Il datore di lavoro dà e toglie, ma non può mettere in discussione il diritto al congedo

E’ illegittimo e arbitrario il licenziamento predisposto nei confronti di un lavoratore per l’aver richiesto la possibilità di fruire di un congedo parentale, quando alla base della motivazione vi sia il mancato rispetto di una circolare INPS.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza numero 15078, depositata il 2 luglio 2014. Il caso. Il Giudice di primo grado respingeva il ricorso del lavoratore col quale impugnava il licenziamento e chiedeva il risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale per mobbing. Al contrario, la Corte d’appello accoglieva il gravame dichiarando illegittimo il licenziamento, ordinando l’immediata reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno quantificato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegra, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Il datore di lavoro può avvalersi della circolare INPS per negare il congedo parentale? La società ricorreva allora in Cassazione. Secondo la stessa il congedo parentale richiesto dal lavoratore era privo dei presupposti fissati dalla circolare INPS numero 109/2000, in particolare mancavano le allegazioni richieste, per cui correttamente la società aveva ritenuto che il lavoratore non avesse diritto a beneficiare dell’astensione facoltativa e che perciò lo stesso si fosse arbitrariamente assentato per un certo periodo, limitandosi semplicemente a preavvertire della sua assenza per permesso parentale e pretendendo di essere esonerato dal dare la dimostrazione di poter effettivamente usufruire del diritto in questione. Il motivo è infondato. Osserva infatti il Collegio che la Corte di merito aveva giustamente ritenuto illegittimo il licenziamento, in quanto fondato su un presupposto inesistente e contra legem , ossia la possibilità per il datore di lavoro di interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo, anche perché l’art. 18 l. numero 53/2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città prevede espressamente la nullità del licenziamento causato da domanda o fruizione del congedo parentale. Inoltre, la sopracitata circolare INPS non può di certo mettere in discussione il diritto al congedo come previsto per legge, ma solo le conseguenza eventualmente negative per il lavoratore sotto un profilo meramente retributivo derivanti dall’omissione degli adempimenti richiesti. La Cassazione, in aggiunta, ha osservato che non può comunque ritenersi ammissibile in sede di legittimità una censura concernente la violazione di una circolare Cass., numero 4942/2004 . Il datore di lavoro ha violato il dovere di buona fede e correttezza. D’altra parte, aggiunge la Cassazione, correttamente il Giudice di merito aveva rilevato la violazione del dovere di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, avendo mancato di rispondere alla richiesta di motivazioni del diniego al permesso da parte del lavoratore. E’ risultata quindi pretestuosa e arbitraria la motivazione del licenziamento, soprattutto perché si pretendeva il rispetto di una normativa INPS articolata, complessa e da poco emanata che ben poteva quindi non essere conosciuta del lavoratore. L’accertamento così motivato dal Giudice d’appello, conforme a diritto, resiste alle censure mosse dalla società ricorrente, rivolte in sostanza a sollecitare una revisione del ragionamento decisorio, inammissibile in sede di legittimità Cass., numero 11789/2005 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 aprile – 2 luglio 2014, n. 15078 Presidente Miani Canevari – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 15-1-2002 A.R. , premesso di essere stato dipendente della Infocamere s.p.a. dal 19-3-1990 al 19-9-2000 data del suo licenziamento per giusta causa , conveniva in giudizio la detta società proponendo due distinte domande la prima di impugnazione del licenziamento e la seconda di risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale per aver subito dequalificazione e mobbing, nel periodo settembre 1998/luglio 1999. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma con sentenza depositata il 2-2-2004 respingeva integralmente il ricorso e compensava le spese. L'A. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l'accoglimento delle domande. La società appellata si costituiva e resisteva al gravame. La Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 29-11-2007, in parziale accoglimento dell'appello, dichiarava illegittimo il licenziamento, ordinava l'immediata reintegrazione nel posto di lavoro e condannava la società al risarcimento del danno quantificato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegra, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per lo stesso periodo, confermando nel resto la pronuncia di primo grado e compensando anche le spese di appello. In sintesi la Corte territoriale affermava che il licenziamento motivato esclusivamente con la ritenuta arbitrarietà dell'assenza del dipendente, al quale era stato negato il congedo parentale richiesto, senza