione di questi parametri, la propria pensione era stata decurtata di Euro 14.350,49 annui - che la delibera della Cassa era stata emessa in violazione di legge, essendo diretta a ridurre il trattamento pensionistico spettante in base alle norme di legge ed in particolare all'articolo 3 comma 12 Ln. 335/1995 e al principio del pro-rata. Chiedeva quindi che, previa declaratoria di illegittimità del criterio di calcolo adottato dalla Cassa, la resistente venisse condannata al pagamento della ulteriore somma annua di Euro 14.350,49 o, in via subordinata, al pagamento della quota di pensione risultante dall'applicazione del criterio del pro-rata, oltre agli accessori del capitale sui ratei maturati. La Cassa si costituiva deducendo - che il principio del pro-rata deve necessariamente coesistere con il livello di autonomia della previdenza privatizzata stabilito dall'articolo 3 L. n. 335/1995, potendo essere derogato tutte le volte in cui non sia possibile frazionare l'anzianità assicurativa e contributiva - che per le ipotesi di passaggio al sistema contributivo e quindi di riforma strutturale del sistema pensionistico, il principio del pro-rata, non essendo enunciato, non poteva trovare applicazione - che la Cassa aveva quindi applicato le disposizioni derivanti dalla riforma pensionistica dirette alla stabilità finanziaria della gestione e ispirata ad una maggiore equità del sistema -che in ogni caso contestava il quantum della pretesa. Con sentenza del 17.5.07, il Tribunale condannava la Cassa al pagamento in favore del ricorrente della pensione annua lorda corrispondente alla applicazione del principio del pro-rata, per un importo corrispondente ad una somma ulteriore annuale di Euro 14.350,49, oltre agli interessi di legge dalla data di maturazione dei singoli ratei al saldo e rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite. Proponeva appello la Cassa resisteva il G. . Con sentenza depositata l'11 marzo 2011, la Corte d'appello di Venezia rigettava il gravame. Per la cassazione propone ricorso la Cassa, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria. La difesa del G. ha depositato procura. Motivi della decisione Deve pregiudizialmente affermarsi la nullità della procura della difesa del controricorrente, in quanto conferita con atto separato diverso da quelli indicati dall'ari . 83, terzo comma, cod. proc. civ., posto che l'articolo 125, secondo comma, cod. proc. civ. consente il conferimento della procura con atto successivo alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio di merito, purché anteriore alla costituzione della parte rappresentata in giudizio - sicché è in tal caso necessario che l'autografia della firma di quest'ultima sia attestata dal notaio,, pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, mentre è inidonea, come nella fattispecie, l'attestazione del difensore, perché tale potere è previsto soltanto se la procura gli è conferita in uno degli atti indicati dell'articolo 83, terzo comma, cod. proc. civ. ex aliis, Cass. 26.11.04 n. 22285 . Venendo al merito si osserva. 1.- Con il primo motivo la Cassa ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e della L. n. 414 del 1991, articolo 1. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto rigidamente applicabile il principio del pro rata anche nel caso di radicale riforma strutturale del sistema pensionistico della cassa. 2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia e in subordine la violazione e falsa applicazione ancora della L n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e della L n. 414 del 1991, articolo 1. Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulle censure relative al principio del pro rata” e della frazionabilità della anzianità contributiva. Contesta in particolare l'affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto l'illegittimità dell'operato della Cassa riducendo il trattamento pensionistico spettante con riguardo alla proporzione tra contributi e ammontare delle prestazioni. Sostiene che il regolamento della Cassa ha fatto corretta applicazione del principio del pro rata disciplinando il passaggio dal regime retribuivo a quello contributivo. 3. - Con il terzo motivo la Cassa denuncia ancora violazione della L n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, nel testo originario e in quello risultante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 763. Tale ultima disposizione ha fatto salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti ed approvati dai Ministeri vigilanti prima delle data di entrata in vigore della legge, ossia prima del 1 gennaio 2007. Secondo la Corte veneziana, invece, tale disposizione non renderebbe legittimi gli atti solo perché adottati prima della sua entrata in vigore, ma ne garantirebbe l'efficacia prolungata nel tempo, se assunti nel rispetto della legge. Secondo la CNPR tale interpretazione finisce per privare la norma di qualsiasi significato utile. 4.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione. Evidenzia che il diritto a pensione di anzianità è stato maturato a far data dal 1 luglio 2003 e che quindi il regime giuridico del trattamento pensionistico era quello vigente successivamente al 22 giugno 2002. 5.