Si inasprisce il regime della malattia professionale: richiesto alto grado di probabilità

In tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata, la prova del nesso causale tra malattia e nocività dell’ambiente lavorativo grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere, invece, ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13342/14, depositata il 12.06.2014, inasprendo il regime probatorio del nesso di causalità tra malattia professionale e nocività dell’ambiente lavorativo. Quando la malattia può dirsi professionale”? Un lavoratore affetto da leucemia mieloide cronica chiedeva il riconoscimento della rendita per malattia professionale, adducendo che la grave patologia che lo affliggeva derivava dalla propria attività lavorativa. Egli, infatti, aveva lavorato per anni presso un impianto galvanico per la verniciatura di occhiali, dove ribollivano liquidi ricchi di nichel che emanavano i loro vapori in tutto l’ambiente. Per lungo tempo l’azienda non si era dotata di aspiratori né aveva messo a disposizione degli operai mascherine di protezione per le vie respiratorie. All’esito della consulenza tecnica d’ufficio, il perito affermava che, pur non essendo dubbio il potenziale cancerogeno del nichel, non esistevano prove scientifiche per ritenere verosimile che l’esposizione dell’uomo al nichel potesse provocare lo sviluppo della patologia sofferta dal ricorrente. Il giudice di merito aderiva alle risultanze della c.t.u. e disconosceva il diritto del ricorrente a percepire la rendita da malattia professionale. Partendo dall’assodato principio per cui sia onere del lavoratore dimostrare il nesso di causalità tra la malattia professionale e la nocività dell’ambiente di lavoro, la Suprema Corte ritiene che il giudice di merito abbia ben sentenziato. Infatti, per poter parlare di malattia professionale” deve esserci ragionevole certezza che la malattia derivi dalla nocività dell’ambiente lavorativo. A tal fine non rileva la mera possibilità dell’origine lavorativa, bensì è necessario che vi sia un elevato grado di probabilità che la malattia sia conseguenza di un’attività lavorativa insalubre. Basta abusare del difetto di motivazione! Ottenuta una decisione di merito sfavorevole, benché aderente alla c.t.u, il lavoratore ricorreva in Cassazione deducendo la violazione delle norme del Testo Unico sulle malattie professionali, nonché il vizio di motivazione della sentenza di secondo grado. In apertura della sentenza, la Corte di Cassazione dichiara infondate le censure, precisando che l’abusata eccezione di difetto di motivazione rileva solo sotto il profilo dell’omissione, dell’insufficienza e della contraddittorietà della motivazione stessa. Pertanto, sussiste il vizio di motivazione solo ed esclusivamente quando il giudice di merito ometta di prendere in esame punti decisivi della controversia, oppure, quando le argomentazione del giudice di merito siano così contrastanti da non consentire l’identificazione dell’ iter logico-giuridico posto alla base della decisione. Non è questo il caso di specie. Conviene attenersi alle risultanze della consulenza tecnica. La Suprema Corte conclude affermando che, in tema di malattia professionale, se il giudice di merito ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, si può parlare di vizio di motivazione solo se la consulenza presenta una palese devianza delle nozioni correnti in scienza medica. Tutto il resto non è censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione. Ciò significa che, il mero dissenso diagnostico non può considerarsi un vizio del procedimento logico seguito dal giudice, ma, al contrario, esso è un’inammissibile critica al convincimento del giudice stesso. Poiché, nel caso di specie, la Corte territoriale ha aderito alle risultanze della consulenza tecnica, richiamandole esplicitamente nella propria decisione, non è rilevabile il vizio di motivazione, né la decisione è censurabile nel merito.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1° aprile – 12 giugno 2014, n. 13342 Presidente Lamorgese – Relatore D’antonio Svolgimento del processo con sentenza del 23 maggio 2007 la Corte d'appello di Palermo ha respinto la domanda di T.D. volta ad ottenere il riconoscimento della rendita per malattia professionale in relazione alla leucemia mieloide cronica da cui era affetto ritenuta dal ricorrente conseguenza dell'attività lavorativa svolta nel periodo dal 18 ottobre 1995 al 15 giugno 1996 presso la società Galvex di Treviso. La Corte, con riferimento alla sussistenza della prova dell'esposizione al rischio del lavoratore, ha riferito che il T. si occupava della coloritura delle montature degli occhiali in metallo lavorando nel reparto galvanico ove in apposite vasche contenenti liquidi in ebollizione, che emanavano vapori per tutto l'ambiente, venivano immesse le montature che nell'ambiente non vi erano macchinari aspiratori, installati soltanto successivamente, nè venivano fornite ai lavoratori mascherine, guanti o altro che da un controllo a cui era stato sottoposto il ricorrente in data 6 giugno 