Una stessa malattia può portare a due licenziamenti diversi

Nonostante entrambi configurino una causa di impossibilità della prestazione lavorativa, il licenziamento per superamento del periodo di comporto e quello per sopravvenuta inidoneità fisica hanno natura e disciplina diverse. La prima è, infatti, di carattere temporaneo e implica la totale impossibilità della prestazione, che determina la legittimità del licenziamento, quando ha causato l’astensione dal lavoro per un periodo superiore al periodo di comporto. La seconda, invece, ha carattere permanente, o durata indeterminata, e non implica, necessariamente, l’impossibilità totale della prestazione, consentendo comunque la risoluzione del contratto, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 13857, depositata il 18 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile, per superamento del termine di 60 giorni previsto dall’art. 6 l. n. 604/1966, l’impugnativa del licenziamento di una donna per superamento del periodo di comporto per malattia e per inidoneità allo svolgimento delle mansioni per cui era stata assunta. I giudici ritenevano che la decadenza non potesse essere impedita dall’impugnativa stragiudiziale sottoscritta dal solo difensore, in difetto di comunicazione della procura al datore di lavoro entro il medesimo termine di 60 giorni. La donna ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver ritenuto inammissibile il ricorso per mancata proposizione dell’impugnativa stragiudiziale nel termine, anche con riferimento all’autonomo motivo di licenziamento avente ad oggetto l’inidoneità allo svolgimento delle mansioni. A suo giudizio, la malattia era stata causata dall’attività lavorativa svolta ed in relazione a tale ipotesi doveva essere applicata non la disciplina prevista dall’art. 6 l. n. 604/1966, bensì quella dell’art. 2110 c.c. licenziamento per superamento del periodo di comporto . Inoltre, la Corte d’appello, ritenendo ininfluente, ai fini dell’interruzione del termine, l’impugnativa stragiudiziale effettuata dal difensore senza la trasmissione della procura, avrebbe ignorato le circostanze da cui risultava l’inequivoca volontà della lavoratrice, anteriore allo stesso termine, di investire il difensore della propria difesa. Le differenze. La Corte di Cassazione ricordava la differenza tra licenziamento per superamento del periodo di comporto, ai sensi dell’art. 2110 c.c., e quello per sopravvenuta inidoneità fisica. Anche se entrambi configurano una causa di impossibilità della prestazione lavorativa, hanno natura e disciplina diverse, in quanto la prima è di carattere temporaneo e implica la totale impossibilità della prestazione, che determina la legittimità del licenziamento, quando ha causato l’astensione dal lavoro per un periodo superiore al periodo di comporto. La seconda, invece, ha carattere permanente, o durata indeterminata, e non implica, necessariamente, l’impossibilità totale della prestazione, consentendo la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c. , indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. Tentativo obbligatorio. La ricomprensione del licenziamento per inidoneità sopravvenuta alle mansioni comporta, comunque, l’obbligatorio tentativo, da parte del datore di lavoro, di ricollocazione del lavoratore in un’altra prestazione lavorativa compatibile con il suo stato di salute, assolvendo così all’obbligo di repechage . Cause autonome. In riferimento a tale causale, quindi, l’impugnazione stragiudiziale doveva avvenire nei tempi previsti dall’art. 6 l. n. 604/1966. Difatti, anche se si ritenesse che, per l’aspetto del mancato superamento del comporto, l’impugnazione resti assoggettata al termine ordinario di prescrizione, il termine decadenziale opererebbe, in ogni caso, per l’ulteriore motivo determinato dall’inidoneità fisica sopravvenuta. Queste sono causali autonome ed indipendenti, idonee entrambe a giustificare l’atto di licenziamento, che necessitano, perciò, di autonoma impugnazione, essendo impossibile l’estensione dell’impugnazione dall’una all’altra. Normativa di riferimento. Riguardo all’impugnazione, comunque, i giudici di legittimità ricordavano che all’impugnativa del licenziamento, che costituisce un atto giuridico non negoziale unilaterale tra vivi a carattere patrimoniale, si applicano le norme sui contratti in quanto compatibili. Di conseguenza, la procura deve essere anteriore all’atto compiuto in nome e per conto del rappresentato, mentre è da escludere la retroattività della ratifica dell’impugnativa fatta dal rappresentante senza poteri. Nel caso di specie, non era risultato che il conferimento del mandato fosse avvenuto anteriormente alla scadenza del termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento. In più, non era sufficiente un mandato conferito per altra causa o un generico rapporto fiduciario, che non si siano poi trasformati in una formale investitura di poteri in relazione allo specifico atto da compiere. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso e, per effetto della l. n. 228/2012, che ha modificato il d.P.R. n. 115/2002 testo unico in materia di giustizia , condannava la ricorrente al pagamento di un doppio contributo unificato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 18 giugno 2014, numero 13857 Presidente Lamorgese – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo S.C. , dipendente di Telecontact Center s.p.a. dal 4.11.2002 con mansioni di operatore al videoterminale addetta al cali center, veniva licenziata in data 5.2.2008 per superamento del periodo di comporto per malattia e per inidoneità allo svolgimento delle mansioni per le quali era stata assunta. L'impugnativa del licenziamento veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale e la Corte d'appello di Napoli con la sentenza numero 1673 del 7 marzo 2013 respingeva l'appello proposto dalla signora S. . La Corte riteneva la ricorrente decaduta dall'impugnativa del licenziamento, non essendo stata questa inoltrata nei sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione come prescritto dall'art. 6 comma della L. numero 604 del 1966, nel testo anteriore alla riforma introdotta dall'art. 32 comma 1 della L. 183/2010 applicabile ratione temporis . Né la decadenza poteva essere impedita ad avviso della Corte dall'impugnativa stragiudiziale sottoscritta dal solo difensore, in difetto di comunicazione della procura al datore di lavoro entro il medesimo termine di 60 giorni. La lavoratrice ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a quattro motivi, cui ha resistito Telecontact Center s.p.a. con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c All'udienza di discussione il difensore della parte ricorrente ha eccepito preliminarmente la nullità della notifica del controricorso, non effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata indicato in ricorso, come previsto dall'art. 366 comma 2 c.p.c. per il caso di mancata elezione di domicilio in Roma. Motivi della decisione 1. Esame dell'eccezione pregiudiziale di rito. 1.1. Nel ricorso introduttivo S.C. non ha eletto domicilio in Roma, ma presso lo studio del legale sito in Napoli. Questi ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata. La notifica del controricorso è avvenuta al procuratore costituito nella cancelleria della Corte di Cassazione e a mezzo del servizio postale nel domicilio eletto presso lo studio legale di Napoli. 1.2. Entrambe le notifiche così come effettuate sono mille. L'art. 366 comma 2 c.p.c. nella formulazione anteriore all'entrata in vigore della L. numero 183 del 2011 applicava al giudizio di legittimità il principio posto in via generale dall'art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, numero 37 sul quale v. Sez. U, Sentenza numero 10143 del 20/06/2012 e disponeva che Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di Cassazione”. Il sistema è tuttavia profondamente mutato per effetto della L. 183/2011, che, per quel che qui rileva in tema di domiciliazione ex lege , ha modificato il II comma dell'art. 366 c.p.c., che ora dispone che Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di Cassazione . In parallelo, la stessa legge ha introdotto all'art. 125 I comma c.p.c. l'obbligo per il difensore di indicare negli atti di parte l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine . Nel caso, l'indicazione nel ricorso dell'indirizzo di posta elettronica certificata da parte del difensore di S. era ritualmente avvenuto, per cui la notifica avrebbe dovuto essere effettuata all'indirizzo di PEC ivi indicato. Le notifiche effettuate presso la Cancelleria di questa Corte e presso lo studio del difensore in Napoli ove risulta nel ricorso eletto il domicilio, discostandosi dal modello legale individuato dalla norma sopra richiamata, sono da ritenersi quindi nulle. Non può però parlarsi nel caso di notifica inesistente, in quanto, secondo la distinzione elaborata in proposito da questa Corte, tale vizio sussiste solo quando la notificazione sia eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario oppure nel caso in cui sia stata omessa la consegna dell'atto da notificare, mentre è nulla quando essa, nonostante l'inosservanza di formalità e di disposizioni di legge, sia, comunque, materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell'atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione Cass. Sez. 5, Sentenza numero 28285 del 18/12/2013, Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 18238 del 25/10/2012, Sez. 1, Sentenza numero 2759 del 23/02/2012 . Si aggiunge che neppure il mezzo utilizzato in luogo della PEC si discosta dal modello legale in modo talmente radicale da determinarne inesistenza, in quanto in via generale attualmente il ricorso alla notifica a mezzo posta elettronica resta una facoltà per il difensore - come ribadito dall'art. 1 della L. numero 53 del 1994 nel testo vigente quale risulta per effetto delle modifiche apportate dell'art. 25, L. 12 novembre 2011, numero 183 - cui egli può ricorrere quando lo ritenga più celere e comodo, e quindi una delle possibili forme di notificazione, che si aggiunge alle ulteriori modalità esperibili. 