- Il ricorso - i cui quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato, come più volte affermato da questa Corte in identiche fattispecie ex plurimis, Cass. 18.4.11 n. 8847 Cass. ord. 7.3.12 n. 3613 Cass. 29.10.12 n. 18556 Cass. n. 13607/12 Cass. n. 18559/12 Cass. n. 18558/12, Cass. n. 18479/12 Cass. nn. 13607/2012, 13613/2012, 13614/2012 , ritenendo infondata la tesi della Cassa circa la legittimità del nuovo testo dell'articolo 49 del regolamento della Cassa medesima, introdotto con la delibera del 22 giugno 2002, la quale aveva determinato il reddito professionale, in base al quale liquidare la pensione, non già, com'era in precedenza, sulla base dei quindici redditi professionali annuali dichiarati dall'iscritto ai fini Irpef per gli ultimi venti anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione , ma sulla base della media di tutti i redditi professionali annuali col limite che la misura della pensione non potesse essere inferiore all'80% di quella derivante dall'applicazione delle modalità di calcolo previgenti. In tali pronunce si è sostanzialmente statuito che in tema di trattamento previdenziale, è illegittimo il provvedimento di liquidazione della quota retribuiva della pensione avendo determinato il reddito professionale, su cui liquidare la pensione, non già - com'era disposto in precedenza - sulla base dei quindici redditi professionali annuali dichiarati dall'iscritto ai fini Irpef per gli ultimi venti anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione , ma sulla base della media di tutti i redditi professionali annuali perché effettuato nella specie sempre dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali in violazione della regola del pro rata di cui all'articolo 3, comma 12, legge 8 agosto 1995, n. 335 né può rilevare, in senso contrario, il disposto dell'articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il quale va interpretato nel senso che la disposta salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 ed approvati dai Ministeri vigilanti, non vale a sanare la illegittimità dei provvedimenti adottati in violazione della precedente legge vigente al momento della loro emanazione. Né rileva, sulla questione in esame, il disposto del D.L. n. 201 del 2011, articolo 24, comma 24, convertito in L. n. 214 del 2011, il quale estende all'arco temporale di 50 anni le misure da adottare volte ad assicurare l'equilibrio finanziario delle casse professionali. Più in particolare si è osservato cfr. da ultimo Cass. ord. 14.2.14 n. 3514 che Nel regime dettato dall'articolo 1, comma 12, legge 8 agosto 1995 n. 335 di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare , prima delle modifiche a tale disposizione apportare dall'articolo 1, comma 763, legge 27 dicembre 2006, n. 296 legge finanziaria 2007 , la garanzia costituita dal principio c.d. del prò rata - il cui rispetto è prescritto per le casse privatizzate ex d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse. Pertanto con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e alle modifiche regolamentari adottare con delibere del 22 giugno 2002, 7 giugno 2003 e 20 dicembre 2003, che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera - per il calcolo della quota A - il principio del pro rata e quindi trova applicazione il previgente più favorevole criterio di calcolo la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione, e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni”. Tutte le complesse e contrarie argomentazioni della Cassa, oggi riproposte, sono state trattate nelle suddette pronunce e ritenute non condivisibili. Il Collegio ritiene di dover dare continuità al riferito orientamento. Inoltre, la sentenza invocata dalla Cassa n. 18478/2012 ha espressamente disatteso le argomentazioni della Cassa medesima, avendo affermato che Non occorre quindi - diversamente da quanto sostiene la difesa della Cassa - fare applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla L. n. 160 del 1963, poi seguita dalla L. n. 1140 del 1970, quindi dalla L. n. 414 del 1991, e poi dalle Delibere del 1997. Si ha infatti che il principio del pro rata è stato posto, per le Casse privatizzate, dalla L. n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12, e quindi opera solo dall'entrata in vigore di tale legge di riforma ed in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche incidenti sulla determinazione della pensione e, quindi, con riferimento ai criteri di liquidazione che, al momento di introduzione di dette modifiche, sarebbero stati altrimenti applicabili a tali pregresse anzianità . Il consolidato orientamento di questa Corte, sopra cennato, ha altresì ritenuto infondato anche il richiamo allo ius superveniens , ossia alla L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 763. Tale norma sostituisce il primo e secondo periodo della L. n. 335 del 1995, articolo 3, comma 12 col primo si innalza l'arco temporale da prendere in esame per assicurare l'equilibrio di bilancio degli enti previdenziali privatizzati da 15 a 30 anni col terzo periodo sostitutivo del secondo della precedente norma si dispone In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni . E1 stato al riguardo affermato Cass. n. 13607/2012 che quella in esame È una norma a carattere innovativo che in particolare, sostituisce il principio del pro rata di cui all'originario articolo 3, comma 12, nella formulazione della L. n. 335 del 1995, con un principio similare, ma meno rigido. Non è più previsto il rispetto del principio del pro rata , ma occorre che le Casse privatizzate, e quindi anche quella per ragionieri e periti commerciali, nell'esercizio del loro potere regolamentare, abbiano presente il principio del pro rata nonché i criteri di gradualità e di equità fra generazioni ciò a partire dal 1 gennaio 2007. Il legislatore del 2006 ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del pro rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni. In questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati . La disposizione quindi facoltizza la Cassa ad adottare delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originari di cui alla legge n. 335/95, tuttavia ciò non può che valere per il futuro, cioè per le delibere della Cassa adottate successivamente all'entrata in vigore della legge, ossia dal primo gennaio 2007, mentre nella specie si tratta di verificare la legittimità delle precedenti delibere del 2002 e del 2003 sulla base delle quali è stata liquidata la pensione per cui è causa. In altri termini, la modifica apportata alla facoltà di decisione della Cassa riguarda le delibere future, successive al gennaio 2007, ma non può operare retroattivamente, per rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui sono state emanate. 