1996 era risultata una presenza eccessiva nelle urine di nichel. La Corte pertanto, ritenuta provata l'esposizione al rischio ha disposto una consulenza medica legale all'esito della quale il consulente ha affermato che,pur non essendo dubbio il potenziale cancerogeno del nichel, non esistevano evidenze scientifiche per ritenere verosimile che l'esposizione dell'uomo al nichel potesse provocare lo sviluppo della patologia sofferta dalla ricorrente. In particolare la Corte ha sottolineato che secondo il consulente i dati epidemiologici erano insufficienti anche solo per affermare che vi tosse una probabilità dell'esistenza del nesso causale tra esposizione al nichel e leucemia mieloide cronica e che pertanto quest'ultima non poteva considerarsi una malattia professionale. Avverso la sentenza ricorre D.T. formulando un unico articolato motivo successivamente illustrato con memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. Resiste il Inail con controricorso. Motivi della decisione. Il ricorrente denuncia violazione delle norme del testo unico sulle malattie professionali nonché vizio di motivazione. Rileva che la leucemia mieloide cronica costituiva malattia professionale in quanto conseguenza dell'esposizione alla prolungata manipolazione di quantità elevate di nichel e cromo in condizioni non adeguatamente protette. Lo stesso c.t.u. aveva evidenziato che la presenza del nichel poteva avere conseguenze quale lo sviluppo del cancro ai polmoni al naso, alla laringe e alla prostata e che il potenziale cancerogeno di tale sostanza era accertato. Osserva che in base a quanto disposto dalla Corte il consulente avrebbe dovuto effettuare indagini dirette a stabilire la nocività specifica delle lavorazioni effettuate presso la società Galvex anche direttamente sui luoghi di lavorazione. Deduce, inoltre, che non sussisteva l'obbligo del lavoratore di dimostrare il nesso di causalità diretta tra la malattia professionale non tabellata e le sostanze cancerogene a cui era stato esposto, in quanto l'obbligo di dimostrare la mancanza di connessione tra la malattia ed il rischio specifico comportante il tipo di lavorazione incombeva sull'Inail il quale nel caso di specie non aveva svolto alcuna indagine. Le censure sono infondate. La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l'affermata esclusione del nesso causale tra l'esposizione al nichel e lo sviluppo della leucemia mieloide cronica. Il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione Cass n. 2357 del 07/02/2004 n 7846 del 4/4/2006 n. 20455 del 21/9/2006 n. 27197 del 16/12/2011 . Nella specie la Corte territoriale, aderendo alle conclusioni formulate dal CTU, ha dato ampia ed esauriente spiegazioni delle ragioni poste a base della propria decisione esaminando in modo analitico tutti gli elementi disponibili pervenendo ad escludere il nesso causale tra la mal ittia lamentata dal ricorrente e l'attività lavorativ a svolta dal T. presso la soc. Galvex di Treviso . In particolare la Corte ha richiamato le conclusioni del CTU secondo il quale pur non essendo dubbio il potenziale cancerogeno del nichel non sono presenti lati statistico --epidemiologici che confermino la correlazione tra l'esposizione a tale elemento chimico e la leucemia mieloide cronica , per cui non esistono evidenze scientifiche per ritenere verosimile che l'esposizione dell'uomo al nichel possa provocare lo sviluppo della patologia di cui soffì-e il T. . Il giudice di merito ha quindi affermato , in contonnità con le conclusioni del CTU , che i dati epidemiologici sono insufficienti anche solo per affèrmare che vi sia una probabilità dell'esistenza del nesso causale tra esposizione al nichel e leucemia mieiloide cronica , che non può considerarsi nel caso in esame una tecnopatia . Costituisce principio affermato più volte da questa Corte Cfr. ord. n. 1652/2012 ord. n. 22707/2009 sent. N. 9988/2009 che in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un'inammissibile critica del convincimento del giudice . Nella specie il ricorrente si è limitato ad invocare una diversa valutazione scientifica delle prove raccolte senza evidenziare lacune negli accertamenti svolti o eventuali affermazioni illogiche o scientificamente errate. Le censure sono infondate anche con riferimento alle affermazioni del ricorrente circa l'onere probatorio del nesso causale gravante, secondo il ricorrente, in capo all'Inail. Deve richiamarsi, infatti, quanto già affermato da questa Corte v. Cass. n 14308/2006, n. 15080/2009 secondo cui in tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata la prova della derivazione della malattia da causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato . Nulla per spese considerato che al giudizio in esame non è applicabile ratione temporis l'art 152 disp. Att. cpc come sostituito dall'art 42 del D.L. n 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, per essere stato depositato l'originario ricorso prima del 2/10/2003, data di entrata in vigore della stessa disposizione. P.Q.M. Rigetta il ricorso, nulla per spese del presente giudizio.