1.3. Nel caso, la nullità della notifica è stata tuttavia sanata per essere stata essa tempestivamente effettuata anche presso lo studio del difensore in Napoli ove nel ricorso è stato eletto il domicilio, ove è stata regolarmente ricevuta. Opera infatti nella fattispecie l'insegnamento, condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che afferma che il principio, sancito in via generale dall'art. 156, comma terzo, cod. proc. civ., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali - pertanto - la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario Sez. 5, Sentenza numero 1184 del 27/01/2001, Sez. 5, Sentenza numero 1548 del 05/02/2002 . Il risultato dell'effettiva conoscenza dell'atto che consegue alla consegna dello stesso nel luogo espressamente a tale fine indicato dalla parte nell'atto introduttivo determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione del ricorso alla PEC. 1.4. Deve quindi affermarsi ex art. 384 I comma c.p.c. il seguente principio di diritto Nel giudizio di Cassazione, a seguito dell'entrata in vigore della L. 183/2011 avvenuta il 1.1.2012, come disposto dal comma 1 dell'art. 36 la notifica del controricorso al difensore che non abbia eletto domicilio in Roma dev'essere effettuata a pena di nullità all'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato all'ordine professionale ed indicato in ricorso. Opera tuttavia il principio, sancito in via generale dall'art. 156, comma terzo, cod. proc. civ., secondo il quale la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato e ciò avviene tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, come nel caso in cui la notifica sia effettuata a mezzo del servizio postale presso lo studio del difensore nel domicilio eletto fuori Roma nel ricorso medesimo . 2. Sintesi dei motivi di ricorso. 2.1. Come primo motivo S.C. deduce Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della L. 604 del 1966 e dell'art. 2110 c.c. Lamenta che la Corte abbia errato nel ritenere che la decadenza dall'impugnazione si applichi anche al licenziamento per superamento del periodo di comporto, ignorando il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la fattispecie è sottratta all'applicazione della disciplina generale sulla sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa ed alla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, essendo invece soggetta alla regole previste dall'art. 2110 c.c 2.2. Come secondo motivo deduce la Violazione degli artt. 3 e 6 della L. 604 del 1966, degli artt. 2010, 2118, 2119, 2087 c.c. , per avere la Corte di merito ugualmente ritenuto inammissibile il ricorso per mancata proposizione dell'impugnativa stragiudiziale nel termine di 60 gg. anche con riferimento all'autonomo motivo di licenziamento avente ad oggetto l'inidoneità allo svolgimento delle mansioni. Sostiene che la malattia sarebbe stata determinata dall'attività lavorativa svolta e che anche in relazione a tale ipotesi sarebbe applicabile l'art. 2110 c.c. e non la disciplina prevista dall'art. 6 della L. 604. 2.3. Come terzo motivo deduce Violazione degli artt. 3 e 6 della L. 604 del 1966 e degli artt. 1399, 2010, 2118, 2119 e 2087 c.c. , nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . Lamenta che la Corte d'appello, nel ritenere che non valesse ad interrompere il termine di 60 giorni l'impugnativa stragiudiziale del licenziamento effettuata dal difensore senza trasmissione della procura entro lo stesso termine, avrebbe ignorato le circostanze da cui risultava l'inequivoca volontà della lavoratrice, anteriore al suddetto termine, di investire il difensore della propria difesa. Espone in particolare - che le lettera di licenziamento le era stata recapitata in data 12.2.2008 - che esso veniva impugnato dall'avv. Palmira Nigro, che dichiarava di agire in suo nome e per suo conto, con raccomandata del 13.2.2008, nella quale si richiamava espressamente il contenuto della lettera di licenziamento - che l'8.2.2008 l'avv. Palmira Nigro aveva depositato ricorso contro Telecontact per questioni varie attinenti il suo rapporto lavorativo, che era stato notificato entro il termine di 60 giorni dalla ricezione della lettera di licenziamento, così come l'istanza relativa al tentativo obbligatorio di conciliazione. 2.4. Come quarto motivo, in relazione all'art. 360 nnumero 3 e 5, la ricorrente deduce la Violazione degli arti. 3 della L. 604 del 1966, 2010, 2118, 2119 e 2087 c.c. . Argomenta che il licenziamento è stato intimato per giusta causa , senza tuttavia che i fatti richiamati siano qualificabili come tali. La malattia sarebbe infatti ascrivibile unicamente alle mansioni affidatele ed al lavoro in cuffia , ed il nesso causale risulterebbe dai certificati medici prodotti e dalla visita medica aziendale disposta da Telecontact Center. Aggiunge che controparte non ha provato, né offerto di provare, l'incollocabilità in altre mansioni. 