risposta alcuna alla immediata successiva richiesta da parte dell'A. di un riferimento motivato in ordine alla limitazione del diritto in questione , si fondava su un presupposto inesistente e contra legem, ossia la possibilità, per il datore di lavoro, di interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo in argomento, conseguenza d'altronde espressamente sancita dall'art. 18 l. n. 53/2000 che prevede la nullità del licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale . Inoltre, per ragioni di completezza , la Corte di merito rilevava altresì la infondatezza della contestazione della società peraltro avanzata soltanto in corso di giudizio relativa alla mancata produzione da parte dell'A. della circolare INPS n. 109 del 2000, la quale comunque non poteva mettere in discussione il diritto al congedo, ma solo le conseguenze, meramente retributivo - previdenziali, eventualmente derivanti dall'omissione degli adempimenti richiesti, in ogni caso per nulla previsti dalla legge per la fruizione del congedo. Peraltro, nella fattispecie, mentre l'A. aveva tempestivamente richiesto alla società una spiegazione del diniego oppostogli, la società neppure aveva risposto a tale richiesta così violando i principi di buona fede e correttezza. La Corte territoriale aggiungeva, poi, che anche la censura di tardività della contestazione era fondata, avendo la società atteso fino ali'8 settembre per verificare se il ricorrente avesse deciso di coprire l'assenza per i periodi 10-25 agosto e 28 agosto - 1 settembre con certificati medici, visto che ben conosceva, fin dal luglio precedente, la motivazione dell'assenza del lavoratore . Infine la Corte di merito confermava il rigetto della domanda di risarcimento per la prospettata dequalificazione e per l'asserita azione di mobbing nei suoi confronti, rilevando che non era emersa prova alcuna della sussistenza di situazioni di vessazioni o soprusi nei confronti dell'A. mentre era risultato che il temporaneo demansionamento del medesimo, dovuto alla ristrutturazione della azienda, non era espressione né di prevaricazione né di comportamento illegittimo da parte della società. Per la cassazione di tale sentenza la Infocamere ha proposto ricorso con tre motivi. L'A. ha resistito con controricorso. La Infocamere ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 18 della legge n. 53/2000, dell'art. 12 delle Preleggi, in relazione alla circolare INPS n. 109 del 2000, dell'art. 2119 c.c., nonché vizio di motivazione. In particolare, premesso che il congedo parentale richiede la sussistenza di alcuni presupposti, oltre che determinate modalità per il suo esercizio, fissate nella citata circolare INPS, la società deduce che le domande presentate dall'A. il 24 e il 31-7-2000 peraltro al solo datore di lavoro erano prive di qualsiasi allegazione, per cui correttamente essa società aveva ritenuto che l'A. non avesse alcun diritto a beneficiare dell'astensione facoltativa e che lo stesso si fosse assentato arbitrariamente dal 10/8 al 1/9/2000, limitandosi semplicemente a preavvertire la sua assenza per permesso parentale e pretendendo di essere esonerato dal dare la dimostrazione di poter effettivamente usufruire del diritto in questione. La ricorrente deduce inoltre che l'A. , a fronte del diniego dell'azienda, si è limitato, con lettera del 4-8-2000, a chiedere un riferimento motivato in ordine alla limitazione del diritto in questione , assentandosi dal lavoro senza aver ricevuto alcun riscontro, per cui legittimamente gli era stata contestata l'assenza ingiustificata per il citato periodo. Peraltro, neppure nelle giustificazioni alla contestazione disciplinare l'A. aveva sentito l'esigenza di allegare la documentazione attestante i requisiti di legge per la sussistenza del diritto alla astensione facoltativa, di guisa che in definitiva, secondo la ricorrente, legittimamente era stato adottato il licenziamento per l'assenza ingiustificata e non già a causa della fruizione del congedo parentale, del quale non sussistevano i presupposti di legge. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 2104, 2086, 2697 c.c., nonché vizio di motivazione, lamenta che la Corte di merito non ha tenuto conto della condotta complessiva dell'A. , che in precedenza non aveva esitato a porre in essere comportamenti ostruzionistici e strumentali peraltro già censurati in sede cautelare dal Pretore di Roma, con ordinanza confermata in sede di reclamo , attraverso una serie di periodi di malattia e di ferie poi culminati nella richiesta di congedo parentale , il tutto per evitare un legittimo trasferimento presso la Sede di Padova, adottato da Infocamere nei confronti di 25 dipendenti. Entrambi i motivi, risultano in parte inammissibili e in parte infondati. In primo luogo, a parte la assoluta genericità dei quesiti di diritto formulati e la evidente mancanza del necessario momento di sintesi relativo ai vizi di motivazione denunciati, osserva il Collegio che la Corte di merito ha ritenuto la illegittimità del licenziamento in quanto fondato su un