5.1 - Deve tuttavia considerarsi che la Legge 23 dicembre 2013 n. 147, articolo 1, comma 488, in vigore dal 1 gennaio 2014, stabilisce L'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine . Ritiene tuttavia il Collegio che anche a tale norma non possa attribuirsi natura retroattiva e risulti comunque inapplicabile al presente giudizio di legittimità, essendo subordinata ad un accertamento, l'essere gli atti e delibere degli enti finalizzati ad assicurare l'equilibrio finanziario di lungo termine, in ogni caso non consentito a questa Corte. Deve inoltre considerarsi che il giudice delle leggi cfr. ex aliis, C. Cost. n. 78/2012 , ha in più occasioni chiarito i limiti che il legislatore incontra nell'emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, individuandolo, in generale, nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale , ai sensi della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali CEDU . Ha quindi stabilito che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica può dirsi costituzionalmente legittima innanzitutto qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario ex plurimis. sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009 . In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo , in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto sentenza n. 311 del 2009 , o di ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore ancora sentenza n. 311 del 2009 , a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Ipotesi queste che non possono ravvisarsi nella specie, ove è riconosciuta legittimità ed efficacia, con effetto retroattivo ed a distanza di oltre dieci anni, con relativo vulnus alla certezza del diritto, a delibere peggiorative di una sola categoria di assicurati già pensionati , in contrasto con quanto affermato dal giudice delle leggi circa il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto . Nella specie non può ritenersi che sussistano detti requisiti, in primo luogo difettando una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, sussistendo in materia un ampio, e da tempo consolidato, univoco orientamento di legittimità, in senso peraltro opposto a quello della novella in esame, che si pone così in contrasto con gli ultimi dei limiti indicati. La soluzione fatta propria dal legislatore con la norma in questione, inoltre, non può essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d'interpretazione, quanto piuttosto una norma innovativa, diretta esclusivamente a rendere retroattivamente legittimi gli atti e delibere emanati dalla Cassa in contrasto con le norme vigenti in materia, come evincibili dal consolidato orientamento di legittimità in argomento. Pertanto, la norma della finanziaria 2014, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato articolo 1, comma 763, l. n. 296/06, ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione, in contrasto col divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento e della tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti assicurati e già. pensionati, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti cfr. da ultimo C. Cost. n. 170/2013, n. 103/2013, n. 271/2011 . La norma in questione, inoltre, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza cfr. C. Cost. n. 209 del 2010 . Né può venire in considerazione, nel contesto riferito, il principio della discrezionalità del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative C.Cost. ordinanze n. 137 e 346 del 2008 . È peraltro noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza della Corte costituzionale è costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali norme interposte , il parametro costituzionale espresso dall'articolo 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex plurimi?, sentenze n. 1 del 2011 n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010 sulla perdurante validità di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011 . La Corte Europea dei diritti dell'uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'articolo 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia ex plurimis. Corte Europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia . Pertanto, secondo il giudice delle leggi, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva fermi i limiti di cui all'articolo 25 Cost. , se giustificato da motivi imperativi d'interesse generale . Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni sopra svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d'interesse generale, idonei ad attribuire effetto retroattivo alla norma in questione. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall'articolo 117, primo comma, Cost., in relazione all'articolo 6 della Convenzione Europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, incidendo sull'esito giudiziario di controversie in corso. 13.- In definitiva il ricorso deve essere rigettato, imponendosi una interpretazione dell'articolo 1, comma 488, L. n. 147/13 conforme ai menzionati principi costituzionali. Nulla per le spese, in quanto, per la accertata nullità della procura rilasciata dall’intimato al difensore, restava precluso a quest'ultimo anche la partecipazione alla discussione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.