3. Esame dei motivi di ricorso. Occorre esaminare preliminarmente il secondo e terzo motivo di ricorso, la cui infondatezza determina il rigetto del gravame con assorbimento degli altri motivi. 3.1. Questa Corte ha avuto modo di ribadire in più occasioni la differenza ontologica esistente tra licenziamento per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c. e licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica pur configurando entrambe le fattispecie una causa di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, per essere la prima di carattere temporaneo e implicante la totale impossibilità della prestazione, che determina ai sensi dell'art. 2110 cod. civ. la legittimità del licenziamento quando ha causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, laddove la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile, non implica necessariamente l'impossibilità totale della prestazione e consente la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 cod. civ., eventualmente previo accertamento dei relativi presupposti con la procedura stabilita dalla L. 20 maggio 1970, numero 300, art. 5 ed indipendentemente dal superamento del periodo di comporto cfr. Sez. L, Sentenza numero 1404 del 2012, Cass. 17 giugno 1997 numero 5416 ed, in senso conf., Cass. numero 410/1999 . La ricomprensione del licenziamento per inidoneità sopravvenuta alle mansioni nell'alveo del giustificato motivo oggettivo è stata ancora di recente affermata da Cass. Sez. L, Sentenza numero 18196 del 29/07/2013. Ed è in virtù di tale aspetto che si rende necessario che il datore di lavoro tenti la ricollocazione del lavoratore in altra prestazione lavorativa compatibile con il suo stato di salute, ed assolva quindi all'obbligo di repechage. 3.2. Quantomeno con riferimento a tale causale quindi, l'impugnazione stragiudiziale doveva avvenire con le forme e nei tempi previsti dall'art. 6 I comma della L. 604 cit. se infatti anche si potesse ritenere, come sostiene la ricorrente, che per l'aspetto del mancato superamento del comporto l'impugnazione resti assoggettata al termine ordinario di prescrizione, il termine decadenziale opererebbe comunque per l'ulteriore motivo determinato dall'inidoneità fisica sopravvenuta. Si tratta infatti di causali autonome ed indipendenti, ciascuna delle quali di per sé è idonea a giustificare l'atto di licenziamento e quindi necessita di autonoma impugnazione, né, come ha ritenuto Sez. L, Sentenza numero 1250 del 20/01/2011, è possibile l'estensione dell'impugnazione dall'una all'altra giustificazione. 3.3. L'impugnazione nei 60 giorni non può però dirsi ritualmente effettuata. Costituisce principio consolidato e condiviso nell'elaborazione di questa Corte quello secondo cui all'impugnativa del licenziamento ex art. 6 legge numero 604 del 1966 , che costituisce un atto giuridico non negoziale unilaterale tra vivi a carattere patrimoniale, si applicano le norme sui contratti in quanto compatibili. Ne consegue che la procura deve essere anteriore all'atto compiuto in nome e per conto del rappresentato, mentre deve escludersi la retroattività della ratifica dell'impugnativa fatta dal rappresentante senza poteri Sez. L, Sentenza numero 8412 del 20/06/2000, Sez. L, Sentenza numero 15888 del 20/09/2012, Sez. L, Sentenza numero 7866 del 18/05/2012 . Nel caso, non risulta che il conferimento del mandato sia avvenuto anteriormente alla scadenza del termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento. 3.4. Né è sufficiente, come correttamente argomentato dal giudice di merito, il mandato conferito per altra causa o un generico rapporto fiduciario, che non si siano tradotti in una formale investitura di poteri in relazione allo specifico atto da compiere. 3.4. Il consolidarsi degli effetti del licenziamento per effetto della mancata tempestiva impugnazione di una delle due causali preclude l'esame della questione riproposta con gli altri motivi avente ad oggetto la sua fondatezza nel merito. 4. Sulle spese. 4.1. Le spese processuali del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. 4.2. Il ricorso è stato notificato il 20.6.2013, dunque in data successiva a quella 31.1.2013 di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, numero 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, che dispone quanto segue Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma dell'art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso . In considerazione del rigetto del ricorso, deve provvedersi in conformità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori. Da atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. numero 115/2002, nel testo introdotto dall'art. 1 comma 17 della L. 228/2012.