presupposto inesistente e contra legem , ossia la possibilità, per il datore di lavoro, di interloquire sul diritto del dipendente di usufruire del congedo in argomento ed ha affermato espressamente di esaminare gli altri profili di doglianza per mere ragioni di completezza . Le censure, quindi, rivolte nei confronti di tali ulteriori argomentazioni risultano innanzitutto inammissibili v. Cass. 22-11-2010 n. 23635, Cass. 23-11-2005 n. 24591, Cass. 17-2-2004 n. 3002 . Per quanto riguarda, poi, in particolare la inosservanza delle prescrizioni di cui alla citata circolare, la Corte di merito ha affermato che la società senza mai averlo prima comunicato all’A. e senza essersene mai prima d'allora doluta, solo in corso di giudizio ha contestato che il dipendente non avrebbe prodotto, a suffragio della sua richiesta di congedo parentale, la documentazione prevista dalla citata circolare. Tale affermazione concernente la sostanziale tardività della contestazione da parte della società non è stata specificamente censurata da quest'ultima, la quale si è limitata a ribadire la propria tesi in diritto e a contestare l'accertamento di fatto operato dai giudici di appello, in merito alla violazione dei principi di buona fede e correttezza, a suo dire avvenuta non da parte sua, bensì dell'A. . Orbene, in diritto, osserva il Collegio che legittimamente la Corte territoriale affermato che la circolare dell'INPS non può certamente mettere in discussione il diritto al congedo, come previsto per legge, ma solo le conseguenze eventualmente negative anche per il lavoratore, sotto un profilo meramente retributivo derivanti dall'omissione degli adempimenti richiesti. Peraltro è indubbio che neppure potrebbe ritenersi ammissibile in questa sede di legittimità una censura concernente, in sostanza, la violazione di una circolare v. fra le altre Cass. 10-3-2004 n. 4942, Cass. 10-4-2006 n. 8296, Cass. 19-6-2008 n. 16612 . Per quanto riguarda, poi, l'accertamento di fatto la Corte territoriale ha rilevato che l'A. , con la raccomandata del 4-8-2000 ha mostrato di non voler assumere un contegno di contrapposizione frontale o di chiusura preconcetta , rendendosi disponibile al dialogo, semplicemente chiedendo di essere messo al corrente delle ragioni del diniego , di guisa che il mancato riscontro a tale missiva ha rivelato, invece, in capo alla società, un atteggiamento di malcelata insofferenza nei confronti di un dipendente con il quale era in corso un contenzioso, anche giudiziario e che, a torto o a ragione, si riteneva ponesse in essere comportamenti ostruzionistici e dilatori per evitare o ritardare il suo trasferimento a Padova, ma che, con riferimento al diritto al congedo parentale che egli intendeva in quel momento esercitare, aveva pieno diritto ai chiarimenti richiesti . La Corte di merito ha altresì precisato che il non averlo fatto costituisce, in capo alla convenuta, una evidente violazione dei propri doveri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, tanto più laddove si pretendeva il rispetto di una normativa INPS che, oltreché articolata e di una certa complessità, era stata da poco emanata sostanzialmente un mese prima dei fatti di causa e ben poteva quindi non essere nota al lavoratore e rende, anche per questo verso, del tutto pretestuosa e arbitraria la motivazione del licenziamento del medesimo . Tale accertamento di fatto, conforme a diritto e congruamente motivato, anche con riguardo al comportamento pregresso, controverso, del lavoratore, resiste alle censure della società ricorrente, rivolte, in sostanza, a sollecitare una revisione del ragionamento decisorio e un riesame del merito, inammissibili in questa sede v., fra le altre, Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766 . Con il terzo motivo, poi, la società censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la tardività della contestazione argomento, anch'esso, svolto dalla Corte territoriale per mere ragioni di completezza . In particolare la ricorrente ribadisce l'assunto secondo cui in sostanza essa, alla luce del comportamento pregresso del lavoratore, ha dovuto attendere l'invio dell'ultimo certificato inviato datato 4 settembre per poter valutare, in base alle certificazioni mediche in suo possesso, se dal 10 agosto al 1 settembre 2000, fosse intervenuta una continuità dello stato di malattia . Sennonché tale assunto è stato attentamente esaminato dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto non plausibile la spiegazione della società visto che ben conosceva, fin dal luglio precedente, la motivazione dell'assenza del lavoratore, quale dal medesimo già apertis verbis dichiarata . Anche tale motivo si risolve, quindi, nella riproposizione della propria lettura delle risultanze istruttorie e nella richiesta di revisione del ragionamento decisorio , entrambe inammissibili. Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore dell'A. . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare all'A. le spese liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi oltre accessori di legge.